di Mauro Seminara
A Lampedusa piove a dirotto e le strade disastrate dall’incuria sono piene di pozzanghere e piccoli torrenti. A dodici miglia est-sudest dell’isola c’è la nave che ha soccorso 64 migranti nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale e che da ieri sera naviga avanti ed indietro sulla stessa rotta per circa cinque miglia. Una navigazione costretta dal moto ondoso di un mare agitato. Nessun porto è stato assegnato alla Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye e la trattativa, o il braccio di ferro, è ancora aperta tra Italia e Germania. Complica i termini della discussione sul vicino “porto sicuro” italiano e la richiesta delle autorità di bandiera, la Germania, il conflitto in Libia che vede le forze del generale Khalifa Haftar ormai alle porte di Tripoli.
Il segretario generale delle Nazioni Unite oggi dovrebbe incontrare il Mushir della Cirenaica a Bengasi per tentare un accordo con cui far deporre le armi. Ieri, dopo una visita al centro di detenzione per migranti di Tripoli, ed alla luce del conflitto che sta assediando la capitale della Libia, Antonio Guterres ha dichiarato al mondo intero con un tweet: “A questo punto nessuno può sostenere che la Libia sia un porto sicuro di sbarco”. La situazione in Libia è già un fatto documentabile che assolve la Ong per l’intervento SAR, in assenza di coordinamento o unità navali libiche, e per il non aver ricondotto i migranti nel Paese nordafricano di partenza. Senza accordi tra Germania e Tunisia o Italia e Tunisia per un porto nordafricano, il Place of Safety più vicino rimane quello italiano di Lampedusa. Il Governo italiano però, già disposto mediante tweet, non intende aprire il proprio porto alla Alan Kurdi.
A bordo della nave Alan Kurdi ci sono 64 persone soccorse in mare aperto dal piccolo gommone su cui erano state caricate. Tra queste ci sono anche 13 donne e due bambini, uno di sei anni ed una di appena undici mesi. Il Ministero degli Esteri ha però comunicato che la nave viene considerata “una minaccia al buon ordine ed alla sicurezza dello Stato”. Minaccia che potrebbe presto moltiplicarsi in modo esponenziale se il segretario generale delle Nazioni Unite non trova una immediata soluzione all’avanzata di Haftar su Tripoli. In caso di rottura delle prigioni per migranti, l’unica via di fuga dalla Libia sarebbe attraverso il Mar Mediterraneo. In questo caso però bisognerebbe ricordare il secondo dei tre tweet lanciati ieri da Guterres: “Questi migranti e rifugiati non sono solo responsabilità della Libia, ma sono di responsabilità dell’intera comunità internazionale”. L’unico neo a questa lucida affermazione è che nessuno se ne vuole fare carico ed i 64 salvati in mare mercoledì sono ancora a largo di Lampedusa senza un porto sicuro in cui sbarcare.