Nel cuore della notte tra sabato e domenica, la Guardia di Finanza è salita a bordo della nave Sea Watch 3, a largo di Lampedusa dal giorno successivo al soccorso di 53 profughi in acque internazionali, per notificare – qualora non ne fossero a conoscenza – l’entrata in vigore del “decreto sicurezza bis”. Le nuove norme, varate dal Consiglio dei ministri in forma di decreto legge come se ci fossero una gravissima emergenza che obbliga l’esecutivo a misure straordinarie ed urgenti, hanno visto anche la firma del presidente della Repubblica per la promulgazione. “Questa notte la Guardia di Finanza ha fatto visita, per 2 volte, alla #SeaWatch3 per notificare il #DecretoSicurezzabis alla nostra Comandante. Non si comprende la necessità di farlo nel cuore della notte. Restiamo al largo di #Lampedusa e reiteriamo la richiesta di sbarco.” Lo ha annunciato su Twitter ieri pomeriggio la Ong tedesca dalla cui nave, per ragioni medico sanitarie sono stati fatti sbarcare a Lampedusa 10 dei 53 profughi soccorsi il 12 giugno in acque internazionali. Per la nave della Ong tedesca battente bandiera olandese era stato firmato dal ministro dell’Interno, nell’ambito dei nuovi poteri che il Dl sicurezza bis gli conferisce, un ordine di divieto d’accesso alle acque territoriali italiane. La nave, seguendo la linea delle nuove norme introdotte con i requisiti di urgenza dal Governo, sarebbe un pericolo per la sicurezza della Nazione e pertanto le viene vietato anche solo il transito in acque italiane.
La Sea Watch 3, secondo il metro di valutazione del Governo italiano, sempre più palesemente guidato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini a cui pare aver abdicato la maggioranza pentastellata oltre che il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture dell’inconsistente Danilo Toninelli, sarebbe colpevole d’aver negato il respingimento in Libia di 53 persone che hanno diritto – secondo tutte le leggi nazionali ed internazionali – di chiedere asilo in un Paese che sia un “porto sicuro” in cui vengono riconosciuti i Diritti umani. Mentre la Sea Watch 3, ricevuto dalla Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo libica il porto di Tripoli quale unico irricevibile Place of Safety in cui ricondurre le persone soccorse per vederle nuovamente affidate ai loro carnefici per maltrattamenti e stupri, a largo di Zarzis c’era già da 12 giorni la nave Maridive 601 con a bordo 75 profughi – anch’essi salpati dalla Libia – ed il porto di bandiera chiuso. La nave da supporto logistico alle piattaforme offshore aveva soccorso un’imbarcazione stracarica di profughi che rischiava di affondare, abbandonata dalla cosiddetta “guardia costiera” della Libia, con persone in mare da prendere immediatamente a bordo. Nessun “porto sicuro” era stato indicato alla Maridive 601 che – giusto ribadire – è stata costretta all’intervento in assenza di preposti soccorritori. Giunta a largo del porto tunisino di Zarzis, porto del Paese di bandiera della compagnia di shipping e porto più vicino a punto di soccorso in legittima esclusione di qualsiasi porto della Libia, l’autorità nazionale della Tunisia le ha negato l’accesso costringendo la nave a ormai 18 giorni di “sequestro” con 75 passeggeri extra da sfamare ed ai quali garantire impossibili standard minimi di igiene e cure mediche.
Di fronte al silenzio del mondo intero, in particolare dei Paesi dell’Unione europea e di tutti i tre continenti che si affacciano sul Mar Mediterraneo, gli Stati rivieraschi hanno chiuso il mare pretendendo il respingimento in Libia – zona di conflitto armato dal 4 aprile 2019 e porto non sicuro di una nazione disgregata che non ha mai aderito alla Carta dei Diritti Umani – di chiunque tenti di fuggire dalla stessa Libia. Un crimine internazionale che pare nessuno abbia intenzione di interrompere e sanzionare come opportuno. I porti italiani vengono “chiusi” con decreti che – secondo costituzionalisti già consultati anche da Mediterraneo Cronaca – hanno tutti i requisiti di incostituzionalità ai quali si sarebbe potuto appellare anche il presidente della Repubblica per rispedirli al mittente. A questo sistema di passivo respingimento di persone a cui è obbligatorio il riconoscimento del diritto di chiedere asilo, si attiene da sempre Malta – che fa quel che può per dirottare le barche dei migranti verso l’Italia – e adesso si adopera con grande energia l’Italia. La conseguenza della chiusura europea, anche alle navi che battono bandiera di uno degli Stati membri dell’Ue, ha causato la chiusura dei porti della Tunisia che pare non intenda divenire ostaggio delle deliranti politiche dei sedicenti civili Paesi comunitari.
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