di Mauro Seminara
Dopo undici giorni in mare dal giorno del soccorso di 64 profughi a largo della Libia, e dopo un porto chiuso a Lampedusa ed un altro a Malta, la nave della Ong tedesca Sea Eye vedrà sbarcare i propri ospiti ma non vedrà il porto di Malta. Per raggiungere un’intesa è intervenuta la Commissione europea ed ha mediato l’operazione di sbarco dei restanti 62 migranti con l’assicurazione che ad accoglierli saranno alcuni Paesi dell’Unione. Esattamente quattro Stati si divideranno una sessantina di persone: Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo. Malta e Italia vengono quindi esentati dal gravoso dovere, e neanche le due ragazze ricoverate sull’isola-Stato mediterranea rimarranno in loco. Il premier maltese, Joseph Muscat, ha questa mattina emesso un comunicato stampa nel quale dichiarava che “nessuno dei migranti soccorsi resterà a Malta, che non può permettersi di assumersi questo onere da sola”. Sull’onere di accogliere 64 persone dopo undici giorni in mare dalla data del soccorso – senza quindi considerare cosa avevano subito prima – sembra andare in rima il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini che ha così commentato: “Ottime notizie! Come promesso, nessun immigrato a bordo della nave Alan Kurdi arriverà in Italia”.
Se fosse una ricetta per appassionati di culinaria, la prassi che sembra tacitamente instaurarsi in Europa per l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, inizierebbe con “lasciar macerare le persone per una decina di giorni, meglio due settimane, prima di farle scendere dalla nave che le ha salvate e far chiudere la missione di soccorso effettuata dalla Ong di turno”. Sembra gratuita ironia, ma la vera vena ironica sembrano averla i premier ed i ministri dell’unione europea. Il primo ministro maltese, ad esempio, ha lamentato stress da presenza di Ong in acque internazionali fuori Malta. Ai trionfalistici comunicati e tweet per un ricollocamento concordato dopo undici giorni di mare senza un “porto sicuro” – la Alan Kurdi non entra in porto a Malta – accordato alla nave soccorritrice, replica la Ong Sea Eye con una nota stampa caustica principalmente rivolta al premier che lamentava per Malta l’aver subito “pressioni non necessarie”. La risposta al premier maltese Joseph Muscat arriva da Gorden Isler, presidente di Sea Eye: “Sea Eye non comprende in alcun modo questa reinterpretazione della realtà. Che dire della pressione che 64 persone in difficoltà hanno dovuto sopportare su un gommone in avaria? Che dire della pressione che per undici giorni è stata esercitata sul nostro equipaggio e sulle 64 persone salvate e bloccate in alto mare?”
La nave Alan Kurdi, bloccata per undici giorni fuori Malta con 64 persone salvate, di cui due poi evacuate per problemi sanitari, è stata così immobilizzata a debita distanza da quel tratto di mare a largo della Libia in cui continuano a morire persone ed a sparire barche cariche di migranti. La stessa Alan Kurdi, quando ha soccorso i 64 che oggi trovano caritatevole concessione di sbarco e redistribuzione in Unione europea, stava cercando un gommone con 50 migranti di cui nessuno ha poi mai trovato traccia. Probabilmente inghiottiti dal Mar Mediterraneo. Nello stesso periodo in cui la Alan Kurdi stava a venti miglia da Malta, un’imbarcazione con circa venti profughi che fuggivano dalla Libia – in piena guerra civile – veniva abbandonata per un’intera giornata alla deriva, senza motore e malgrado la richiesta di soccorso con annessa denuncia di otto compagni di sventura già dispersi in mare. In quel momento, con una denunciata omissione di soccorso da parte di un mercantile fatta documentata dal velivolo della Ong Sea Watch, in quell’area del Mediterraneo non c’era nessuna nave di Ong disponibile per intervenire con la dovuta prontezza.
Domani torna in missione la Mare Jonio, della Ong Mediterraneo Saving Humans. La Alan Kurdi tornerà nel Mediterraneo centrale dopo uno scalo tecnico conseguente alla lunga sosta in operatività in acque internazionali, a patto che adesso trovi un porto più vicino di quello di Amburgo in cui poter fare rifornimento. La Aquarius di SOS Mediterranee annuncia di stare lavorando per tornare in missione nel 2019, dopo che le era stato perfino negato di iscrivere la nave in un qualsiasi registro navale del pianeta. La Sea Watch 3 è ferma per risolvere “non conformità” contestate in Italia e spera di rientrare in navigazione quanto prima. Infine, malgrado le Ong vengano trattate come criminali prima e come appestate da non far ormeggiare in porto adesso, i governi europei – quello di Giuseppe Conte incluso – iniziano a realizzare che la guerra in Libia è la fase embrionale di una gravissima crisi umanitaria che potrebbe evolversi anche nel dovuto intervento UE verso profughi e sfollati che attraverseranno il Mediterraneo per cercare un luogo sicuro in cui non arrivino cannonate o bombe. Probabilmente però, visti tutti i precedenti, non ultimo quello odierno del caso Alan Kurdi, vedremo una interminabile fila di navi con persone salvate a bordo, che dovranno attendere in acque internazionali per un paio di settimane prima che l’Unione europea decida come farli scendere ed in quali Paesi farli accogliere. Sembra quindi questa la nuova prassi UE che rivede e corregge il sistema “hotspot” imposto – appena quattro anni addietro – ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Italia inclusa.
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