di Mauro Seminara
Il pattugliatore P-61, delle Forze Armate Maltesi, ha infine soccorso il gommone in difficoltà che aveva ieri creato un nuovo caso sul flusso migratorio nel Mediterraneo centrale. Dalla segnalazione ricevuta da Alarm Phone, il gommone si trovava in mare da tre giorni. Spesso, negli anni, si è assistito a disorientamento cognitivo da parte dei migranti dopo i primi due giorni di navigazione. Il gommone potrebbe essere rimasto in mare tre giorni come asserito, ma anche solo due giorni – tempo minimo per un natante stracarico e spinto da un piccolo motore per giungere a quaranta miglia da Lampedusa senza una rotta – sarebbero troppi per le condizioni meteo degli ultimi giorni. Il sole implacabile causa insolazioni e ustioni chimiche gravissime se unito a salsedine e vapori di benzina. Sul posto c’era la Sea Watch 3, che dopo l’ultimo sequestro probatorio aveva lasciato il porto di Licata e ripreso la sua missione umanitaria. La Sea Watch 3 aveva messo in mare i suoi due rhib, pronta ad intervenire appena possibile e se necessario. Per molte ore, il pattugliatore maltese, sul posto per un evento in area SAR di Malta, si sarebbe limitato a fornire elementi di sicurezza ai profughi ma senza intervenire con un trasbordo. Lanciati dei gonfiabili, che il centinaio di profughi avrebbero dovuto saper utilizzare in caso di naufragio, il pattugliatore si è fermato ed ha anche ascoltato le comunicazioni radio del Colibrì, il velivolo da ricognizione della Ong tedesca Sea Watch, che comunicava di stare filmando tutto e ricordava ai maltesi che il respingimento è un reato.
Nove ore di attesa senza intervento. Lo affermano dalla Ong Sea Watch confermando l’accusa di mancato intervento del pattugliatore maltese, filmato dal velivolo Colibrì, nei confronti del gommone che risulterà poi carico di 97 persone tra cui due donne e due bambini. La Sea Watch 3 era intanto in area, ma non si poteva avvicinare. Sette miglia di distanza da un natante stracarico con a bordo persone che accusavano i sintomi di chi è rimasto in mare due o, come asserito, tre giorni e non poter intervenire. Un’attesa in linea con la nuova politica europea di deterrenza – a discapito del crescente numero di vittime – verso il flusso migratorio dalla Libia. Vari velivoli della missione europea Sophia aveva infatti sorvolato e girato intorno al gommone in difficoltà. La missione, con i suoi aerei di stanza alla base militare Nato di Sigonella, in Sicilia, comunica la posizione dei natanti in difficoltà alle rispettive autorità SAR. In tal modo, l’Unione europea segnala alle autorità maltesi se in area SAR di Malta e si rende invece complice di mancato soccorso a profughi con diritto di richiesta asilo nel caso della segnalazione alla sedicente guardia costiera libica perché recuperi il natante e lo riconduca nel porto non sicuro della Libia, dove non vengono garantiti i diritti umani e dove si consuma ormai da due mesi una guerra civile.
Il pattugliatore maltese P-61 ha soccorso con un trasbordo, dopo nove ore di osservazione ed in cui aveva fornito un canotto gonfiabile e dei giubbotti di salvataggio, tutti i profughi che si trovavano a bordo del gommone. Le persone sono sbarcate a Malta e giunte a terra sono state condotte al centro per migranti della Marsa, vicino La Valletta. Oltre all’isola-Stato del Mediterraneo, Malta, anche Lampedusa ha recentemente registrato nuovi arrivi via mare. Nel pomeriggio di domenica una motovedetta della Guardia Costiera ha fermato e poi trainato in porto una barchetta di ridottissime dimensioni con a bordo 38 persone, tra le quali 17 donne ed una bambina. Non è stato l’unico episodio che ha interessato l’isola pelagica italiana nei giorni scorsi. Altre barche hanno raggiunto le acque territoriali intorno Lampedusa prima di vedere motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Il nuovo approccio europeo, con la missione Sophia limitata al monitoraggio aereo e l’Italia con la pretesa dei porti chiusi, sembra riavvolgere il nastro fino all’estate 2013, cioè prima del naufragio del 3 ottobre di quell’anno e prima della conseguente missione italiana Mare Nostrum. L’unica differenza sostanziale con quel sistema di soccorso, che comunque vedeva la Guardia Costiera italiana spingersi anche fino a trenta miglia dalla Libia per farsi sparare dagli stessi libici a cui venivano offerte motovedette della Guardia di Finanza, riguarda la forzatura sul rapporto tra i tempi di intervento in caso di naufragio e la sicurezza dei gommoni che usano oggi i trafficanti e che sono infinitamente meno sicuri di quelli del 2013. Aumentano infatti le vittime della rotta Libia-Europa. Quest’anno, secondo il parziale dato dell’UNHCR, quasi 350 persone hanno perso la vita durante la traversata. Il risultato è pari al 15% di vittime sul totale giunti a destinazione. Ma se l’UNHCR parla di 15 persone morte su 100 è solo perché l’assenza di motovedette, pattugliatori e Ong nel Mediterraneo centrale e la totale assenza di trasparenza da parte delle istituzioni nel comunicare gli eventi che si consumano in quel tratto di mare, non permettono di avere il reale dato statistico sulle vittime del Mediterraneo e dell’Unione europea, oltre che dei trafficanti libici.
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