Sea Watch 3 in mezzo alla tempesta, sesto giorno senza un porto sicuro

Raffiche di vento da ottanta chilometri orari e onde alte sette metri costringono la nave a lasciare Lampedusa e cercare riparo nello Stretto di Messina. Salvini: “Ennesima provocazione”

I migranti a bordo della Sea Watch 3

di Mauro Seminara

La Sea Watch 3 si era avvicinata a Lampedusa, porto sicuro italiano in assoluto più vicino, chiedendo formalmente alle autorità italiane di poter sbarcare i 47 migranti soccorsi sabato nel Mediterraneo centrale. Nessuna autorizzazione, neanche in questo caso. Nel frattempo una tempesta si apprestava a travolgere il Mediterraneo centrale, il Canale di Sicilia, lo Ionio e gran parte di Tirreno ed Adriatico. A mezzanotte la Sea Watch 3 aveva raggiunto Malta con l’intenzione di circumnavigarla fino alla costa est della Sicilia in cerca di riparo. A quell’ora la violenta burrasca aveva già raggiunto il tratto di mare in cui la nave da soccorso umanitario stava navigando. L’Aeronautica Militare rilevava un vento di oltre 50 Km/h con raffiche che superavano gli 80 Km/h. A Lampedusa, isola dal “porto chiuso” dalla quale la Sea Watch 3 si era allontanata, gli isolani sprangavano porte e finestre per proteggere le proprie case. Le antenne sulle case si giravano come maniche a vento. In mare aperto le onde, questa notte, sono state alte 7 metri e sul ponte della nave Sea Watch 3 la tenda in cui si trovano i migranti reggeva a stento la violenza della tempesta. La temperatura, inoltre, nella notte è scesa a circa 5 gradi; e chiunque conosca un po’ il mare sa che cinque gradi in mare aperto possono essere letali.

L’unica possibilità per resistere è avvicinarsi allo Stretto di Messina, sperando che le correnti siano meno impetuose tra la Sicilia e la Calabria con Malta a fare da spartivento. Dal Viminale parte la dichiarazione degna degli elettori del ministro: “Ennesima provocazione: dopo aver sostato per giorni in acque maltesi, #SeaWatch3 con 47 a bordo si sta dirigendo verso nostre coste. Nessuno sbarcherà in Italia. Pronti a mandare medicine, viveri e ciò che dovesse servire, ma porti italiani sono e resteranno chiusi. #portichiusi”. Con questo tweet, il ministro degli Interni definisce la necessità di sopravvivere ad una tempesta perfetta come una provocazione e liquida la nave con il suo equipaggio ed i migranti soccorsi ribadendo il suo hashtag “#portichiusi”. Molto più chiaro, tecnico, il tweet della Ong Sea Watch postato poi anche sull’account italiano: “Sul nostro mare si sta abbattendo un ciclone mediterraneo, fenomeno meteo piuttosto raro con onde di 7 metri, pioggia e vento gelido. #SeaWatch sta navigando in questa tempesta cercando un riparo con a bordo 47 naufraghi soccorsi sabato scorso.”

La risposta politica italiana, l’unica, riguarda la possibilità che le persone a bordo possano ricevere assistenza sanitaria – se necessaria – sulla stessa nave ed in acque internazionali. Purtroppo la risposta politica sembra non considerare l’eventualità che a rischiare la vita possano essere anche i guardacoste che con onde alte 7 metri dovrebbero recarsi a bordo. Da escludere, con raffiche di vento di 70 e 80 chilometri orari, che a bordo della Sea Watch 3 ci si rechi una equipe medica calata con il verricello di un elicottero. Ancora una volta si verifica una chiusura dei porti twittata e soluzioni valide solo per la platea di ignoranti sui social. Persone che purtroppo dovrebbero fidarsi dei loro rappresentanti nelle istituzioni e che difficilmente verificheranno le condizioni meteo marine e la possibilità che quanto asserito da parte costituente del Governo italiano sia traducibile in realtà. Il risultato, unico e indiscutibile, è quindi che una piccola nave con a bordo un’equipe di soccorritori e 47 migranti soccorsi in mare – tra i quali donne e bambini – si trova in mezzo ad una tempesta con onde alte 7 metri e raffiche di vento da 80 Km/h, da sei giorni in attesa di un porto sicuro in cui approdare e che l’Europa, con i suoi oltre 500 milioni di abitanti non è in grado di fornire.

Informazioni su Mauro Seminara 705 Articoli
Giornalista palermitano, classe '74, cresce professionalmente come fotoreporter e videoreporter maturando sulla cronaca dalla prima linea. Dopo anni di esperienza sul campo passa alla scrittura sentendo l'esigenza di raccontare i fatti in prima persona e senza condizionamenti. Ha collaborato con Il Giornale di Sicilia ed altre testate nazionali per la carta stampata. Negli anni ha lavorato con le agenzie di stampa internazionali Thomson Reuters, Agence France-Press, Associated Press, Ansa; per i telegiornali nazionali Rai, Mediaset, La7, Sky e per vari telegiornali nazionali esteri. Si trasferisce nel 2006 a Lampedusa per seguire il crescente fenomeno migratorio che interessava l'isola pelagica e vi rimane fino al 2020. Per anni documenta la migrazione nel Mediterraneo centrale dal mare, dal cielo e da terra come freelance per le maggiori testate ed agenzie nazionali ed internazionali. Nel 2014 gli viene conferito un riconoscimento per meriti professionali al "Premio di giornalismo Mario Francese". Autore e regista del documentario "2011 - Lampedusa nell'anno della primavera araba", direttore della fotografia del documentario "Fino all'ultima spiaggia" e regista del documentario "Uomo". Ideatore e fondatore di Mediterraneo Cronaca, realizza la testata nel 2017 coinvolgendo nel tempo un gruppo di autori di elevata caratura professionale per offrire ai lettori notizie ed analisi di pregio ed indipendenti. Crede nel diritto all'informazione e nel dovere di offrire una informazione neutrale, obiettiva, senza padroni.

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