di Mauro Seminara
Il copione è sempre lo stesso ed anche la reazione di chi ha il dovere di intervenire non delude mai gli spettatori, soprattutto le aspettative di chi ormai è convinto che le persone in mare devono morire perché misteriosamente qualcun altro, in un posto qualunque d’Italia, possa trarne beneficio. Un gommone sovraccarico è al confine con la SAR zone libica, un triangolo della morte che ha risucchiato nei suoi abissi più persone di quante se ne attribuiscano al mitologico triangolo della Bermuda. Da bordo del precario canotto gigante parte una richiesta di soccorso che, come se non esistessero più istituzioni nazionali preposte, arriva alla centrale operativa di Watch the Med, l’ormai noto Alarm Phone. La richiesta di soccorso è delle prime ore del mattino di ieri. A bordo, prima stima degli stessi disperati in fuga dalla Libia, pare ci siano circa ottanta persone. Da Lampedusa decolla il piccolo velivolo da ricognizione della Ong tedesca Sea Watch ed alle 10:30 circa, ora italiana, trova il gommone e ne comunica la posizione esatta con una richiesta di soccorso a tutte le unità navali nelle vicinanze mentre Alarm Phone aveva già inoltrato a tutte le sale operative di coordinamento soccorso marittimo la richiesta dei profughi. Il tubolare del gommone intanto si stava progressivamente sgonfiando. Per 24 ore nessuno ha accolto la richiesta di intervento. Il Mediterraneo è ormai quel mare che vuole il ministro dell’Interno italiano: il luogo in cui la solidarietà si è estinta.
Pressioni psicologiche anche sui militari
Moonbird, il piccolo ricognitore di Sea Watch, vede nelle vicinanze una nave della Marina Militare. Non si tratta della Bettica, la nave della Marina che nell’ultimo analogo episodio si è limitata, con notevole ritardo, a far decollare un elicottero per “verificare” la situazione. La nave che il Moonbird vede è la Cigala Fulgosi, la stessa che in precedenza intervenne per ordine di bordo in soccorso di 36 profughi in procinto di affondare. La Cigala Fulgosi è rimasta in area, in servizio di difesa con la missione “Mare Sicuro” ed a difesa della nave italiana ormeggiata nel porto di Tripoli. In quel caso, la nave trasbordò sulla nave militare da rifornimento Stromboli i 36 migranti poi sbarcati nel porto militare di Augusta alla banchina della NATO. Ne era conseguito un acceso scambio tra il ministro dell’Interno e lo Stato maggiore della Difesa per l’iniziativa della nave Fulgosi. Da allora, le navi della Marina italiana si erano tenute alla larga, evitando finché possibile interventi di soccorso. Stando alle dichiarazioni della Ong tedesca Sea Watch, anche in questo caso la nave non si era sperticata l’elica per raggiungere il gommone distante poche miglia. Anzi, sempre stando alle dichiarazioni della Ong, risultava aver invertito la rotta ed essersi leggermente allontanata. Circa 36 ore in attesa di soccorso con un gommone già in parte sgonfio e donne e bambini da spostare con molta cautela sul lato ancora galleggiante, e la nave della Marina Militare italiana stava lì, ad attendere ordini o forse a riflettere sul da farsi dopo, per far fronte alle conseguenze di un eventuale soccorso.
Nessuno interviene
Alarm Phone rimane in contatto con le persone a bordo del gommone che questa mattina dicono all’operatore di vedere una nave in lontananza. Potrebbe trattarsi, dicono dalla centrale telefonica di soccorso, del mercantile Marmorotai. Sono trascorse più di 24 ore dalla richiesta di soccorso di oltre ottanta profughi, con donne e bambini, a bordo di un gommone sgonfio nel bel mezzo del Mediterraneo. Del pattugliatore P490 Cigala Fulgosi della Marina Militare italiana nessuna notizia. Il piccolo Moonbird intanto, già ieri, aveva visto e fotografato un elicottero della Marina Militare che sorvolava il gommone, presumibilmente decollato dalla Cigala Fulgosi che distava circa nove miglia. Con il sopraggiungere della notte la situazione è più che drammatica. Il gommone non ha carburante e si trova alla deriva, semisgonfio, con a bordo 15 bambini – secondo Alarm Phone – e donne in gravidanza. Questa mattina, dopo la notte al gelo con il gommone alla deriva e le gambe in acqua, viene diffusa una notizia che Alarm Phone riceve dai profughi ed inoltra a tutti: a bordo una bambina di cinque anni è morta. La circostanza sembra cambiare repentinamente lo stato delle cose. L’omissione di soccorso, discutibile e da dimostrare, diventa potenziale causa di vittime. La bambina morta, con una nave della Marina Militare costantemente a breve distanza, ribalta la situazione.
Le spiegazioni della Marina Militare
“Questa mattina il Pattugliatore d’altura della Marina Militare Cigala Fulgosi, ha raggiunto un gommone in acque internazionali, a circa 90 miglia a sud di Lampedusa. L’unità della Marina, constatate le condizioni del natante con 100 persone a bordo, di cui solo una decina provvisti di salvagente individuale, motore spento, precarie condizioni di galleggiamento e considerate le condizioni meteorologiche in peggioramento, è intervenuta in soccorso delle persone che erano in imminente pericolo di vita.” L’attacco del comunicato stampa della Marina Militare italiana sembra essere la preventiva difesa per un intervento per il quale si dovrà anche difendere. “A termine del soccorso sono state recuperate le 100 persone, di cui 17 donne e 23 minori, per i quali è attualmente in atto la verifica delle condizioni di salute. Non risulta alcuna persona deceduta a bordo.” Questo il bilancio dell’intervento annunciato dalla Marina Militare che, non facendone menzione, escluderebbe il decesso di una bambina. Non è quindi chiaro se a bordo del gommone qualcuno abbia pensato che la notizia di una bambina morta di stenti avrebbe costretto qualche nave al soccorso o se di fatto un mancamento reale della bambina possa essere stato preso – complice il panico e la stanchezza – per un decesso. Quel che è certo è che il gommone si trovava ancora in aera SAR attribuita indebitamente ai libici e che di pattugliatori con la bandiera della Libia, a metà strada tra Tripoli e Lampedusa, non se ne sono visti. Altrettanto certo è che la nave pattugliatore d’altura P490 Cigala Fulgosi della Marina Militare italiana è intervenuta dopo un giorno e solo dopo la notizia del decesso di una bambina.
La Marina si ripete
Il modus operandi ed i tempi del soccorso, le reiterate richieste di intervento non raccolte, le testimonianze dal velivolo della Ong, sono solo alcune delle caratteristiche da “solito copione”. Anche il dopo intervento della Marina sembra essere una nota già letta. “Nave Cigala Fulgosi, unità della Marina Militare, è attualmente impegnata nell’Operazione Mare Sicuro, unitamente ad altre unità aeronavali della Difesa, al fine di proteggere gli interessi nazionali nel Mediterraneo centrale, conducendo attività di presenza, sorveglianza e deterrenza, anche in ragione all’attuale situazione di sicurezza presente in Libia.” Precisazione già fatta dalla “Italian Navy” nel caso del precedente soccorso. Come è stato precisato in quella circostanza quanto segue: “Tale unità è posta in particolare a protezione distante di nave Capri, anch’essa facente parte dell’Operazione Mare Sicuro, che si trova ormeggiata in porto a Tripoli per fornire assistenza tecnico-logistica ai mezzi della Marina militare e della Guardia Costiera libica. L’unità è anche a salvaguardia del personale italiano presente a Tripoli nonché delle piattaforme estrattive dell’ENI presenti al largo delle coste libiche.” Adesso, come nel precedente caso, la Marina Militare ha bisogno di far sbarcare cento profughi, civili, che si trovano a bordo di una nave militare in assetto operativo. La Cigala Fulgosi non può lasciare il presidio, lasciando sguarniti gli obiettivi sensibili a cui fornisce difesa, ed è pertanto necessario un trasbordo su altra unità navale che possa poi condurre i naufraghi in un porto sicuro.
Le aspettative di Salvini
Al riguardo ha dato le solite “indicazioni” il ministro dei porti chiusi con i suoi continui cinguettii. Un primo tweet è stato in apparente favore della Marina Militare: “Sono infondate e diffamatorie le accuse contro i nostri uomini e donne della Marina. Anche in questo caso, come sempre e rispettando legge e morale, hanno soccorso chiunque fosse a rischio.” A seguire, il ministro ha ovviamente distolto l’attenzione dalla lunga attesa prima dell’intervento attaccando – come al solito – le Ong: “È incredibile che alcuni organi di stampa italiani diano credito a provocazioni e illazioni delle solite Ong a cui finalmente abbiamo tagliato il business e che sono sotto inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.” Il successivo cinguettio convergeva poi sul consueto slogan dei porti chiusi: “Difendiamo l’onore della Marina. Per quanto di mia competenza ribadisco l’indisponibilità dei porti italiani per accogliere clandestini. #portichiusi”. Con tanto di consueta bandierina tricolore a chiudere. Infine, dopo onore e congratulazioni agli uomini e donne della Marina, arriva il tweet del ministro dell’Interno che tanto sembra una indicazione o una minaccia e non certo un encomio a chi ha salvato cento persone in mare: “Ma mi aspetto che un magistrato applichi le norme, anziché interpretarle. #portichiusi”. I due tweet, “Difendiamo l’onore della Marina” e “Ma mi aspetto che un magistrato applichi le norme”, in relazione al tema, sono consecutivi. Ci si dovrà quindi attendere una replica da parte dello Stato Maggiore della Difesa, pubblica o privata.
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