di Fulvio Vassallo Paleologo
Quanto successo agli inizi di settembre dello scorso anno, la “soluzione finale” contro le ONG, la chiusura dei porti ed il sostanziale blocco delle attività di ricerca e soccorso della Guardia costiera italiana, in modo più evidente nei mesi precedenti, dimostra ancora oggi l’esistenza di un sostanziale coordinamento delle fasi iniziali delle operazioni SAR sulle rotte del Mediterraneo centrale da parte delle autorità italiane. Rimane da verificare a livello internazionale ed a livello interno quanto questo ruolo di coordinamento congiunto possa costituire manifestazione di una “giurisdizione”, esclusiva o concorrente, sulle persone soccorse dai libici in acque internazionali e poi riportate a terra.
Il ruolo assegnato alla Guardia costiera libica, termine improprio perchè in Libia di guardie costiere ce ne sono diverse, militari e civili, sembrerebbe escludere una potestà esclusiva italiana sulle persone soccorse/intercettate in acque internazionali. Ma non si può neppure ignorare come, nella prima fase dei soccorsi, sono generalmente soltanto le autorità italiane, a decidere se attendere l’intervento delle motovedette libiche o procedere al coordinamento di un intervento di soccorso, sollecitando l’intervento di una nave privata in navigazione nella zona dell’evento SAR. Fase nella quale sarebbe possibile configurare una responsabilità esclusiva delle autorità italiane che per prime hanno avuto notizia dell’avvistamento o hanno ricevuto una chiamata di soccorso. Responsabilità ancora più evidente qualora le attività SAR fossero ritardate in attesa di una risposta da parte delle autorità libiche o maltesi chiamate ad intervenire. Tempo nel quale rimane radicata la responsabilità della prima autorità SAR che è stata allertata dopo gli avvistamenti aerei o le chiamate di soccorso. In proposito si ricorda quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, “… gli allontanamenti di stranieri eseguiti nell’ambito di intercettazioni in alto mare da parte delle autorità di uno Stato e nell’esercizio dei pubblici poteri, e che producono l’effetto di impedire ai migranti di raggiungere le frontiere dello Stato, o addirittura di respingerli verso un altro Stato, costituiscono un esercizio della loro giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione, che impegna la responsabilità dello Stato in questione sul piano dell’articolo 4 del Protocollo n. 4”. Tale articolo stabilisce che “Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate” (§ 159). Se si afferma una giurisdizione anche italiana dopo la comunicazione della presenza di imbarcazioni da soccorrere nella cd. SAR libica, inventata apposta per aggirare il divieto di respingimenti collettivi, scattano responsabilità gravi sul piano penale, civile ed amministrativo, sia a livello interno che a livello internazionale.
In base all’art. 33 della Convenzione di Ginevra, «Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Tale obbligo è stato ribadito nel rapporto «Rescue at Sea: A Guide to Principles and Practice as Applied to Migrants and Refugees», elaborato nel 2006 dall’Imo e dall’Unhcr e sottoposto ad aggiornamento nel 2015. In tale documento viene evidenziato l’obbligo che incombe al comandante della nave che compie l’intervento di soccorso di tutelare adeguatamente i richiedenti asilo, verificando la loro presenza a bordo, comunicandola all’Unchr ed effettuando lo sbarco unicamente laddove sia possibile garantire loro adeguata protezione.
In base al punto 3.1.9 della Convenzione SAR (Search and Rescue) di Amburgo del 1979 dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile.»
La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979(Convenzione SAR) obbliga specificatamente gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” (Capitolo 2.1.10) ed a “[…] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”. (Capitolo 1.3.2). Essa, inoltre, inviata alla cooperazione tra gli Stati, allo scopo primario di garantire l’osservanza del principio dell’integrità dei servizi S.A.R.. A tale scopo, infatti, ciascuno Stato costiero dovrebbe individuare e dichiarare formalmente una propria specifica area di responsabilità (c.d. Area o Regione S.A.R.-S.R.R.) in cui assume l’onere di garantire l’efficiente prestazione dei citati servizi S.A.R., in modo tale da coprire l’intero globo terracqueo.
Ai sensi del cap. 2, par. 2.1.4 e 2.1.5 della Convenzione SAR del 1979 :“Ogni zona di ricerca e di salvataggio viene stabilita mediante accordo tra le Parti interessate (…) Se le parti interessate non raggiungono un accordo sulle dimensioni esatte di una zona di ricerca e di salvataggio, dette Parti fanno tutto il possibile per raggiungere un accordo sull’adozione di disposizioni adeguate che permettano di assicurare un equivalente coordinamento generale dei servizi di ricerca e di salvataggio di detta zona”.
Ai sensi del cap. 2, par. 2.1.8 “Le Parti dovrebbero organizzare i loro servizi di ricerca e di salvataggio in modo da poter far fronte rapidamente agli appelli di soccorso”.
Le Linee guida IMO, unitamente alle Convenzioni internazionali in materia, dispongono che la responsabilità primaria per la individuazione e/o fornitura di un “luogo sicuro”, che non può certo trovarsi in Libia, ricada sullo Stato costiero responsabile della zona SAR al cui interno si verifica l’operazione di salvataggio marittimo. Nell’ipotesi in cui, tuttavia, “non sia possibile contattare lo Stato costiero responsabile della zona SAR, il comandante della nave soccorritrice può contattare un altro Stato costiero e/o un centro di coordinamento e soccorso che possa fornire assistenza alle operazioni di salvataggio”. Incombe su quest’ultimo stato, pertanto, l’onere di coordinare le operazioni di soccorso e salvataggio “fino a quando lo stato costiero responsabile della zona SAR non assuma la propria responsabilità”. Quest’ultima previsione assicura che gli interventi di salvataggio marittimo vengano condotti con la tempestività necessaria per salvaguardare la vita umana in mare, anche quando uno Stato costiero non adempia agli obblighi di assistenza all’interno della propria zona SAR. Come si verifica da anni con Malta, e con la Libia, o con quello che ne rimane, come entità statale unitaria.
Il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R. ha dunque la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità- Tale responsabiltà permane almeno fino a quando la responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004). Malta non ha mai accettato queste linee guida. Dunque le autorità italiane, dal ministero dell’interno alla Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC), una volta ricevuta una segnalazione di un evento SAR, non possono dismettere la loro responsabilità di coordinamento adducendo la competenza maltese ( per la mancata accettazione delle Linee guida IMO da parte del governo maltese).
Secondo le medesime linee-guida, “ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco. (par. 6.20)
L’obbligo di soccorrere persone in alto mare che versino in una situazione di “distress” pertanto può e deve essere assolto dal mezzo più vicino all’evento, anche prima che vi sia una autorizzazione esplicita di una qualsiasi autorità di coordinamento SAR, soprattutto nella situazione attuale sulla rotta del Mediterraneo centrale, nella quale è documentato che le autorità di coordinamento nazionali (MRCC) maltese, tunisina e libica rispondono con grave ritardo o non rispondono affatto. La portata del concetto di distress è chiarita dalle Convenzioni internazionali, e non può essere ridimensionata nei confronti dell’Italia per il mancato accoglimento da parte delle autorità maltesi dei più recenti emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS.
Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi, non determina la conclusione delle operazioni S.A.R., perché le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro (place of safety o P.O.S.), come si dirà meglio in seguito. Per tale motivo, l’obbligo di individuare detto luogo sicuro, in accordo con tutte le altre Autorità eventualmente interessate, ricade sull’MRCC che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse, in accordo con tutte le altre Autorità governative interessate. La Libia non era già negli scorsi anni, e non lo è neppure oggi, in grado di garantire, nelle sue diverse e mutevoli articolazioni militari e territoriali, alcun “porto sicuro di sbarco”. L’IMO ammette che ancora oggi non risulta esistente una unica Centrale di coordinamento libica per le attività SAR (LMRCC), come riconosce in una intervista a Report il rappresentante dell’IMO a Londra.
L’applicazione in mare del divieto di respingimento collettivo e generalizzato(c.d.principio di “non refoulement” sancito da varie norme internazionali ed europee in particolare)di persone che potrebbero avere titolo allo status di rifugiati (Convenzione di Ginevra del 1951 e collegata normativa europea), comporta tra l’altro che una nave intercettata mentre trasporta migranti verso uno Stato costiero europeo ma non risulti soggetta alla giurisdizione di alcuno Stato, perché non formalmente iscritta e, quindi, priva di bandiera e di un equipaggio regolarmente imbarcato, non possa essere meramente respinta in mare –salvi casi particolari, ma debba necessariamente essere scortata in porto per i successivi accertamenti di polizia di frontiera. Per di più, se detta nave o imbarcazione risulti in una situazione di pericolo, anche solo potenziale, per cui si debba temere per la salvaguardia della vita umana in mare, l’obbligo di assistenza previsto dalle citate norme internazionali e nazionali impone in ogni caso di provvedere prima di tutto al soccorso ed al trasporto delle persone in un luogo sicuro di sbarco (POS). Tutto ciò è ripetutamente sancito in varie disposizioni normative, internazionali e nazionali (ad. es.: Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 -T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003.
Le autorità politiche e di polizia di uno stato, a partire dal ministro dell’interno non possono ritenere derogabili le prescrizioni del diritto internazionale marittimo, in nome di un “superiore interesse nazionale alla difesa dei confini”. L’art. 4 del Regolamento europeo 2016/1624 (costitutivo della nuova Agenzia per la guardia di frontiera e costiera europea) prevede espressamente che, nel corso delle operazioni di controllo delle frontiere marittime, le attività S.A.R. continuano comunque ad essere avviate e condotte in conformità a quanto previsto dal Reg. EU2014/656, ovverosia in conformità alle norme di diritto internazionale sul S.A.R.
Per questa ragione costituisce grave infrazione del diritto europeo ed internazionale qualunque disposizione amministrativa o ministeriale, come le recenti “Direttive” adottate dal ministero dell’interno in materia di operazioni SAR, che vada contro l’applicazione effettiva delle prescrizioni delle Convenzione UNCLOS, SAR e SOLAS e delle relative linee guida dell’IMO.
Qualora si accertasse la giurisdizione italiana, sia pure in acque internazionali, spetterebbe poi al giudice penale accertare l’eventuale ricorrere di un reato di omissione di soccorso, o di altri reati, come si è già verificato nel caso della strage dell’11 ottobre 2013 a sud delle coste maltesi, soprattutto nei casi più gravi nei quali dal mancato tempestivo soccorso sia derivata la morte di persone che si trovavano a bordo delle imbarcazioni già oggetto di una chiamata di soccorso o di un precedente avvistamento aereo, sempre che non si proceda ad altre archiviazioni.
Articolo redatto dal professor Fulvio Vassallo Paleologo