di Vittorio Alessandro
Non stupisce ma allarma l’irrigidimento dei vertici militari nei confronti della direttiva Mare Jonio emanata lunedì dal ministro Salvini. Già in quella del mese scorso, che inspiegabilmente chiudeva il mare territoriale alle navi di bandiera straniera, sbalordì che il ministro dell’Interno si fosse rivolto direttamente al Capo di Stato Maggiore della Marina e al Comandante Generale delle Capitanerie di Porto senza coinvolgere i ministri da cui essi dipendono, della Difesa e dei Trasporti.
Il nuovo provvedimento, indirizzato agli stessi alti Comandi affinché reprimano l’attività di una specifica nave (questa volta di bandiera italiana), introduce contenuti ancor più stridenti con le norme internazionali e interne in vigore. Non è tanto questo, però, a scuotere il disagio dei vertici militari, quanto l’ulteriore scivolone istituzionale del Viminale: mentre la prima direttiva, infatti, invitava i destinatari ad “impartire conseguenti indicazioni operative”, confermando così il loro ruolo di comando, quest’ultima vuol solo sentire sbattere i tacchi: “Le autorità militari e di polizia destinatarie del presente atto ne cureranno l’esecuzione”.
La forma adottata dal Viminale è, insomma, lesiva delle forme istituzionali e, per i militari soprattutto, la forma è sostanza.
Anche le loro uniformi, del resto, per nulla riducibili a felpa da comizio, portano i segni di difficili tappe, spesso scomode, e devote al senso dello Stato.
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