di Mauro Seminara
Il caso di Alexandre Benalla è una brutta spina conficcata nel fianco del presidente della Francia Emmanuel Macron. Malgrado della vicenda si senta parlare decisamente poco, in Francia il caso ha raggiunto un alto livello di criticità per l’Eliseo, tanto di spingere con pressioni politiche per far chiudere i battenti alle commissioni d’inchiesta del Senato francese. L’ordinamento legislativo d’oltralpe, per certi aspetti simile a quello dei “cugini” italiani, consente al Senat di avviare specifiche Commissioni d’inchiesta su approvazione di documentate mozioni dei senatori. Nel caso che ha investito Macron qualche giorno dopo il primo maggio dello scorso anno, la mozione è stata proposta dai senatori Jean-Pierre Sueur e Muriel Jourda. La Commissione ha quindi esaminato tutto un ricco e sorprendente fascicolo sull’uomo addetto alla sicurezza personale del presidente Emmanuel Macron scoprendo, anche grazie alle inchieste giornalistiche di Le Monde e Mediapart, che dietro le mansioni di guardia del corpo si nascondevano attività di intelligence extra istituzionali. La parte politica di Macron ha quindi insistito perché la Commissione parlamentare d’inchiesta chiudesse il fascicolo in quanto relativo ad un provvedimento giudiziario in corso di svolgimento, essendo Alexandre Benalla rinviato a giudizio insieme al collega Vincent Crase. Ma il gruppo di lavoro istituito dal presidente del Senato, Gerard Larcher, con il suo relatore Francois Pillet, ha proposto di “revocare il divieto di costituire assemblee parlamentari per commissioni di inchiesta su fatti che sono oggetto di procedimenti giudiziari aperti”. Il lavoro della Commissione voluto dai senatori Jourda e Sueur, ed appoggiato dal presidente del Senato Larcher, ha reso pubblico il fascicolo sul bodyguard-spia del presidente Macron.
L’incidente del primo maggio 2018
Alexandre Benalla e Vincent Crase partecipavano alle attività di pubblica sicurezza in qualità esclusiva di osservatori per conto della Presidenza della Repubblica francese. Gli osservatori, però, sono stati videoregistrati mentre davano libero sfogo ad ingiustificata violenza nei confronti di manifestanti. In particolare, la sequenza da cui tutto ha avuto inizio vede Alexandre Benalla – con indosso un casco della polizia – trascinare un manifestante fuori dal gruppo e pestarlo con violenza mentre questo si trova indifeso a terra. La vicenda viene scoperta e pubblicata, dopo certo riscontro da parte di Le Monde che ha analizzato il video, il 18 luglio dello stesso anno. Nel frattempo, il 2 maggio, all’insaputa della pubblica opinione, il Ministero dell’Interno, la Prefettura e lo stesso Eliseo vengono informati dell’accaduto. Il 4 maggio viene sospeso dal servizio dal servizio Alexandre Benalla, che però viene reintegrato nella continuità di silenzio viene reintegrato e riprende le sue funzioni di responsabile della sicurezza del presidente il 22 maggio. Soltanto il 19 luglio, il giorno successivo alla pubblicazione da parte di Le Monde, il pubblico ministero decide di aprire un fascicolo a carico di Alexandre Benalla. Da quel momento, il vaso di Pandora viene aperto e hanno inizio i problemi per Emmanuel Macron. Problemi che non riguardano soltanto aspetti interni alla Francia ma che arrivano a passaporti diplomatici e strani viaggi in Ciad di Benalla che anticipano la visita ufficiale del presidente e quindi anche l’intervento militare dei Mirage 2000 in Libia contro le colonne di miliziani che combattono contro il presidente Idriss Deby.
Il fascicolo Benalla
Le prime conseguenze del caso Benalla relativo al pestaggio, in tenuta da agente di polizia, del primo maggio 2018 travolgono anche tre agenti veri che hanno consegnato al capo della sicurezza del presidente delle riprese dei circuiti di videosorveglianza con cui era possibile identificare i manifestanti del primo maggio. Al 22 luglio, quattro giorni dopo lo scoop di Le Monde, Alexandre Benalla, Vincent Crase ed i tre agenti di polizia vengono posti sotto custodia cautelativa ed incriminati per i fatti del primo maggio. Ma il caso che brucia all’Eliseo è quello di Benalla, ed al 22 luglio era ancora impossibile comprenderne le ragioni. Alexandre Benalla, si scoprirà, era in possesso di un passaporto diplomatico per il quale non aveva alcun titolo, e di un telefono protetto come quello di cui dispongono diplomatici ed alte cariche dello Stato. Telefono che, tra l’altro, non viene restituito neanche dopo la riconsegna di tutta la dotazione di servizio fatta da Benalla a seguito del proprio licenziamento ufficiale con effetto al primo di agosto. Telefono d cui è rimasto in possesso fino al 16 gennaio di quest’anno, data in cui la circostanza viene rivelata pubblicamente da Chained Duck che ha ripreso una udienza del procedimento a carico dell’ex capo della sicurezza di Macron. Il giorno successivo Benalla viene nuovamente posto in regime di custodia cautelare ed il 18 gennaio è stato anche incriminato per i suoi passaporti.
Alexandre Benalla è intanto un caso da inchiesta giornalistica, oltre che dell’autorità giudiziaria e di quella parlamentare. Sulle sue tracce si lanciano anche i mastini di Mediapart, la redazione di giornalisti investigativi creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde Edwy Plenel. Mediapart scopre e pubblica un selfie di Benalla risalente all’aprile del 2017 in cui, a margine di un’uscita pubblica dell’allora candidato all’Eliseo Emmanuel Macron, il non autorizzato alla dotazione ed uso delle armi Alexandre Benalla posa con la sua pistola. Ma queste sono soltanto le prime curiosità sul caso che la stampa francese aveva rivelato – il 24 settembre 2018 – per iniziare così a stuzzicare l’appetito dei lettori mentre rovistava più a fondo nella sospetta vita dell’uomo del presidente. La bomba arriva infatti due tre mesi più tardi con un’altra scoperta, fatta nuovamente da Mediapart, relativa ad uno strano finanziamento che un oligarca russo aveva dato al gruppo di addetti alla sicurezza di Vincent Crase. Un contratto da 300.000 euro. Mediapart indaga ancora e l’11 febbraio, appena due settimane fa, rivela il ruolo di Alexander Benalla nella negoziazione e nella conclusione di due – non uno singolo – “contratti russi” relativi a prima del suo licenziamento uno e dopo la sua estromissione dall’Eliseo l’altro.
Il 2018 si era intanto concluso con una intensa attività che arriva al 28 dicembre, data in cui il presidente ed i relatori della Commissione d’inchiesta del Senato scrivono all’Eliseo per chiedere ufficiali spiegazioni in merito al passaporto diplomatico con cui Benalla ha viaggiato all’estero per mesi e di cui ha reso pubblica la notizia ancora una volta Mediapart il 27 dicembre, tre giorni dopo che Le Monde aveva rivelato il viaggio del capo della sicurezza di Macron in Ciad all’inizio di dicembre per incontrare il presidente ciadiano Idriss Deby e gli alti funzionari del regime. Il 20 febbraio la Commissione d’inchiesta del Senato francese ha chiuso la sua relazione e, autorizzata, l’ha resa pubblica malgrado nel frattempo c’era stato il tentativo di chiuderne i lavori per il contemporaneo svolgimento del processo a carico di Benalla. La vicenda però aveva anche acceso un faro sull’altro “osservatore” presente il primo maggio 2018 insieme ad Alexandre Benalla: Vincent Crase.
Chi è Vincent Crase
Le dimissioni di Vincent Crase arrivano soltanto il 7 febbraio e fino a quel momento l’uomo era rimasto a capo della sicurezza del primo ministro francese. A scatenare l’altro polverone e causare le dimissioni di Crase è un’intercettazione con cui viene registrata una conversazione illecita con Alexandre Benalla. I due, nel frattempo, si era saputo che condividono una lunga storia comune che viene documentata a ritroso fino al 2009. In quell’anno, Alexandre Benalla si unisce alla riserva della Gendarmeria Nazionale dove trova il suo preparatore: Vincent Crase. Tra il 2009 ed il 2016, Benalla e Crase conducono percorsi paralleli. Poi qualcosa cambia ed i due si ritrovano letteralmente fianco a fianco per le dimissioni del ministro dell’Economia Emmanuel Macron. L’ex titolare delle finanze francesi lascia il suo Ministero ad agosto ed a novembre si candida per la Presidenza della Francia. Benalla e Crase entrano a far parte della squadra di sicurezza del candidato Macron fino al giorno in cui, eletto presidente della Francia il 7 maggio del 2017, l’ex ministro dell’Economia li assume all’Eliseo (Benalla già a maggio e Crase a novembre come riservista al comando militare dell’Eliseo dopo essere rimasto qualche mese nella sicurezza del partito di Macron).
Gli affari in Ciad di Macron e le missioni di Benalla
Le missioni in Ciad di Alexandre Benalla esulano dalle competenze del responsabile sicurezza del presidente. Le mansioni di un addetto alla sicurezza personale non prevedono infatti la dotazione di un passaporto diplomatico e visite che precedono quella istituzionale del presidente di parecchio tempo. Escludendo quindi l’organizzazione della sicurezza per la visita di Emmanuel Macron alla corte del regime di Idriss Deby, resta il dubbio che Alexandre Benalla fosse segreto emissario del presidente nel Paese africano in cui la Francia ha interessi e missioni militari. Benalla risulta quindi uomo che si muove su più fronti delicati e per strani affari, come la Russia ed il Ciad, e che viaggia molto all’estero con la protezione di un passaporto diplomatico di cui l’Eliseo deve ancora rispondere. Ma in Ciad, fino a quando non emergerà un segreto filo diretto tra Macron e Putin di cui Benalla è stato tramite, l’affare è di Stato e riguarda l’intera Francia. Un affare che si chiama “Operazione Barkhane”. Sotto questo nome convenzionale, la Francia continua la propria missione militare nella fascia subsahariana del continente africano a protezione dei propri interessi e dei propri investimenti. Interessi che sparsi tra Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad: il Sahel. Una fascia africana in cui prima del 2011 qualcosa sembrava voler cambiare ed il cambiamento non era certamente ben visto dalla Francia.
Alcuni dei Paesi del Sahel avevano infatti sposato il progetto di Muammar Gheddafi di coniare una valuta unica per costituire così una borsa africana. Sarebbe infatti nato quel Dinaro Africano che il leader libico presentò al mondo, durante il suo periodo di presidenza dell’Unione africana, prima di veder arrivare quei Mirage e Tornado francesi da cui cadde la pioggia di bombe che distrusse la Libia. Dopo la guerra in Libia del 2011, il cui epilogo fu la barbara esecuzione del suo leader Gheddafi, in alcuni Paesi del Sahel – che per puro caso erano nell’elenco dei sottoscrittori del Dinaro africano e della conseguente rivoluzione economica – si registrarono dei colpi di Stato che ne rovesciarono l’ordinamento, ma solo dopo l’invio di migliaia di militari francesi a ristabilire l’ordine in quel Sahel fatto di Paesi “resi instabili dalla guerra civile libica” (si dirà nella narrazione ufficiale). Tra questi Paesi c’è appunto il Ciad di Idriss Deby, un regime totalitario protetto dalla Francia di Nicolas Sarkozy fino a quella di Emanuel Macron. Sarkozy è stato adesso chiamato a fornire tutte le spiegazioni dovute ai francesi sul finanziamento che il colonnello Gheddafi gli aveva fornito per la campagna elettorale presidenziale. Emmanuel Macron rischia di dover fornire spiegazioni sul perché il suo particolare capo della sicurezza, con tanto di indebito passaporto diplomatico, si recava in Ciad ad incontrare il dittatore prima della visita presidenziale e quindi prima che i Mirage 2000 della Difesa francese avviassero missioni e raid in Libia bombardando gli oppositori di Idriss Deby in territorio libico.
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