di Fulvio Vassallo Paleologo
1
La situazione in Libia si aggrava sempre più, mentre i comunicati ufficiali che danno una data sempre più lontana per le elezioni che secondo quanto pubblicizzato dopo il fallimentare vertice di Palermo dello scorso anno avrebbero dovuto svolgersi entro la prossima estate. Ma il governo di Tripoli (GNA) vuole che i comandi dell’esercito passino sotto il controllo civile, mentre il generale Haftar non ha nessuna intenzione di cedere al suo avversario Serraj una armata (LNA) che ormai controlla la maggior parte della Libia e minaccia direttamente Tripoli. Continua il supporto italiano al governo di Tripoli. Al sud lo scenario è sempre più fosco, con la chiusura delle frontiere dei paesi confinanti con la Libia (da ultimo il Chad), una guerriglia a bassa intensità nel Fezzan dove si temono reinsediamenti di frammenti di gruppi terroristici, ed una tregua armata con il Sudan, che chiude le frontiere con la Libia. Anche in Niger si rileva la chiusura della frontiera. A guadagnarci sono solo i trafficanti collusi con le milizie e le autorità di governo che incassano dall’Unione Europea e dagli stati che si fanno concorrenza tra loro (come Francia, Italia e Germania). Aumenta la preoccupazione dei paesi confinanti come la Tunisia, che avvertono, a differenza degli europei, tutti i rischi di una deflagrazione della questione libica e rifiutano in blocco qualsiasi prospettiva di offrire piattaforme di sbarco per i migranti intercettati in acque internazionali. Anche il confine tra Algeria e Libia risulta chiuso.
Mentre sino allo scorso anno era relativamente facile e poco costoso per le persone migranti in fuga dai regimi e dalle guerre dell’Africa subsahariana raggiungere le coste del Mediterraneo attraverso la Libia, queste rotte sono diventate adesso sempre più difficili, tra la crescente corruzione delle guardie di frontiera e la crudeltà delle milizie che prendono in ostaggio i migranti come merce da scambiare o da vendere al migliore offerente. Questa situazione, che determina costi umani incalcolabili è la ragione vera del calo delle partenze dalle coste libiche, non certo effetto della politica di deterrenza attuata dal governo italiano con l’abbandono delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali (SAR) dopo la autoproclamazione della cd. zona SAR “libica” da parte del governo Serraj. Non è certo la guerra contro le ONG o la politica dei porti chiusi che hanno ridotto gli arrivi in Italia, che ancora continuano, sia pure in misura ridotta, nel silenzio dei mezzi di informazione e delle autorità governative. Come è calato il silenzio sui soccorsi e sulle stragi sulla rotta del Mediterraneo centrale, che viene citata soltanto per i corsi di formazione che si stanno programmando per gli ufficiali della guardia costiera “libica”, con il supporto europeo, o per snocciolare l’elenco di motovedette che i diversi paesi europei regalano al governo di Tripoli per esternalizzare le prassi di delega dei respingimenti collettivi, che sarebbero altrimenti vietati dalle Convenzioni internazionali. Tutto questo continua a ripetersi nell’indifferenza della prevalente opinione pubblica, con la complicità manifesta di chi continua a propagandare il blocco navale per conquistare altro consenso elettorale.
2
Rimangono sotto stretta censura (militare) i casi di soccorso in acque internazionali che ancora continuano a ripetersi, si lascia ai margini della cronaca la strage programmata che si sta verificando a terra in Libia, ai danni dei migranti, sia di quelli più “fortunati” che sono costretti al lavoro forzato, che di quelli internati nei tanti centri di detenzione, siano essi “governativi” o gestiti dalle milizie. In tutti questi centri di detenzione, senza alcuna possibile distinzione, e anche quando si permettono visite occasionali da parte dell’UNHCR e dell’OIM, che riescono ad aprire modesti corridoi umanitari (più spesso verso il Niger) e ad evacuare alcune centinaia di persone all’anno con i rimpatri assistiti verso i paesi di origine, come nel caso della Nigeria. Adesso le denunce degli abusi commessi dalle milizie libiche arrivano anche dall’UNHCR.
Per tutti coloro che vengono intercettati in acque internazionali dai libici o che rimangono nei centri di detenzione, malgrado la registrazione dell’UNHCR come “soggetti vulnerabili”, dunque meritevoli di protezione internazionale, non ci sono vie di fuga, se non trovare qualche trafficante e pagare a caro prezzo la liberazione e la possibilità di fuga attraverso il Mediterraneo. Spesso anzi, sono gli stessi trafficanti che entrano a loro piacimento nei centri di detenzione e scelgono chi portare via, la “merce” umana che gli può rendere più danaro, con il consueto sistema delle estorsioni a mezzo telefono praticate facendo ascoltare ai parenti dei migranti le urla dei loro congiunti sotto tortura. Chi si ribella rischia le torture più terribili. Centinaia di testimonianze e diversi rapporti confermano queste pratiche ormai generalizzate su tutto il territorio libico dalla fine del 2017, ma questa consapevolezza diffusa non impedisce il mantenimento, e addirittura l’inasprimento, degli accordi bilaterali stipulati dall’Italia con il governo di Tripoli, con un atteggiamento pilatesco delle autorità europee. Una scelta politica che presto sarà al vaglio delle Nazioni Unite per la sua contrarietà al diritto internazionale.
Come rileva l’OHCHR, “We are also concerned about the continuing smear campaigns against civil society organisations engaged in search and rescue operations in the Mediterranean Sea, as well as the criminalisation of the work of migrant rights defenders, which have become more widespread in Italy,” UN experts recalled. The Italian Government, among others, has made it nearly impossible for NGO ships to continue rescuing migrants in the Mediterranean Sea, they said. This has led to more migrants drowning or going missing. “Saving lives is not a crime. Protecting human dignity is not a crime. Acts of solidarity and humanity should not be prosecuted”, the experts stressed.
Il riconoscimento da parte dell’Italia (e dell’Unione Europea) di una zona SAR (ricerca e salvataggio) “libica” che si estende fino a 80 miglia dalla costa rende ancora più difficile trasferire i migranti, che vengono soccorsi in alto mare (spesso da una nave commerciale), verso un porto sicuro in Europa. Le motovedette libiche dopo avere minacciato le navi umanitarie delle ONG adesso impongono alle navi commerciali che intervengono nelle attività SAR di fare rotta verso un loro porto, da dove i migranti vengono trasferiti in poco tempo verso un centro di detenzione. Perchè ormai per i libici, in contrasto con le Convenzioni internazionali che non hanno mai firmato o riconosciuto, sembra non esservi più differenza tra le acque territoriali dove qualsiasi stato può esercitare una piena sovranità, e la zona SAR (ricerca e salvataggio) in acque internazionali, dove dovrebbe vigere il principio della libera navigazione, e che secondo le Convenzioni internazionali è stabilita all’esclusivo fine di soccorrere le persone, e non certo per “difendere confini” o creare impossibili linee di frontiera “galleggianti” in alto mare. Per tutte queste ragioni dovrebbe sospendersi immediatamente la zona SAR “libica” e si dovrebbero organizzare missioni europee e internazionali di ricerca e soccorso in acque internazionali sul modello italiano dell’Operazione Mare Nostrum del 2014, con un coinvolgimento attivo delle ONG, come era avvenuto dal 2016 al giugno del 2017, con il pieno rispetto delle Convenzioni internazionali. Fino a quando la politica non aveva deciso che il soccorso in mare costava troppo in termini di consenso elettorale.
3
Non sembra possibile che nel breve periodo queste politiche di morte possano essere battute, e resterebbe comunque un contrasto sempre più evidente tra le attività di contrasto di quella che si definisce come “immigrazione illegale”, ed il riconoscimento dei diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, che spetta a qualsiasi persona, in qualsiasi paese si trovi. Nessun accordo internazionale e nessuna prassi di polizia, sia pure per difendere interessi nazionali o linee di frontiera, può violare il diritto alla vita ed il divieto di trattamenti inumani o degradanti sanciti dalle Convenzioni internazionali e dunque riconosciuti anche dalla Costituzione italiana (in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 117 della Costituzione). Ma coloro che hanno sottoscritto quegli accordi disumani, o che li hanno inaspriti a livello di prassi, continuano a godere di un largo consenso, e dunque, malgrado evidenti contraddizioni a livello internazionale, non appare facile impedire che le loro politiche omicidiarie proseguano tra l’indifferenza di molti e la complicità di chi specula per guadagnare consenso elettorale. Anche la richiesta di Amnesty International, per ricreare un sistema di ricerca e soccorso condiviso nel Mediterraneo sembra destinata a rimanere senza ascolto.
4
Per salvare le vite dei migranti intrappolati in Libia e di quanti vi sono riportati indietro dalla sedicente Guardia costiera “libica”, alla mercé di milizie ormai fuori controllo, non ci si può limitare ad una iniziativa politica a livello nazionale. Le organizzazioni non governative ed i cittadini solidali non si tireranno certo indietro nel rispetto più assoluto dell’obbligo di soccorso in mare, e tutte le inadempienze degli stati verranno monitorate e denunciate. Occorre anche rilanciare una comunicazione che smentisca i tanti falsi che vengono spacciati in materia di “sbarchi”. Ma intanto i migranti continueranno a subire abusi quotidiani in Libia, i porti in Italia resteranno “chiusi” per l’azione sinergica del governo e di alcune procure, le motovedette della Guardia costiera ed i mezzi della marina saranno ritirati dalle attività SAR, o tenuti all’ormeggio in porto, come si sta verificando a Catania ed a Lampedusa, come del resto avviene da tempo con le unità delle missioni Frontex ed EunavforMed. Adesso siamo arrivati al punto che, al termine dell’ennesima disputa con le autorità maltesi, per non completare tempestivamente una operazione di soccorso una unità italiana inserita nel dispositivo Frontex dichiara “avaria”, una palese conseguenza delle scelte politiche del ministro dell’interno. Come se nel Mediterraneo centrale non esistesse un intero dispositivo aero-navale italiano capace di intervenire con la massima rapidità, quando si vuole davvero rispettare il diritto internazionale del mare.
Conferma questo disimpegno deciso dal governo, il disarmo parziale delle motovedette della guardia costiera in porto a Lampedusa, che da quattro sono scese a due, e non intervengono più come facevano in passato, con grande efficacia, in acque internazionali. Alla fine intervengono più spesso le autorità maltesi, come è successo ancora ieri, ma questo non può essere addotto come un successo da nessuno, perchè, come si è verificato in passato, i ritardi negli interventi e l’omissione di soccorso programmata con il ritiro delle navi della Marina e della Guardia costiera, oltre che con il blocco imposto alle ONG, possono costare ancora centinaia di vite umane che vanno direttamente a carico della responsabilità di chi esibisce i dati della “tolleranza zero” contro gli sbarchi.
A fronte di queste condotte omissive occorre promuovere al più presto una vasta mobilitazione internazionale per promuovere una evacuazione su larga scala dei migranti intrappolati in Libia, per consentire loro di raggiungere paesi terzi sicuri, e di accedere quando ne abbiano titolo alla protezione internazionale, in Europa o in altre parti del mondo quando ci siano stati che offrano la loro disponibilità. Per i rapporti intercorsi fin qui con gli stati africani, ed anche per il proprio trascorso coloniale, che adesso rivive con una accesa concorrenza per accaparrarsi le materie prime, gli stati europei non si possono sottrarre alle loro responsabilità, non fosse altro che per ragioni di continuità storica e di prossimità geografica. Questo impegno richiede una revisione straordinaria del Regolamento Dublino 3 per la redistribuzione dei richiedenti asilo su scala europea, un Regolamento che le destre populiste e nazionaliste hanno voluto bloccare quando era ancora possibile una riforma. Oggi, mentre incombono le elezioni europee, ed anche sul diritto di asilo si sta facendo propaganda elettorale, occorre trovare misure urgenti di solidarietà che sottraggano alla negoziazione tra stati giocata tutta sulla pelle delle persone, i criteri di riparto e quindi la condivisione degli oneri di accoglienza. Ma a differenza di quanto sembra progettare la Commissione Europea, dovranno essere stabiliti criteri di riparto che non replichino la distinzione tra “migranti economici” e “richiedenti asilo”, per ricacciare nella clandestinità persone che comunque sarà ben difficile rimpatriare, senza ledere i loro diritti fondamentali, ma che tengano conto del periodo trascorso i Libia e degli abusi e delle violenze generalizzate che hanno subito tutti i migranti che sono giunti in Europa transitando da quel paese da anni in mano a miliziani e trafficanti, che riescono persino a scambiarsi i ruoli.
5
Occorre dunque rendere praticabile al più presto, per coloro che sono intrappolati in Libia, l’accesso a luoghi protetti nei quali sia possibile il rilascio di visti umanitari UE e il trasferimento verso altri paesi, non escluso il paese di origine (rimpatrio volontario) quando sia effettivamente richiesto e non sia piuttosto frutto di una imposizione. Non le piattaforme di sbarco a lungo vagheggiate dall’Unione europea, ma piattaforme di sicurezza e di imbarco verso paesi sicuri, nei quali fossero rispettate le norme internazionali sulla protezione dei diritti fondamentali della persona a partire dal diritto alla protezione internazionale. Una nuova proposta che deve passare a livello europeo.
La normativa europea prevede questa possibilità, che una sentenza “politica” della Corte di Giustizia UE di Lussemburgo del 2016 sembra restringere, ma che oggi costituisce forse l’unico mezzo per aprire canali legali di resettlement dalla Libia verso paesi sicuri dove le persone non rischino di subire quotidianamente trattamenti disumani o degradanti.
Come ricordava nel suo parere dissenziente l’avvocato generale presso la Corte, Mengozzi, quel visto di ingresso per motivi umanitari poteva essere rilasciato dai paesi che accettavano di prendere in carico i migranti per sottrarli agli abusi, in qualsiasi paese, come in Libia. Una prospettiva opposta, certo, rispetto a quella praticata dall’attuale governo italiano, in parte anticipata dal precedente governo Gentiloni, che si limitava ad usare le gravi violazioni subite dai migranti trattenuti nei centri di detenzione libici o intercettati dalla sedicente Guardia costiera “libica” in acque internazionali, come uno strumento di deterrenza rispetto ai fattori di spinta che sarebbero stati costituiti dalla presenza delle navi delle ONG in acque internazionali. Se nella politica nazionale ed europea si vuole dare davvero un segnale di discontinuità, è su questo terreno che ci si dovrà confrontare. Prima la vita, prima le persone, della rincorsa alla sicurezza ad ogni costo. Perchè la vera sicurezza può venire soltanto dal rispetto del diritto internazionale, dalla condivisione e dal rispetto reciproco in quanto esseri umani, e non dalla chiusura o dalla esternalizzazione delle frontiere, o peggio dall’odio e dalla discriminazione.
Articolo redatto dal professor Fulvio Vassallo Paleologo per ADIF