di Mauro Seminara
Antonio Ingroia, il pm che dalla Procura di Palermo diede il via al processo “Trattativa Stato-mafia” istruendolo insieme a Nino Di Matteo ed altri magistrati rimasti isolati per aver tentato di fare chiarezza sui rapporti tra istituzioni e Cosa Nostra al tempo della Strategia della tensione e delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, punta il dito contro tutti i togati coinvolti nell’inchiesta che sta rivelando una diffusa corruzione anche all’interno della Corte Superiore della Magistratura. “Perché?”, scrive Ingroia sul proprio profilo Facebook. “Perché sono gli unici sentimenti che si possono provare nell’Italia di oggi. Leggiamo quotidianamente i giornali, ad esempio, su questa terribile vicenda della magistratura italiana, ‘Palamara-Lotti-CSM’, che sta azzerando la fiducia dei cittadini nella magistratura, ma che purtroppo non mi meraviglia più di tanto.” Il post di Ingroia ha i toni di una arringa appassionata in una requisitoria. La passione è però quella di chi, dopo tanti anni, si toglie un macigno più che un sassolino dalla scarpa. L’ex pubblico ministero asserisce di essere stato facile profeta prevedendo quanto oggi sta, giorno dopo giorno, diventando di pubblico dominio. “Avevo già ‘visto’ e ‘sentito’ l’involuzione della magistratura e soprattutto dei suoi vertici, Capi degli Uffici, CSM e ANM in testa, arrivati al disastro di oggi.”
Antonio Ingroia ne ha per tutti, incluso il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Riguardo al “disastro” che sta travolgendo i vertici della magistratura italiana, l’ex pm striglia il ministro: “Altro che, caro Ministro Bonafede! Non mettiamo la testa nella sabbia come gli struzzi, come nella sua intervista a La Stampa, dove sembra che tutto va bene in magistratura e gli attuali capi degli uffici giudiziari sono i migliori magistrati!”. Perché per Antonio Ingroia non c’è nessuno, in questo momento, migliore degli altri. Sul caso si era già pronunciato l’attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, anch’egli ex pm rimasto solo in trincea prima di dare forfait e candidarsi per la guida del capoluogo campano. De Magistris, ospite di un programma di approfondimento televisivo, aveva ricordato le inchieste che lo condussero all’isolamento e nelle quali l’attesa difesa del CSM non arrivò. “Perché Ingroia e De Magistris non sono più in magistratura? Perché Di Matteo è in un angolo? Caro Ministro, Lei mi è umanamente simpatico, ma non faccia lo struzzo per paura di affrontare i problemi….”, scrive Antonio Ingroia ricordando così anche la sorte toccata al collega campano che oggi è al suo secondo mandato da sindaco.
L’affondo di Ingroia non tarda ad arrivare, ed è una denuncia, fatta da chi pare aver atteso per anni che la testa dei nemici gli rotolasse davanti ai piedi: “Insomma, non è un caso che Luca Palamara fosse il Presidente dell’ANM quando 10 anni fa, col plauso di tutto l’arco costituzionale e di (quasi) tutta la stampa e i media, non sollevò un dito mentre noi, i PM della ‘Trattativa’, venivamo massacrati quotidianamente per avere ‘osato’ fare quell’indagine (io massacrato più di tutti, ragion per cui poi decisi di lasciarla alla vigilia del processo per ‘salvare’ il pool e il processo da tutte le polemiche scatenate contro di me). Ed è un caso che Palamara era ‘fidatissimo’ dal Presidente Napolitano, al punto da designarlo per un’improbabile ‘mediazione’ fra la Procura d Palermo e il Quirinale quando scoppiò il conflitto di attribuzioni? No, non è un caso. Come non è un caso che all’epoca lo stesso partito trasversale (col gruppo ‘Repubblica-L’Espresso’ in testa), che mi attaccava quotidianamente, blandiva Palamara come ‘prudente magistrato con grande senso delle Istituzioni’, ed oggi lo attacca solo perché Palamara, che prima ‘proteggeva il culo’ all’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (così emerge dalle intercettazioni pubblicate in questi giorni), ne è improvvisamente divenuto ‘avversario’ per ragioni oscure e che solo loro due potrebbero spiegare se qualcuno solo glielo chiedesse (ma qualcuno glielo chiederà mai in questo Paese di omertosi?).”
Antonio Ingroia poi passa in rassegna anche il secondo canale Rai, che ha trasmesso il film Sabina Guzzanti “La Trattativa” – al tempo contestato e censurato – ma che ha poi proposto, a detta dell’ex pm, un approfondimento anacronistico con ospiti eccellenti per la rinomata attività denigratoria nei confronti del pool di magistrati che istruì il procedimento. Il programma viene definito da Ingroia “un florilegio di falsità, offese, mistificazioni e disinformazioni, trasformatosi in un vero e proprio ‘tiro al bersaglio’ mediatico, sapientemente agevolato dal conduttore e da una regia ‘sincronizzata’, che teneva pronte le foto da mandare in video ogni qualvolta Gasparri e Sottile cambiavano l’obiettivo del proprio bersaglio: ora la foto di Ingroia, e giù l’attacco concentrico su Ingroia; poi la foto dell’on. Calogero Mannino, e giù la ‘tirata’ sul c.d. ‘accanimento giudiziario’ contro l’unico imputato assolto in primo grado per il reato di ‘violenza e minaccia contro lo Stato’, e così via.” Il programma andato in onda su Rai 2 al termine del film di Sabina Guzzanti è stato troppo pesante da digerire per Antonio Ingroia, che al riguardo ha annunciato ieri: “Ho dato mandato ai miei legali di verificare se ricorrono gli estremi per procedere in ogni sede giudiziaria adottando ogni più opportuna ed efficace iniziativa legale per tutelare la mia onorabilità e reputazione professionale e personale nei confronti di chi ne sarà ritenuto responsabile.”
Nel frattempo altre intercettazioni del “caso CSM” sono state pubblicate su L’Espresso. Nella nuova tranche ci sono molti protagonisti della vicenda che ha distrutto l’onorabilità della magistratura mettendone gravemente a rischio il diritto di indipendenza. Tra le conversazioni pubblicate ci sono Luca Palamara, ma anche Sirignano, Fava, Spina, Ferri, e parlano di tutti: Lo Voi, Pignatone, Melillo, Borrelli, Viola, D’Amato. Sono tutte nomine da manipolare. Tutte pedine da spostare in funzione ai procedimenti che devono partire o che si devono incartare. La vicenda però sembra polarizzarsi – grazie alla gestione mediatica del caso – sui togati corrotti che puntano al potere, proprio o di sodali, e alle correnti della magistratura politicizzata. Rischia pertanto di passare in secondo piano, e magari di scivolare fuori dal tavolo, l’influenza politica dei partiti e gli interventi “esterni” di soggetti politici che a loro volta offrivano appoggio e garanzie affinché i “giusti” magistrati andassero nelle “giuste” Procure e da li dessero poi una mano con l’apertura o la chiusura di fascicoli. Il caso di Luca Lotti è l’emblema di una corruzione politica che ha infiltrato pesantemente la magistratura, ma non soltanto quella. L’ex ministro, poi anche sottosegretario, braccio destro di Matteo Renzi premier e delegato ai servizi segreti, era già finito al centro di un’inchiesta che lo vedeva coinvolto in rivelazione di segreti d’ufficio con la presunta complicità di vertici delle istituzioni come l’allora comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Lotti, già coinvolto nell’affare Consip, in questo caso pare abbia vantato canali preferenziali perfino con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e tentato di pilotare l’avvicendamento alla Procura di Roma per facilitare le sorti del procedimento a carico. La politica, che adesso sembra tirarsi fuori per lasciare che la magistratura si autoscrediti, da anni ormai tenta di privarla della propria indipendenza e quindi del proprio organi di autocontrollo. Se le cose procederanno come sembra, tra poco verrà fuori un partito che, sul cadavere di uno dei poteri dello Stato, proporrà una riforma costituzionale che cambierà drasticamente gli equilibri di potere della Repubblica italiana. E c’è chi è già pronto a scommettere che a depositare il disegno di legge costituzionale sarà il partito che al momento sta calcando la mano sul caso meno degli altri pur essendo quello più esposto a procedimenti giudiziari.
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