di Mauro Seminara
Gli eventi di soccorso di ieri, entrambi a 75 chilometri dalla Libia, in acque internazionali, hanno la stessa origine ma opposte evoluzioni. La nave della Marina Militare italiana ha salvato 36 persone, quella della Ong ne ha salvate 30 (inizialmente date per 29 a prima conta in fase di trasbordo). La Cigala Fulgosi batte bandiera italiana ed appartiene allo Stato Maggiore, alla Difesa, mentre la Mare Jonio appartiene alla società civile ma batte anch’essa bandiera tricolore. Questa è la principale differenza tra le due navi che in analoga circostanza e sotto analoga giurisdizione hanno preso a bordo profughi in difficoltà. Per questa differenza, non tecnica ma di natura politica, il Governo italiano agisce con diverse intenzioni. Ancora prima che la Mare Jonio terminasse le operazioni di ormeggio nel porto di Lampedusa, la stampa nazionale aveva titolato sul suo sequestro. Al termine dello sbarco, due ore dopo l’ormeggio, la Ong ha ricevuto a bordo per lungo tempo ufficiali di Guardia di Finanza e Capitaneria di Porto. Ancora più tardi, dopo le 16, il capomissione, Beppe Caccia, ci conferma che non è stato notificato alcun sequestro e che dopo aver acquisito documentazione, fiamme gialle e guardacoste hanno chiesto ai membri della Ong di tenersi a disposizione delle autorità.
La nave Cigala Fulgosi è in missione “Mare Sicuro” a protezione – anche ma non solo – della nave Capri, della stessa Marina Militare, che l’Italia vuole ormeggiata nel porto di Tripoli. Nel caso della Marina Militare, che dispone per interna autorità un trasbordo dei profughi su altra unità navale propria e indica a quest’ultima il porto di Augusta, il Governo non può fare o dire molto. Malgrado il presidente del Consiglio dichiari di aver autorizzato lo sbarco. Il porto siciliano di Augusta in questione è infatti un’area militare, un’enclave della Difesa per la quale i vertici dello Stato Maggiore non devono certo chiedere il permesso al ministro Toninelli o al ministro Trenta. Il porto di Lampedusa è invece sotto la diretta competenza del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture del ministro fantasma Danilo Toninelli, e questo porto è stato inizialmente negato, o non concesso, alla nave civile Mare Jonio.
I porti rimarranno chiusi, ribadisce il ministro dell’Interno Matteo Salvini, impegnatissimo in piena campagna elettorale europea con la nuova crociata contro i mulini a vento dei negozi di cannabis light. Negli ultimi giorni il leader del Carroccio ha accusato gravi colpi che hanno minato altrettanto gravemente il suo consenso elettorale. Dopo che la Marina Militare è intervenuta in soccorso dei pescherecci sotto minaccia libica, ufficializzando che l’amico libico è poco amichevole e che la Libia non è sicura neanche per gli italiani, il ministro ha incassato metaforiche sberle un po’ ovunque. Casa Pound inizia a causare fastidi nella fascia moderata degli elettori leghisti e lo studio di Otto e ½, su La7, è costato molto a Salvini che ha dovuto incassare che “dice sciocchezze”, che ancora aspettiamo di vedere rimpatriati “i 600.000 migranti promessi in campagna elettorale” e che “ogni giorno ha un nemico diverso”. Tutte pungolate della giornalista padrona di casa che lo ha accolto ricordandogli che si era proposto lo stesso ministro quale ospite, prima di lamentarsi in piazza dell’immane sacrificio che avrebbe fatto, e che anche sulla Rai erano state fatte promesse di libertà non mantenute. Infine, a pesare come un macigno sul ministro tuttofare dei “porti chiusi” arriva la Cigala Fulgosi che, più che intervenire in ottemperanza delle “stringenti leggi nazionali ed internazionali”, dimostra che non è possibile riportare in Libia i profughi che da quella terra in conflitto militare sono partiti.
La nave Mare Jonio, dopo il soccorso ai 30 profughi in difficoltà avvenuto nel tardo pomeriggio di ieri, ha chiesto alla sala operativa del coordinamento di soccorso marittimo di bandiera l’indicazione di un porto sicuro in cui concludere con lo sbarco l’operazione SAR. Nessun porto è stato indicato alla nave della Ong che nel frattempo si lasciava la Libia ben lontana alle spalle e dirigeva sul porto italiano più vicino. Questa volta però pare che l’errore dell’intimato alt non è stato commesso da parte delle autorità che hanno raggiunto la nave. La Mare Jonio è quindi entrata nella fascia di acque territoriali del suo Stato di bandiera, a largo di Lampedusa, e soltanto dopo è stata avvicinata da due pattugliatori della Guardia di Finanza per un controllo di polizia giudiziaria. La nave ha raggiunto il confine italiano alle 6:30 di questa mattina, e fino alle undici circa è rimasta ferma sul punto. Poi l’autorizzazione allo sbarco dei migranti, iniziato in porto dopo mezzogiorno. A bordo c’erano tre donne, di cui due in gravidanza ed una con una bambina di quasi due anni e svariati minori, tutti fuggiti dalla Libia e dai suoi scontri militari e salvati dopo la paura di una traversata di 40 miglia a bordo di un piccolo e precario gommone il cui motore era andato in avaria.
Ad operazione di sbarco profughi terminata, dal rimorchiatore della Ong sono scesi soltanto i membri tecnici dell’equipaggio. I componenti della Ong Mediterranea Saving Humans invece non potevano oltrepassare la passerella per mettere piede sulla terraferma del porto commerciale di Lampedusa. Tra essi anche don Mattia Ferrari, il prete che con la benedizione dell’intero Vaticano ha partecipato alla missione della Ong. Mentre a bordo attendevano di sapere con notifiche valide ai fini di legge, dal Viminale era già stato fatto il solito spoiler sul sequestro della nave Mare Jonio. Con lo stesso strumento ha quindi risposto Mediterranea Saving Humans mentre la nave era appena entrata in porto: “Viminale annuncia sequestro? Curioso che lo faccia via stampa prima che a noi. Nessuna notifica. Nessuna irregolarità riscontrata. Sequestro è atto per tentare di fermarci. Ma importante per noi è che le persone siano salve Unico crimine far morire la gente in mare o in Libia”. Circa un paio d’ore dopo il tweet della Ong le agenzie di stampa hanno iniziato a battere la notizia di un naufragio consumato a largo dell’isola di Kerkennah, in Tunisia. Un barcone con, stima provvisoria tra 60 e 80 persone, forse partito dalla Libia ha causato l’ennesima strage del Mediterraneo.