Alle dieci di ieri sera, una barca con circa 50 migranti salpata da un tratto di costa libica vicina ad al-Zwara, ad ovest della capitale, ha chiamato Alarm Phone per chiedere aiuto. Due minuti dopo, alle 22:02, l’ultimo contatto con la centrale d’allarme civile che li ha richiamati. Alarm Phone non è più riuscita a mettersi in contatto con i migranti, ma dal natante erano riusciti a fornire delle coordinate GPS. Attualmente nel Mediterraneo centrale c’è soltanto una nave di Ong, la Alan Kurdi (in foto) della Ong tedesca Sea Eye. Unica in servizio tra le superstiti della flotta di Ong sterminata dagli ultimi due ministri dell’Interno italiani. La nave si è messa in navigazione verso il punto indicato, ma ancora, a circa 22 ore dalla richiesta di soccorso, dell’imbarcazione non c’è traccia né notizia.
La Guardia Costiera italiana ha emesso oggi pomeriggio un comunicato stampa con il quale afferma che “nella mattinata odierna Watch the Med – Alarm Phone ha segnalato alla Centrale Operativa della Guardia Costiera italiana, la probabile partenza, nella serata di ieri, di un barcone dalla Libia con circa 50 persone a bordo”. La Guardia Costiera tricolore precisa che la probabile posizione del natante era all’interno delle acque territoriali libiche e quindi, “essendo la posizione segnalata all’interno dell’area SAR di responsabilità libica, la Guardia Costiera italiana ha immediatamente inoltrato le informazioni ricevute alla Guardia Costiera libica, che ha assicurato l’avvenuta ricezione degli elementi forniti, per le successive azioni di competenza”. La sedicente guardia costiera libica avrebbe quindi assicurato alla Guardia Costiera italiana di aver assunto tutte le informazioni necessarie per la ricerca all’interno delle proprie acque territoriali, ma non si hanno notizie di naufragio e neanche di avvenuto soccorso.
Il soccorso dei cinquanta migranti – che si spera sia avvenuto – è comunque un primo nuovo motivo di dibattito sul diritto di soccorso dei migranti non ad opera degli stessi libici. Oggi pomeriggio l’OIM, Organizzazione Mondiale per le Migrazioni delle Nazioni Unite, ha emesso una nuova nota per la stampa in cui precisa il proprio ruolo all’interno di un Paese che ribadisce non essere classificabile quale “porto sicuro”. “Le situazioni di sicurezza e umanitarie nel paese (in Libia, ndr) rimangono pericolose – si legge nel comunicato – e l’OIM ribadisce che la Libia non può essere considerata un porto sicuro o rifugio per i migranti”. La precisazione dell’Organizzazione mondiale, ribadita in due punti dello stesso comunicato, risponde alle politiche dei Paesi dell’Unione europea che ritengono delegabile alla Libia il soccorso dei migranti in mare assolvendone la successiva detenzione. Dopo lo sbarco dei migranti in Libia, “i migranti vengono trasferiti in centri di detenzione – spiega l’OIM – sotto la responsabilità della Direzione libica per la lotta alla migrazione illegale (DCIM), su cui l’Organizzazione non ha autorità o supervisione. La detenzione di uomini, donne e bambini è arbitraria. Le condizioni inaccettabili e disumane”.