di Mauro Seminara
La premessa, come sempre più spesso ci si ritrova a dover fare, è un “purtroppo”. Perché sappiamo, purtroppo, ormai per esperienza, che ogni qualvolta una nuova forza politica insediata nella stanza dei bottoni rimette in discussione opere pubbliche ed appalti è per ridiscutere accordi sottobanco più che per la “ridiscussione” della stessa opera. Immediatamente, ed inevitabilmente, vi si rimanda all’argomento del giorno con quella mozione firmata da Movimento 5 Stelle e Lega approvata ieri alla Camera dei deputati con cui viene autorizzata la revisione del progetto TAV Torino-Lione. Al riguardo, ognuno di noi dovrebbe porsi una domanda: come può, una forza politica già largamente presente in Parlamento ed in tutte le Commissioni camerali come era il M5S nella scorsa legislatura, fare campagna sulla inutilità della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione e poi dichiarare l’esigenza di una analisi costi-benefici una volta al Governo del Paese? Si dava per scontato, quando il Movimento era l’anti-establishment inedito in Parlamento, che parlasse con cognizione di causa. Che sapessero esattamente, dopo lunga ed attenta analisi di tutto l’enorme faldone documentale dell’infrastruttura italo-europea, il come ed il perché dell’opera con annessi costi e benefici. Non ci si poteva certo aspettare che, magari, la lotta anti-TAV fosse solo una farsa con cui aizzare folle deluse dalla classe politica e carica di pregiudizi e guadagnare in tal meschino modo ulteriore consenso. Legittimo quindi il sospetto che, quando urlavano alla inutile speculazione, stessero soltanto prendendo per il culo tutti. In primis i loro elettori.
L’opera infrastrutturale, al termine di una brutta cantonata presa sulla reale esigenza italiana ed europea di adeguare le infrastrutture agli standard dell’Unione e con queste realizzare nuovi canali di sviluppo economico tra Stati membri, è stata posta al vaglio di una commissione costi-benefici che tanto ricorda la consultazione su Rousseau per l’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri contro Matteo Salvini. La ricorda per la sua caratteristica inutilità ed anche perché a questa pare davvero essere stata subordinata con un do ut des tra il voto in Giunta su Salvini e l’ammorbidimento di Salvini sulla TAV. Tutti gli spettatori del programma di Giovanni Floris avranno certamente notato l’amorevole scambio di effusioni tra gli ospiti, per ordine di apparizione Luigi Di Maio e Matteo Salvini, mentre confermavano la reciproca certezza che sulla TAV il M5S e la Lega avrebbero trovato un accordo. Lo facevano appunto la stessa sera in cui Matteo Salvini, con un sorriso in trasmissione degno dello spot di un dentifricio, era stato salvato dai pentastellati in Giunta per le immunità sul caso Diciotti.
Legittimo quindi un altro sospetto sulla realtà dei fatti, sulle decisioni che chi governa prende per fare campagne elettorali dietro campagne elettorali invece che per amministrare la cosa pubblica ed il “preminente interesse della nazione”. Tanto che perfino l’analisi costi-benefici commissionata dal Ministero alle Infrastrutture pentastellato risulta irricevibile dall’Unione europea in quanto di parte e non rispondente agli standard dettati dall’Ue per queste commissioni di valutazione. L’Ue, per inciso, pretende esattamente quei requisiti che erano parte costituente dei valori declamati dal M5S al tempo, quando asserivano insieme alla forza prorompente della comunicazione firmata Beppe Grillo che tutti gli incarichi pubblici dovrebbero passare da pubblici concorsi o avvisi di interesse con valutazioni curriculari e di eventuali conflitti di interesse. La Commissione che ha valutato costi e benefici sulla TAV per i pentastellati invece non risponde a nessuno dei predetti requisiti ed è stata scelta arbitrariamente dal committente della valutazione costi-benefici. Tutto il teatrino – su Diciotti, TAV, TAP, Ilva, reddito di cittadinanza e quota cento, sicurezza ed immigrazione – proviene tra l’altro da due capi politici che sono al contempo vicepremier e sovraccaricati ministri. Tanto impegnati da potersi però permettere di partecipare in prima persona a programmi radiofonici al mattino e programmi Tv a sera per coronare la solita intensa giornata di tweet e dirette streaming a social unificati. Il ministro dell’Interno è addirittura impegnato in una stanziale campagna elettorale in Sardegna, dopo quella in Abruzzo, che completa la giornata di “Chi l’ha visto?” al Viminale.
Altro legittimo sospetto riguarda quindi la demarcazione netta con cui i reucci della propaganda stiano creando due diverse ed eternamente parallele realtà: quella che si racconta agli italiani creduloni e quella vera. Passando quindi da un inesistente problema di sicurezza nazionale nel caso della Diciotti ad un tunnel principale di sei chilometri esistente ma che scompare magicamente per gli elettori, è tutto un cambiare la realtà sostituendola con quello che agli elettori può piacere sentirsi dire in vista di nuove importanti elezioni. Non certo quelle in Abruzzo ed in Sardegna, dove sembra che un invisibile allegato al Contratto di Governo abbia anche concordato la pacifica divisione delle Regioni come in una Prima o Seconda Repubblica. Le elezioni in cui si giocano tutto sono quelle che si terranno tra meno di cento giorni e che potrebbero distruggere tutto quello che di buono ha l’Unione europea nel caso vincessero i Salvini, i Di Maio, gli Orban, i Kurz e le Le Pen. Uno scenario che fa accapponare la pelle, ma non meno di quello già in attuazione entro i confini nazionali, dove si racconta la volontà di tagliare un’infrastruttura in ampia parte finanziata dall’Ue – con fondi che eventualmente perderemmo – in favore di maggiori investimenti per il trasporto locale a cui in realtà sono stati applicati ulteriori nuovi tagli con la Legge di Bilancio dello Stato approvata eludendo il Parlamento italiano.
A far drizzare il pelo ci si mette poi un ultimo legittimo sospetto sulla reale politica da origini della Prima Repubblica che il Governo costituito dal M5S alleato con la Lega – che a sua volta è alleata con Forza Italia e Fratelli d’Italia che non sembrano disdegnare a loro volta la corrente renziana del PD – sembra accingersi ad attuare con l’azzeramento del piano industriale ed infrastrutturale delle grandi opere del Paese da una parte e l’intenzione di mettere mano al Codice degli Appalti – che dovrebbe, qualora davvero messo in esecuzione, ridurre la corruzione negli appalti pubblici – dall’altra. La conseguenza di questa paventata duplice azione sarebbe un viaggio a ritroso nel tempo fino all’epoca in cui la corruzione creava debito pubblico, grandi opere incompiute ed il ritardo infrastrutturale e sociale che tanto sta costando ai giorni nostri nella comparazione con lo standard europeo. Quei tempi in cui tutto quello che atteneva a fondi pubblici era oggetto di corruzione e tangenti, in cui i partiti si finanziavano mediante i cantieri pubblici con cui i leader locali si arricchivano ed arricchivano di potere politico ed influenza i partiti di appartenenza. Questo legittimo sospetto ritorna dall’apertura di questa lunga riflessione in cui ci si chiede se l’azzeramento del lavoro già svolto e cantierato non serva soltanto a ridiscutere, come si faceva un tempo, gli accordi illeciti ed occulti legati ad ogni singola grande opera. Forse, con una punta ulteriore di sospettoso dubbio, non a caso i bandi di gara per le ulteriori opere di proseguo cantiere TAV scadono tra un paio di settimane. Ma, a questo punto, tra i “prima gli italiani” ed i “prima gli ultimi” dei rispettivi partiti di Governo ci si deve chiedere: la formula non dovrebbe essere quella che rende gli italiani non più ultimi tra gli europei e li libera da mafia e corruzione? L’unico dato certo è intanto il drastico rallentamento della produzione industriale italiana ed il devastante arretramento del settore trasporti nazionale.
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