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Operazione “Pupi di pezza” in Sicilia, 9 arresti a Catania

Misure cautelari nei confronti di 11 persone, 9 delle quali agli arresti domiciliari, e sequestro preventivo diretto di 4 marchi registrati e 4 complessi aziendali per un valore complessivo di circa 11 milioni di euro. È l’esito delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Catania, a seguito del monitoraggio delle posizioni di contribuenti destinatari di ingenti cartelle esattoriali. Le Fiamme Gialle hanno rilevato che con le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate i soggetti avviavano la procedura di liquidazione affidando la stessa a prestanome così da escludere gli effettivi amministratori da ogni responsabilità penale e civile. La finalità del passaggio ai prestanome era di continuare l’attività d’impresa attraverso una solo in apparenza differente società commerciale.

L’investigazione, convenzionalmente nota come “Pupi di pezza”, ha disvelato l’esistenza di un collaudato sistema fraudolento in grado di garantire a diversi gruppi familiari imprenditoriali la sottrazione l’evasione di un complessivo volume di imposte pari ad oltre 220 milioni di euro e la contestuale elusione di procedure esecutive e concorsuali. Un sistematico perpetrarsi di bancarotte fraudolente reati tributari anche in forma associata e delitti di favoreggiamento personale e reale per le quali il GIP del Tribunale di Catania ha emesso ordinanza di misure cautelari e, nei confronti di due degli undici soggetti, interdizione dell’esercizio di imprese. Ad orchestrare e scandire le fasi del circuito criminale era lo studio associato Pogliese, che assumeva il ruolo di “regista” del sistema illecito attraverso l’opera diretta del commercialista Antonio Pogliese e di alcuni suoi associati. Sodali ed associati di Pogliese erano Michele Catania e Salvatore Pennisi, i quali, avvalendosi di Salvatore Virgillitto – anche quest’ultimo agli arresti domiciliari – costituivano un’associazione a delinquere. Le indagini hanno rivelato l’attività operante almeno dal 2013 e dedita ad una ancora indeterminata serie di condotte delittuose in materia societaria, fallimentare e fiscale.

Il team di Antonio Pogliese si inseriva in società in stato palese di deficit finanziario, formalmente e quali intermediari, con l’obiettivo di eludere eventuali procedure fallimentari e di riscossione. Con il subentro dello studio Pogliese, le imprese venivano poste in liquidazione ed il ruolo di liquidatore veniva affidato a persona di fiducia dello stesso studio. Persona di fiducia dello studio Pogliese ma priva di competenze professionali ed il cui compenso mensile, di qualche centinaio di euro, era corrisposto dagli effettivi amministratori della società. Il liquidatore prestanome favoriva poi l’effettuazione di indebiti pagamenti preferenziali e la distrazione degli asset patrimoniali più significativi a favore di ulteriori società risultate dalle indagini riconducibili agli stessi amministratori di quella posta in liquidazione. Infine veniva avviata la chiusura della liquidazione e la cancellazione dal registro delle imprese della società originaria, nel frattempo “svuotata” di tutto tranne che delle imposte iscritte a ruolo che restavano le uniche passività finanziarie non soddisfatte, giocando sul fatto che, trascorso un anno dalla cancellazione, il Pubblico Ministero, ai sensi della legge fallimentare, non poteva più chiederne il fallimento. Il fittizio liquidatore era gestito da Salvatore Virgillitto che rappresentava l’anello di congiunzione tra i reali amministratori delle società decotte.

A beneficiare deliberatamente dei servizi dell’associazione a delinquere composta dai professionisti arrestati e da Virgillitto e adesso sottoposti agli arresti domiciliari, sono risultati i fratelli Antonino, Giuseppe Andrea e Michele Grasso, amministratori e proprietari della fallita “Diamante Fruit S.r.l.”, già attiva nel commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi con sede ad Acireale. Da un accertamento effettuato dall’amministrazione finanziaria nel 2002, la Diamante Fruit era risultata aver maturato nei confronti dell’Erario un debito complessivo di circa 215 milioni di euro. Inoltre, i fratelli Grasso distraevano i marchi aziendali registrati all’Ufficio Italiano Brevetti – “Saporita”, “Golosita”, Diamante” e “Diamante Fruit” – il cui valore economico effettivo è di circa 1,8 milioni di euro. I marchi registrati erano stati trasferiti ad una ulteriore loro società, la milanese “Kalipso S.r.l.”, al prezzo inferiore di 520 mila euro, corrisposti tra l’altro con crediti inesistenti. Infine, il piano prevedeva l’incorporazione della Kalipso – la cui effettiva proprietà era stata inizialmente “schermata” attraverso l’interposizione di fiduciarie svizzere e inglesi, dotata nel frattempo dei marchi e degli immobili – nella “Grasso Distribuzioni S.r.l.”, costituita nel 2012 per diventare l’erede della Diamante Fruit.

Altra destinataria della misura degli arresti domiciliari è Concetta Galifi, amministratrice della “Prima Trasporti S.r.l.”, una società di trasporto merci su strada con sede a Paternò, in liquidazione dal 2015 e dichiarata fallita nel febbraio 2018. In questo caso, Concetta Galifi, supportata dallo studio Pogliese e dal liquidatore “testa di legno”, proseguiva l’attività d’impresa aggravando il dissesto e sottraendosi al pagamento di debiti erariali superiori a 2 milioni di euro. Veniva così favorita, già negli anni antecedenti alla liquidazione, il passaggio di forza lavoro, automezzi, avviamento e portafoglio clienti/fornitori alla gemella “Gali Group S.r.l.” con sede a Ispica, in provincia di Ragusa ed amministrata dalla cognata di Concetta Galifi.

Nel caso di Rosario Patti, anch’esso agli arresti domiciliari, amministratore di fatto dell’ingrosso di abbigliamenti e calzature “Patti Diffusione S.r.l.” di Acireale, dichiarata fallita dal Tribunale etneo nell’aprile 2017, le indagini hanno rivelato un capitale sociale eroso dalle perdite sin dal 2006. Patti proseguiva però l’attività d’impresa anziché affidarsi a una procedura concorsuale, aggravandone il già grave dissesto ed omettendo il pagamento di debiti erariali e previdenziali superiori a 2 milioni di euro. Nello stesso periodo contribuiva a distrarre il complesso aziendale della Patti Diffusione, già in fallimento, a beneficio dell’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti con sede in Misterbianco “CTA Fin S.r.l.”, società amministrata di fatto dallo stesso Antonio Patti attraverso la simulazione di un fitto d’azienda e di un contratto estimatorio per il trasferimento delle merci.

Lo stesso sistema illecito è stato infine riscontrato dalle indagini per altre società. Una di queste è la “Grandi Vivai Società Agricola S.r.l.” di Paternò, fallita nel luglio 2018 e amministrata da Alfio Sciacca, destinatario del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali per un anno. Attraverso la realizzazione di un’operazione straordinaria di scissione societaria, Alfio Sciacca favoriva la distrazione degli asset patrimoniali più redditizi della società deficitaria a vantaggio di “Planeta S.r.l.”, società esercente l’attività di progettazione ed esecuzione di lavori specializzati nel verde con sede a Catania. Anche nel caso della Planeta S.r.l., la società è risultata riconducibile alla medesima compagine societaria della fallita Grandi Vivai Società Agricola. Inoltre, Alfio Sciacca, favorito dallo studio associato Pogliese, si sottraeva dal pagamento di imposte per un volume complessivo superiore a 1 milione di euro.

Altro destinatario di misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali per un anno è l’amministratrice della “Fratelli Conti Paternò S.r.l.” Nunziata Conti. Altra società con sede a Paternò esercente il commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, dichiarata fallita nel giugno del 2018, che contribuiva ad aggravarne il dissesto proseguendo dal 2008 l’attività d’impresa pur in carenza di capitali propri, favorendo la distrazione del complesso aziendale a beneficio di altra società del gruppo F.lli Conti Group S.r.l., sempre con sede a Paternò ed esercente il commercio all’ingrosso di ortofrutta, e sottraendosi al pagamento di imposte per oltre 1 milione di euro. Anche in questo caso venivano effettuati pagamenti preferenziali a favore di soci e amministratori, occultamento delle scritture contabili e l’apposizione in bilancio di voci non veritiere.

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