Il 2019 è iniziato con un dato, confermato dall’OIM, che fa gelare il sangue: 203 morti in tre settimane. Si tratta quindi di più di un morto al giorno, nel Mediterraneo centrale, con le partenze di barche cariche di migranti che dalla Libia salpano alla volta di un approdo europeo. E mentre la statistica rende cifre da vittime di un conflitto bellico, al largo di Lampedusa vaga intorno a se stessa la Sea Watch 3 con a bordo 47 persone soccorse in mare quattro giorni addietro. Nessun porto sicuro in cui poter sbarcare. Per la Ong tedesca, e per i migranti che ha salvato dal mare gelido di gennaio, si prevede un altro calvario di stenti e freddo. L’ultimo episodio li ha visti rifiutati da qualunque porto sicuro per diciotto giorni con a bordo 49 migranti. Le condizioni meteo marine sono adesso in grave peggioramento ed il clima, in alto mare, mette a dura prova anche i più forti. L’isola italiana di Lampedusa dista circa 30 miglia nautiche, meno di 60 chilometri, ma per loro anche la “Porta d’Europa” è chiusa.
A Lampedusa, nelle scorse settimane, sono sbarcati molti migranti tunisini. Una rotta, quella degli harragas provenienti dalla Tunisia, molto più sicura. Resa sicura anche dal fatto che la traversata, come dimostrato da operazioni di polizia in mare ed a terra con l’operazione “Barbanera”, viene fatta da pescherecci che a distanza di autotutela dalle coste di Lampedusa e della Sicilia sudoccidentale lasciano i migranti su un barchino. Una piccola lancia in legno su cui trovano posto al massimo una dozzina di harragas nordafricani. Per loro quindi i porti non sono chiusi, anche se quelli intercettati a terra dalle Forze dell’Ordine sono destinati al rimpatrio in Tunisia e soltanto i riusciti “sbarchi fantasma” consentono il proseguo del viaggio. Nel caso del flusso di migranti centroafricani che salpano dall’inferno libico la situazione è drasticamente diversa e sui gommoni ci sono sempre non meno di cento persone. L’ultimo naufragio passato agli “onori” della cronaca vede infatti 117 vittime.
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