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Biagio Grasso e le relazioni pericolose della borghesia messinese

di Antonio Mazzeo

Imprenditori che non perdono occasione per fare le scarpe ai propri soci stringendo alleanze più o meno indigeste con le nuove leve della criminalità mafiosa. Famiglie della buona borghesia locale che transitano da affare in affare e fallimento in fallimento senza però perdere il sostegno delle holding bancarie. Spericolate e spregiudicate operazioni finanziarie per realizzare centri commerciali e complessi immobiliari dal devastante impatto socio-ambientale. Ambigue figure di commercialisti e avvocati che pianificano tortuose triangolazioni di denaro per occultare il marcio di una Messina tutta da bere e da dimenticare. All’ultima udienza del processo Beta sull’infiltrazione della “famiglia” Romeo-Santapaola nell’economia legale e illegale peloritana (12 marzo 2019), il costruttore Biagio Grasso, neocollaboratore di giustizia, è tornato a parlare di alcune delle trame criminali che lo hanno visto attore e pure vittima. Tema chiave del lungo esame del teste, il ruolo del professionista Ivan Soraci, uomo di mezzo tra una certa Messina multi-imprenditrice e il clan guidato dal boss Vincenzo “Enzo” Romeo, già condannato in primo grado con rito abbreviato a 15 anni e 2 mesi di reclusione e da qualche giorno ristretto al 41bis. Ivan Soraci, noto nell’ambiente Grasso-Romeo come Signor I “per il suo tono nobiliare” è stato incriminato nella seconda tranche del procedimento Beta di associazione a delinquere di stampo mafioso, reinvestimento di capitali di provenienza illecita ed estorsione.

Da barista e pasticcere a imprenditore-costruttore

“Ivan Soraci è stato il mio primo collegamento con Vincenzo Romeo”, ha esordito Biagio Grasso. “A Soraci lo conosco dal 2008, 2007 forse pure. Lui era dipendente di un mio ex socio all’interno della società P & F, il dottore Giuseppe Denaro; era nata anche una simpatia al principio e ci frequentavamo. All’epoca Denaro gestiva il bar Irrera a Messina e in questa attività Soraci aveva la funzione di direttore commerciale; successivamente credo che ha rivestito anche ruoli di amministratore di società. Ivan Soraci mi presentò Vincenzo Romeo dicendomi che era il nipote diretto di Nitto Santapaola e che poteva essere interessato a fare delle operazioni immobiliari su Messina o ad altre che stavo trattando in quel momento. Soraci mi presentò contestualmente anche Maurizio Romeo, fratello minore di Vincenzo, come soggetto operativo nel campo immobiliare, in quanto in quel momento era collaboratore di un’agenzia sul territorio messinese, credo nella titolarità dell’imprenditore Mancuso, il brand era Gabetti o un altro marchio nazionale importante. Me lo presenta come persona super corretta, facente parte di una famiglia importante, la famiglia di riferimento dei Santapaola, ragazzi seri con cui si poteva anche fare degli affari insieme”.

Secondo il collaboratore di giustizia, Ivan Soraci e i fratelli Romeo gli chiesero in particolare di agire congiuntamente per acquisire due società, la Se.Gi. S.r.l. e la Edil Raciti S.r.l. che aveva in costruzione dodici appartamenti in località Santa Margherita. “Questo è stato il mio primo approccio con loro e risale agli inizi dell’anno 2010”, ha spiegato Grasso. “In queste prime due operazioni si era raggiunto un accordo che i proventi dovevano essere divisi in quattro quote: il 25% io, il 25% Vincenzo Romeo, il 25% Maurizio Romeo e il 25% Ivan Soraci. La Se.Gi. è stata acquisita attraverso una società di comodo di nome Solea S.r.l. intestata fittiziamente al dottore Fabio Lo Turco presentatomi da Ivan Soraci e dai fratelli Romeo come persona di fiducia che poteva coprire per conto nostro tutto l’assetto societario. Il problema di trovare una terza persona era dovuto al fatto che i Romeo non volevano essere ricondotti in prima persona a questa operazione. La stessa cosa Ivan Soraci perché nelle more era ancora amministratore e credo già di un’altra società sempre facente capo a Giuseppe Denaro. E per quanto riguarda me invece, volevo restare coperto in quanto avevo delle problematiche con le banche con la mia società LG Costruzioni S.p.A.. Quindi sia la Edil Raciti che la Se.Gi. S.r.l. furono acquisite attraverso la Solea S.r.l. per questi motivi. I soldi li abbiamo messi io e Vincenzo Romeo coprendo le quote anche di Soraci e Maurizio Romeo”.

“Ivan Soraci mi aveva messo in contatto con il gruppo Santapaola-Romeo per fare questi investimenti e quindi voleva riconosciuto, come poi è stato, il 25% degli introiti”, ha aggiunto Biagio Grasso. “Successivamente al blocco della concessione edilizia per la costruzione al Torrente Trapani, il Soraci è stato il promotore per la separazione della società e quindi mi ha quasi obbligato a prendere tutte le quote della Solea S.r.l. riconoscendo un importo di 600 mila euro da dovere erogare a lui e agli altri due soci, cioè a Vincenzo Romeo e Maurizio Romeo. Importi che ho cominciato a estinguere con denaro che proveniva dalla società Else S.p.A. di Milano che nelle more avevo acquisito insieme al costruttore Carlo Borella. Successivamente sono stato invece costretto a vendere il 33% delle quote che detenevo attraverso la Carmel S.r.l., fittiziamente intestata a mio padre che non era a conoscenza di tutte queste vicende. Ho venduto una quota pari a 220 mila euro, quindi quasi ad un terzo del valore del mercato, allo stesso Giuseppe Denaro che a sua volta è stato costretto ad acquistare sotto pressioni e minacce fatte da Ivan Soraci in prima persona e poi da Maurizio Romeo. Soraci è stato il promotore del dissidio che nasce al principio con me e i fratelli Romeo e poi si appiana solamente con una parte dei fratelli Romeo e quindi con Vincenzo Romeo. E nasce soprattutto dal fatto che il Soraci imputava a me la superficialità nel non aver valutato bene che la concessione edilizia che era stata rilasciata per la costruzione dei 300 appartamenti al Torrente Trapani era in fase di revoca. Era palese che la prese come escamotage per pretendere e ricevere la sua parte di 200 mila euro nella maniera più rapida possibile”.

Stando sempre a quanto raccontato da Grasso, inizialmente Soraci aveva preteso un risarcimento molto più esoso, ma il debito era stato poi ridimensionato dai Romeo. “Vincenzo Romeo, per chiudere in maniera bonaria la vicenda insieme a me, si era dato un valore complessivo di probabili utili all’operazione, e quindi di perdite che io dovevo assumere l’onere in quanto promotore ed esperto del campo, per un valore complessivo di 800 mila euro. Considerato che un quarto di questa somma era mia, il valore da restituire alle tre parti corrispondeva a 600 mila euro, 200 mila per quota, a fronte di un investimento iniziale intorno a 100 mila euro che abbiamo solamente messo io e Vincenzo Romeo. Ivan Soraci mi ha messo contro i fratelli Romeo in maniera anche abbastanza pesante già in quella fase. La richiesta è stata fatta all’incirca dopo qualche mese che avevamo avuto la notifica della sospensione della concessione edilizia, intorno all’estate del 2010. Successivamente ho cominciato a trovare la forma per liquidarli e consegnai come prima trance 150 mila euro nell’estate nel 2011 in assegni circolari trasferibili di importo di 5 mila euro, non ricordo se intestati tutti a Fabio Lo Turco e poi girati a terze persone. Gli assegni erano della Banca di Credito Artigiano di Landriano e furono tutti quanti regolarmente incassati la maggior parte da soggetti vicini ai fratelli Romeo e per una parte direttamente da Ivan Soraci e Fabio Lo Turco che si è prodigato a cambiare le somme e a consegnare i contanti a Soraci e ai due fratelli Romeo. Specifico che per quanto riguarda questi titoli ci sono gli atti depositati nel processo che pende a Milano per il fallimento di Else S.p.A.. La consegna degli assegni fu preceduta da incontri che ho avuto con Ivan Soraci e Maurizio Romeo. Sono venuti due volte a Milano, hanno dormito presso uno degli alberghi convenzionati con la nostra società dove dormivano i dirigenti che venivano dalla Sicilia. In una delle ultime volte sono stato anche minacciato in maniera violenta da Maurizio Romeo ma soprattutto anche da Ivan Soraci. Ricordo pure il posto: eravamo in via Fabio Filzi, in zona stazione centrale. Per minacciarmi mi dissero che io sapevo con chi mi ero messo e che quindi dovevo mantenere l’impegno o altrimenti potevo avere delle conseguenze abbastanza gravi. Ricordo in particolare che addirittura i due incontrarono Giuseppe Barbera, che era un consulente della Else S.p.A. nominato da me e Carlo Borella. E il Barbera mi chiamò abbastanza allarmato dicendo: Guarda, ci sono questi due che hanno un’aria che non mi piace, ti vogliono venire a trovare presso l’ufficio. Cosa realmente poi accaduta: sono venuti presso l’ufficio di via Campanini, sono rimasti lì circa un’oretta e poi siamo usciti fuori a discutere perché la conversazione si era abbastanza animata”.

Messo alle strette, il giorno dopo Biagio Grasso si recò presso la banca di Landriano a ritirare due carnet di assegni. “Consegnai i titoli in un ristorante sempre adiacente alla zona di via Campanini in acconto alla maggiore somma di 600 mila euro”, ha specificato. “La società intestataria del conto era la ITC S.r.l., che era la controllante della Else S.p.A. ed era intestata a Ciro Maraniello e Roberto Forliano, due soggetti con cui avevamo fatto un accordo per mettere a disposizione la società per l’acquisizione della Else S.p.a. in liquidazione. Gli assegni sono stati firmati dall’amministratore della ITC Forliano, e consegnati trasferibili a Maurizio Romeo e Ivan Soraci. Se non ricordo male essi erano intestati a Fabio Lo Turco per evitare che venissero incassati da persone che non conoscevo, però potrebbe pure essere che siano stati lasciati in bianco su richiesta loro. In tutto erano trenta assegni da 5 mila euro e sono stati tutti incassati. Alcune somme pervennero a Giovanni Marano che era un personaggio in società con Vincenzo Romeo nel settore giochi. Altri vennero incassati da un altro personaggio sempre vicino a Vincenzo Romeo che ha un’azienda che ripara e produce biliardi, Tommaso Spampinato, che ci ha messo in contatto con alcuni clan della zona della Calabria. Tra le persone che li hanno incassati c’erano un tale Giovanni Parlagreco, soggetto sempre nel campo settore giochi e Tommaso Arria pure settore giochi vicino a Vincenzo Romeo. Gli assegni erano in verità per un importo di 4.980 euro; li ho fatti per qualche decina di euro in meno, perché superato i 5 mila diventavano non trasferibili e quindi non potevano essere incassati da terze persone. Per giustificare contabilmente questa movimentazione economica dentro l’ITC non ricordo se ho creato qualche partita chiaramente fittizia nei confronti di Fabio Lo Turco…”.

Il controverso affaire del Parrino dell’Irrera

Ovviamente per Ivan Soraci e i fratelli Romeo la partita con Biagio Grasso non si era chiusa, così subito dopo tornarono a incalzare il costruttore perché estinguesse il debito nei loro confronti. “In quel periodo il Soraci diceva che aveva delle problematiche finanziarie dovute a dei debiti che aveva fatto il fratello e che doveva dargli una mano e che quindi non poteva aspettare più questi soldi, gli servivano”, ha aggiunto il collaboratore. “Soraci era uno dei bracci destri di Giuseppe Denaro, gli gestiva anche i rapporti con i fornitori ed era anche amministratore di una delle società, forse la Irrera 1910. Pertanto era a conoscenza anche delle attività che aveva il Denaro e quindi lo era pure del fatto che io ero comproprietario insieme a Denaro e all’ingegnere Giuseppe Puglisi della P & F S.r.l. che aveva un terreno edificabile commerciale a Villafranca Tirrena acquistato da una società che aveva in gestione la liquidazione del territorio dove sorgeva l’ex Pirelli”.

“Considerato che una parte di questo terreno era già stato venduto per circa un milione e centomila euro alla ditta Eurospin per la costruzione di un supermercato, Soraci era anche a conoscenza del valore che poteva avere quest’area. Ragion per cui, mi convocarono e da qui in poi iniziò una pressione esasperata al fine di farmi decidere di vendere questa quota. Cosa che io, pensando che non trovassero nelle more un acquirente, acconsentii. Mentre in realtà loro già avevano in mente di proporre l’operazione a Giuseppe Denaro, il quale non era in quel momento nelle condizioni finanziarie di acquistarle. Era un mio socio e ci raffrontavamo spesso, quindi sapevo che aveva anche delle difficoltà per altre situazioni. In quel periodo Giuseppe Denaro aveva avuto un problema fallimentare in società che comunque gestiva insieme ai fratelli. Un fallimento dovuto a degli investimenti che il fratello maggiore aveva fatto in Sardegna per un cantiere nautico, se non ricordo male era il Terranova come brand, dopo di che avevano altre difficoltà economiche, almeno questo è quello che diceva lui, il Denaro”.

È stato possibile riscontrare che in quegli anni Filippo Denaro, fratello di Giuseppe, ricopriva il ruolo di amministratore e socio della Terranova Yacht s.r.l. di Porto di Lavagna, Genova, società produttrice di imbarcazioni di lusso con cantieri in Liguria e a Crotone. Nel febbraio 2006 la Terranova Yacht aveva inoltre concluso nella città sarda di Porto Torres l’acquisizione dell’area in cui erano stati ospitati i Cantieri del Tirreno. Successivamente Filippo Denaro aveva abbandonato il settore della cantieristica concentrando i suoi interessi in altri settori produttivi. Nominato vicepresidente di Confcommercio Messina nel luglio 2013, il mese dopo ricevette dal Gip del Tribunale di Messina l’ordine di sequestro dei beni a seguito di un’inchiesta sul procedimento fallimentare della Grasso Filippo & figlio S.r.l., società operante nella vendita al dettaglio di articoli di profumi con esercizi commerciali a Messina, Catania e Milazzo, di cui era stato amministratore delegato dal maggio 1999 al marzo 2003 il fratello Giuseppe Denaro. Il sequestro fu poi annullato l’anno successivo dal Tribunale del Riesame. Filippo Denaro ha ricoperto sino a poco tempo fa la carica di procuratore della Irrera 1910 S.r.l. la società titolare dell’omonimo prestigioso ritrovo bar-pasticceria di Messina di cui è stato “direttore commerciale” Ivan Soraci (Irrera 1910 è controllata quasi per intero dalla GDH S.r.l. dell’immancabile fratello Giuseppe; nel settembre 2015 la società ha ottenuto dal Cda del Teatro Vittorio Emanuele di Messina l’affidamento in concessione – con trattativa privata – del servizio ristoro nei locali del teatro per cinque anni, poi revocata). A Filippo Denaro è infine riconducibile l’Antica Pasticceria Irrera S.r.l., società gemella di Irrera 1910, oggetto sociale la produzione ed esportazione di pasticceria fresca e gelateria, il servizio catering, ecc., rilevata dall’imprenditore nel 2009 e attualmente controllata per il 98% dalla figlia Daria Denaro e per il 2% da Antonina Salvatrice Santisi, coniuge di Giuseppe Denaro ed ex assessora ai servizi sociali del Comune di Messina. Coincidenza vuole che amministratore dell’Antica Pasticceria Irrera dal febbraio 2008 al settembre 2011 è stato proprio Ivan Soraci, erroneamente indicato da Biagio Grasso come ex amministratore di Irrera 1910.

Nonostante le non soddisfacenti condizioni finanziarie, alla fine Giuseppe Denaro “fu obbligato” ad attivare un mutuo presso la Banca di Crotone poi trasformata in Banca dell’Emilia Romagna. “La sede di questa banca è in via Tommaso Cannizzaro angolo via La Farina, accanto l’entrata dell’hotel Royal”, ricorda Biagio Grasso. “Denaro attivò lì un prestito di 220 – 250 mila euro e obbligarono a me a vendere ed a lui ad acquistare. Di queste somme si è creato fittiziamente anche lì un debito che non ricordo se poi è stato registrato in contabilità o meno nei confronti di Fabio Lo Turco. Le somme transitarono direttamente a Lo Turco e poi furono girate a Maurizio Romeo, Vincenzo Romeo e Ivan Soraci, con una parte che è stata riconosciuta a Fabio Lo Turco di dieci o ventimila euro, me lo disse Vincenzo Romeo, per avere fatto questo servizio. In particolare ricordo che in una delle volte che sono sceso giù a Messina, convocai una riunione; all’epoca ero in buoni rapporti con l’avvocato Andrea Lo Castro in quanto era uno dei miei legali, e gli chiesi di prestarmi la sua sala riunioni perché non volevo fare l’appuntamento nei miei uffici perché temevo per la mia incolumità. Siamo nel periodo antecedente ai rapporti stretti che poi ho avuto con Vincenzo Romeo, non eravamo ancora soci io e lui, e quindi avevo anche un po’ di timore di quest’ultimo. A questa riunione abbiamo partecipato io, Vincenzo Romeo, Ivan Soraci e Romeo Maurizio, mentre Andrea Lo Castro non ha partecipato a questa vicenda. In quell’occasione il Soraci in primis mi ha detto: A me non importa, l’impegno lo devi mantenere. Ti vendi o la casa di Portorosa o una delle tue barche, oppure ti vendi la quota della P & F. Diciamo che anche lì i due fratelli Romeo appoggiavano questa idea per cui ho capito che non avevo ulteriore scelta, e quindi ho detto: Va bene, se Denaro è nelle condizioni di acquistare, io pur di chiudere questa partita, fate in modo di farlo acquistare e vi prendete i soldi. Così sono stato costretto a vendere la mia quota della P & F per 220 mila euro. Giuseppe Denaro attivò il mutuo creando anche degli attriti fra me e l’ingegnere Giuseppe Puglisi con cui ero in ottimi rapporti, che era completamente all’oscuro di tutto e che mi disse: Come mai stai vendendo la quota a Giuseppe Denaro? Ho detto: Guarda, io purtroppo sono nelle condizioni che poi ti dirò e quindi devo venderla”.

“Il Soraci, vantandosi dell’amicizia con i Santapaola, mi ha detto: Siamo andati lì. Il soprannome di Denaro era il Parrino, il prete in italiano. Dice: Abbiamo preso il Parrino e l’abbiamo obbligato in maniera perentoria stavolta a comprare. Perché ci sono stati diversi approcci che hanno avuto con loro, anche perché Ivan Soraci nelle more, a dir sua, avanzava circa 80 mila euro di una liquidazione dovuta ad un’ulteriore assunzione che aveva avuto in un’altra società di Denaro, credo in riferimento ad un supermercato nella zona Maregrosso… Questo credito di 80 mila euro, a dir loro, si trattativa di un trattamento di fine rapporto, il TFR”. La veridicità del racconto del collaboratore di giustizia è comprovata in questo caso dal fatto che Giuseppe Denaro è stato socio unico e presidente del consiglio d’amministrazione della Miper S.r.l., società a capo di una rete di supermercati tra Messina e Roccalumera con sede legale in via Maregrosso (la società è stata cancellata nel giugno 2008 per incorporazione in SMA S.p.A.).

I giochi di prestigio del commercialista P.

Secondo Biagio Grasso, Giuseppe Denaro fu dunque pesantemente minacciato dal gruppo Soraci-Romeo. “Io non ho mai assistito a queste vicende, però me lo disse sia Denaro diverse volte e me lo confermarono sia Maurizio Romeo che Vincenzo Romeo, nonché Ivan Soraci anche in maniera abbastanza soddisfatta”, ha spiegato. “Realmente pensavo che Denaro non si facesse intimorire più di tanto. Avevo avuto questa impressione prima, ecco perché ero tranquillo e acconsentii immediatamente a dire: Okay, se Denaro è d’accordo, vabbè, cosa devo fare? Lo vendo… Però invece a riscontro di quello che mi diceva Soraci, i fratelli Romeo che l’avevano minacciato in maniera violenta, questo si concretizzò nel fatto che Denaro, pur di acquistare, si accollò un ulteriore debito addosso. Giuseppe Denaro questa sua quota non se la voleva comprare, non era nelle condizioni di comprarla. Aveva problemi anche ad accendere il mutuo. L’ingegnere Puglisi mi chiamò per questa vicenda perché il Denaro gli disse che aveva bisogno dell’ipoteca sul terreno o delle quote della società o di una fideiussione, non ricordo la forma tecnica finanziaria che era stata richiesta dall’istituto, per accendere e quindi avere il mutuo. Così Denaro è poi riuscito ad avere i 200 e passa mila euro per l’acquisizione della quota. L’ingegnere Giuseppe Puglisi era l’amministratore della società, anche se non era a conoscenza, almeno da parte mia, dei miei collegamenti con la criminalità. Non lo ricordo se gli specificai realmente chi erano i fratelli Romeo”.

Materialmente la cessione della parte del terreno di Villafranca Tirrena in mano a Biagio Grasso avvenne a fine 2011. “Per questa operazione la quota è stata ceduta alla GDH S.r.l., una società sempre che fa capo a Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il collaboratore. “La quota che è stata venduta era detenuta dalla Carmel S.r.l. intestata fittiziamente a mio padre e mia madre. La società invece proprietaria era la P & F S.r.l., che era partecipata dai fratelli Denaro in diverse quote per il loro 33%, il 33% dalla Carmel e il 33% dall’ingegnere Puglisi come persona fisica o con un’altra società sempre facente capo a lui. Si è trattata di un’operazione che mi ha penalizzato per due ordini di motivi. Se valutiamo solamente il terreno dove c’era un progetto già depositato presso il Comune di Villafranca per la realizzazione di un grosso centro commerciale che corrispondeva al doppio della metratura della parte che avevamo venduto ad Eurospin, il valore di mercato si doveva aggirare intorno a 600 mila euro. Mentre io sono stato costretto a venderlo per 220. Dal canto suo Giuseppe Denaro fece un affare: anche se costretto, lo acquistò ad un prezzo totalmente stracciato rispetto al valore di mercato. È chiaro che dapprima il Soraci glielo propose anche come necessità di recuperare i soldi nei miei riguardi, ma allo stesso tempo come affare dovuto al fatto che obbligavano me a vendere ad un prezzo molto inferiore”.

“Giuseppe Puglisi acconsentì a questa operazione principalmente perché glielo chiesi io: realmente eravamo arrivati ad un punto non più sostenibile con Ivan Soraci soprattutto e poi i fratelli Romeo a ruota. Dissi a Puglisi che dovevo del denaro a questi soggetti e quindi di aiutarmi a fargli acquistare la porzione di terreno a Denaro. Gli ho detto: Ho dei problemi, devo chiudere la vicenda, ragion per cui vedi se puoi dare anche questo assenso per agevolare Denaro all’acquisizione. Però, come ho detto prima, non ricordo assolutamente se gli ho detto a chi facevano capo i due fratelli Romeo. Per quanto riguarda invece Giuseppe Denaro, in quel momento è stato pienamente cosciente perché le pressioni e le minacce che ha avute, le ha avute da Ivan Soraci utilizzando anche il nome del clan Santapaola attraverso il nipote Maurizio Romeo. Ivan Soraci si approfittò della pressione e quindi della minaccia dovuta all’appartenenza dei germani Romeo alla famiglia dei Santapaola per l’acquisizione della mia quota, mettendo anche sul banco il fatto che doveva avere 80 mila euro da Denaro”.

Ottenuto il finanziamento dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Giuseppe Denaro acquisì la quota Grasso dell’immobile di Villafranca Tirrena. “I soldi furono inviati a Fabio Lo Turco attraverso la cessione di credito che la Carmel S.r.l. aveva comunicato a GDH in virtù di un debito che praticamente era inesistente”, ha spiegato Grasso. “Fabio Lo Turco poi, non so in che maniera, attraverso carte prepagate, conti correnti, ecc. fece in modo da ripartire in parti uguali, tranne una quota che rimase a lui, che mi disse Vincenzo Romeo successivamente, era di dieci o ventimila euro per questo servizio, e li fece arrivare ai tre, ai germani Romeo e a Ivan Soraci. So che il mutuo fu pagato per pochissime rate e poi, a conferma del fatto che Denaro aveva grosse difficoltà di liquidità in quel momento, andò in incaglio e quindi fino alla data del mio arresto, 6 luglio 2017, qualche mese prima, non era stato estinto. La banca aveva minacciato di procedere, però non so se poi è andata avanti o meno la pratica. Alla fine la società di Denaro e Puglisi ebbe anche un danno da questa vicenda, perché in virtù del fatto che la società proprietaria aveva avallato la società acquirente, chiaramente non pagando ed essendo firmataria della garanzia, andò in centrale rischi, in allarme”.

“Fabio Lo Turco come persona di fiducia di Ivan Soraci e dei fratelli Romeo è stato messo in campo per poter gestire il denaro che doveva arrivare da Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il costruttore. “Anche perché io avevo detto loro che movimenti in contanti non gliene facevo, e quindi hanno detto: Okay, allora trova la forma di fare arrivare i soldi a Fabio Lo Turco e poi noi con Lo Turco sappiamo come fare arrivare i soldi nelle nostre casse. A quel punto io insieme al commercialista Benedetto Panarello che in quel momento era il consulente della Carmel S.r.l., abbiamo creato un debito fittizio nei confronti di Fabio Lo Turco, però non so se è rimasta traccia agli atti della società o meno, anche se ritengo che negli atti della GDH deve esserci assolutamente, appunto perché doveva giustificare il passaggio dei soldi, dove il dottore Denaro inviava le somme per l’acquisto della quota a Fabio Lo Turco in virtù della cessione del credito che la mia società Carmel S.r.l. aveva fatto nei confronti di quest’ultimo”.

Il commercialista Benedetto Panarello era stato presentato a Grasso nel 2011 dal costruttore Carlo Borella, in occasione dell’acquisizione della Else S.p.A. di Milano. “Da quel momento lui ha gestito buona parte delle società che io avevo su Messina e anche fuori”, ha dichiarato Grasso. “Ci contattavamo anche via email; lui utilizzava la Co. Professional che era la società intestata alla moglie ma realmente gestita da lui. Il consulente è stato interpellato al fine di creare un documento credibile che potesse in qualche maniera non essere soggetto a problemi di ispezioni e non essere in nessun modo revocato. Quest’operazione borderline è stata congeniata in modo da giustificare la cessione di credito a Fabio Lo Turco, ma allo stesso tempo non si voleva rimanere in qualche misura in debito nei confronti di Lo Turco. Carmel S.r.l. doveva creare nei confronti di Biagio Grasso un pagamento che andasse a Fabio Lo Turco. Come? Solea S.r.l. era proprietaria al 100% di Fabio Lo Turco. Questi vende le quote della Solea a Biagio Grasso per 220 mila euro. Qui faccio un piccolo inciso in riferimento alla sopravalutazione quote, perché il capitale sociale uninominale della Solea era 15 mila euro. Se Fabio Lo Turco avesse ricevuto 220 mila euro faceva una plusvalenza di 205 mila euro. Quindi, per chiarire questo punto, Benedetto Panarello cosa dice? Approfittiamo della sopravalutazione quote, che generalmente si apre e si chiude entro giugno di ogni anno, paghiamo la tassa fissa, non mi ricordo se il 3 o il 10%, e quindi anche dal punto di vista di tassazione Lo Turco è a posto. Allora Grasso acquista le quote da Fabio Lo Turco, ma non ha i soldi per pagare. Cosa fa? Interviene Carmel, per conto di Biagio Grasso paga le quote a Fabio Lo Turco che incassa 220 mila euro. Panarello alla fine dice: L’unica cosa da sistemare è il rapporto tra Biagio Grasso e la Carmel S.r.l., quindi è una cosa che rimane in famiglia e si deve chiarire in famiglia…”.

Quel veliero-fantasma carico di coca che doveva approdare a Portorosa

Nel corso della sua deposizione del 12 marzo, Biagio Grasso ha sostenuto che Ivan Soraci gli aveva pure richiesto una collaborazione per portare a termine un traffico di stupefacenti sulla rotta sud America-Sicilia. “Precedentemente alla vicenda Carmel, Ivan Soraci mi aveva contattato per un altro affare abbastanza illecito presentandomi un soggetto di nome Gianfranco con il soprannome Canaccio o Canazzo, una cosa di questo tipo”, ha dichiarato. “Mi presentarono poi una persona che aveva a dir loro in transito un veliero proveniente dal sud America con diversi centinaia di chili sostanze stupefacenti. Avevano bisogno un porto di appoggio per il veliero e siccome Ivan Soraci era a conoscenza dei miei stretti rapporti con Carmelo D’Amico, capo boss del clan di Barcellona, e con Tindaro Calabrese, capo boss del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, mi disse se mi potevo mettere a disposizione e parlare con loro per fare entrare questo veliero a Portorosa e dargli un posto sicuro dove potere scaricare gli stupefacenti. Loro sapevano che se ci fosse stato l’appoggio di questi due clan in quel territorio dove in quel momento la facevano da padrone, Portorosa poteva essere una location ideale per organizzare con calma l’arrivo della barca e quindi la successiva vendita della sostanza stupefacente. Per questo mi avrebbero riconosciuto una percentuale importante sulla vendita. A me e quindi al clan di Barcellona avrebbero riconosciuto un tot al chilo, un X abbastanza importante. L’episodio accadde poco prima della costituzione della Solea e quindi credo a fine 2008, inizi 2009. All’incontro gli ho detto: Guarda, prima di parlare con D’Amico voglio sapere se questa cosa è vera o meno. Allora mi fecero incontrare in zona Venetico Marina, nel litorale tirrenico, questo signore di accento prettamente romano. Andammo a casa sua perché aveva dei problemi di salute abbastanza seri e questo signore confermò quanto detto da quel tale Gianfranco e da Ivan Soraci, e mi disse che la barca era già in transito e vicina alle coste dell’Europa e quindi aveva necessità di avere il porto di attracco nel più breve tempo possibile. Al che contattai Carmelo D’Amico il quale però mi diede picche e mi disse che era troppo rischioso e che non poteva mettere a disposizione i suoi uomini e tanto meno la sua organizzazione per questa operazione. Fui costretto a dir loro che non se ne faceva niente e proseguirono per affari loro”.

“Carmelo D’Amico fu interpellato perché Ivan Soraci sapeva del rapporto di collaborazione che avevamo in quanto il D’Amico in quel periodo era anche proprietario insieme ad un’altra persona di una società di calcestruzzo e quindi mio fornitore in lavori abbastanza importanti, e quindi avevamo un rapporto quotidiano. Con Carmelo D’Amico avevo un tipo di rapporto sia personale sia d’affari, in quanto lui era consocio di una società denominata Map S.r.l. che mi ha fornito milioni di euro di calcestruzzo in lavori che avevo io in quel periodo nella zona tirrenica. Ho costruito ad esempio il centro commerciale di Milazzo e D’Amico ha partecipato alla costruzione del complesso con forniture di calcestruzzo per più di un milione di euro. Nell’ambito di questo lavoro, al principio ho avuto un furto di tutta una serie di attrezzature che poi ho scoperto che sono state fatte da un soggetto vicino sempre al clan dei barcellonesi, e in virtù di questo, rivolgendomi a D’Amico, le ho ritrovate nell’arco di ventiquattrore. Sostanzialmente poi ho lavorato con la protezione dei barcellonesi”. Grasso ha ricordato che a presentargli l’allora boss del Longano era stato il pregiudicato Antonino Merlino, anche lui facente parte del sodalizio mafioso barcellonese, poco prima del suo arresto per la condanna definitiva come esecutore dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano. “Con Carmelo D’Amico ho pure gestito alcune vicende sempre in campo imprenditoriale che hanno favorito il clan dei barcellonesi”, ha riferito. “In alcune estorsioni fatte ad un altro mio collega che aveva dei lavori presso il consorzio ASI di Messina, ho gestito per conto del clan sia la corruzione di funzionari sia alcuni quattrini che l’imprenditore doveva versare al clan”.

“Con i Romeo di quella iniziativa di droga se n’è parlato successivamente quando la conoscenza con loro si è concretizzata”, ha aggiunto il collaboratore. “Ne parlai con Vincenzo Romeo, però non erano delle attività in cui avevano interesse, con cui volevano fare interessi. Si è parlato solamente del fatto che il Soraci aveva questa tipologia di contatti e se ne parlò anche successivamente negli anni 2015, 2016 quando già il Soraci non era più in ottimi rapporti con Vincenzo Romeo. Quest’ultimo mi aveva detto che Ivan Soraci rischiava di essere arrestato da qui a breve perché era rientrato in giri collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Di questa vicenda era a conoscenza pure Maurizio Romeo, però, ripeto, loro erano contrari a questa tipologia di investimenti (…) Mi risulta inoltre che il Soraci deteneva per conto del gruppo diverse armi corte, 9 millimetri e 7 e 65, però non ne sono sicuro. Me lo disse lui stesso e in un episodio specifico assistenti ad una telefonata che ha ricevuto Vincenzo Romeo in mia presenza da un soggetto che diceva che il Soraci era intervenuto su una vicenda che lo interessava armato e quindi egli si lamentava. Gli disse: Il tizio si è presentato armato, volendo rappresentare la sua autorità in quanto vicino a te. Al che Vincenzo Romeo andò su tutte le furie dicendomi che lui non era autorizzato a muoversi con le armi ma solamente a detenerle e non utilizzarle. Dopo accadde che lo rimproverò in maniera abbastanza violenta. Io però materialmente di armi in uso no, non le ho viste”.

Biagio Grasso ha concluso la sua deposizione rivelando una vicenda verificatasi dopo il suo arresto nell’abito dell’operazione antimafia Beta. “Intorno all’ottobre del 2017, io ebbi un colloquio con mio padre presso il carcere di Rebibbia dove ero detenuto e lui mi disse che aveva ricevuto una visita di carattere perentorio da Ivan Soraci. Mio padre è una persona anziana, quindi non è andato lì armato o roba del genere, però con minaccia velata gli disse di contattare la professoressa Simona Agger a cui avevo chiesto la cortesia di intestarsi temporaneamente la Procoim S.r.l., dicendogli di tornare le quote a Gaetano Lombardo, che è altro soggetto che in quel momento faceva parte del sodalizio e che aveva detenuto le quote della Procoim S.r.l. antecedente all’ulteriore passaggio fatto alla professoressa Agger. Gli disse così di dirle che le somme investite dal gruppo erano tutte quante presso i cantieri dove questa società era proprietaria e quindi doveva ritornare queste quote indietro a Gaetano Lombardo, persona di fiducia dei Romeo e anche mia per un certo periodo, per rientrare nel possesso della Procoim S.r.l., proprietaria dei 64 alloggi in costruzione in località Villaggio Aldisio, Messina, via Chinigò, nonché proprietaria per tutta una serie di atti che erano stati fatti del terzo lotto del terreno che era rimasto presso il complesso La Residenza al Torrente Trapani. Di questo contatto con Soraci mio padre me ne parlò nel colloquio che ho avuto pochi giorni prima del mio trasferimento al carcere di Arezzo. Lui chiaramente era abbastanza preoccupato perché già per la vicenda della P & F sapeva che Ivan Soraci era direttamente collegato al clan per cui eravamo stati arrestati e quindi facente parte in maniera diretta, solo che era rimasto fuori dalla prima retata. Quindi in ogni caso sapeva che si muoveva anche per quelle persone. Nelle more io in ogni caso già avevo espresso a mio padre che volevo collaborare con la giustizia, cosa che avevo cominciato a fare già dal 20 di luglio 2017 presso il carcere San Vittore. Per la visita e la maniera in cui si è presentato il Soraci e considerato anche il fatto che avevo cominciato a collaborare con la giustizia, avevamo paura di ritorsioni anche nei confronti dei miei familiari…”.

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