Nel Mediterraneo centrale ci sono altre barche con profughi fuggiti dalla Libia e le uniche unità europee sull’area sono i velivoli della missione Sophia. Un natante è stato avvistato a poco più di 40 miglia sud-sudest di Lampedusa. In transito alcuni mercantili sulla rotta notoriamente sempre trafficata, ma nessuna sembra rispondere alla richiesta di soccorso diramata dal velivolo in missione europea. Imprecisato ancora il numero delle persone a bordo della barca avvistata sulla rotta Tripoli-Lampedusa. Un altro velivolo da ricognizione, decollato da Malta e tracciato dal giornalista Sergio Scandura di Radio Radicale, sta pattugliando intorno al punto in cui, presumibilmente, potrebbe trovarsi una ulteriore imbarcazione carica di profughi. La zona battuta dall’aereo maltese dista altre cinquanta miglia circa, ma a sud-sudovest di La Valletta.
I decreti anti-Ong ed anti-migranti del Governo italiano, malgrado gli avvertimenti delle Nazioni Unite, sembrano dare sempre più i propri frutti incentivando l’omissione di soccorso in mare. Già i continui “sequestri” di navi, Ong e Guardia Costiera, bloccate per giorni e giorni a largo senza poter concludere la missione di salvataggio, erano stati un forte deterrente per la marineria mercantile che avrebbe potuto salvare vite umane. Alle richieste di intervento “europee” del velivolo impiegato nella missione Sophia pare che nessuno risponda. Il modo più semplice e cinico per non venire ufficialmente investiti dall’ordine di soccorso della Centrale di coordinamento soccorso in mare. L’imbarcazione carica di persone è però una di quelle partite dalla Libia che è riuscita a lasciarsi alle spalle le motovedette dei libici.
Ieri era andato in scena un altro grottesco caso di omissione di soccorso nel Mediterraneo centrale. La Ong Sea Watch, con uno dei suoi velivoli da ricognizione, aveva documentato il mancato intervento della nave Bettica della Marina Militare. La nave distava circa quaranta miglia da un gommone sgonfio con parecchie persone in mare, ma pare abbia preferito non avviare la navigazione verso il naufragio. Sul posto è stato inviato un elicottero della stessa nave militare italiana per una ricognizione. Il velivolo non avrebbe ovviamente potuto intervenire soccorrendo i naufraghi, ma ha documentato l’intervento della cosiddetta guardia costiera libica. L’unità in forze alla Libia, pattugliatore donato dall’Italia e già appartenuto alla Guardia di Finanza, ha quindi raggiunto il punto del naufragio molto tempo dopo la segnalazione del piccolo ricognitore civile che aveva documentato le persone in mare.
Oltre alle due barche “recuperate” dai libici ed all’intervento sul gommone naufragato, altre barche erano riuscite a mettersi in salvo dai loro aguzzini della Libia. Una di queste ha raggiunto Lampedusa e questa notte, intorno alle quattro del mattino, è giunta in porto scortata da Guardia Costiera e Guardia di Finanza. A bordo c’erano 56 persone e tra esse anche una donna. Il giorno precedente Linosa era stata teatro dello sbarco di quattro migranti tunisini che in giornata sono stati trasferiti sull’altra isola, Lampedusa, e dal porto della maggiore delle Pelagie a Centro di accoglienza. In mare intanto continuano a documentarsi partenze di migranti e profughi salpati dalla Libia, ma anche omissioni di soccorso e respingimenti verso il porto non sicuro, la zona di conflitto sempre più pericolosa che è la Libia. Ufficialmente viene ancora riconosciuta la SAR libica anche se il Paese non ha una Guardia Costiera unica, coordinata e degna di questo nome. L’Italia intanto continua ad essere complice dei respingimenti, con il sostegno al coordinamento soccorso, ed anche a disincentivare il soccorso da parte della marineria civile. Le Ong, uniche che ancora navigavano nel Mediterraneo centrale, sono ferme a Licata sotto sequestro probatorio. La Sea Watch 3 e la Mare Jonio sarebbero in questo momento le uniche navi equipaggiate in modo da poter effettuare soccorsi in sicurezza e disposte a farlo.
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