Negli ultimi anni gli urologi stanno ponendo sempre più attenzione agli interventi chirurgici per l’incontinenza urinaria maschile, grazie allo sviluppo di più sofisticati device in grado di limitare quanto più possibile gli eventuali fastidi post-intervento. Si è discusso anche di questo in occasione del 43esimo Congresso nazionale della Società italiana di Urodinamica, in programma a Roma fino a sabato. “Nei casi in cui ci si rendesse conto che una terapia farmacologica non faccia effetto e si rendesse necessario un intervento chirurgico alla prostata – fa sapere all’agenzia Dire il dottor Marco Soligo, presidente della Siud – gli uomini non devono allarmarsi: oggi esistono metodiche chirurgiche a cielo aperto, in alcuni casi laparoscopiche o addirittura di tipo robotico, piuttosto sofisticate e capaci di offrire una visione precisa delle delicate strutture sulle quali si va ad intervenire per fare una chirurgia ‘nerve sparing‘, cioè meno invasiva”.
Intanto si sta sviluppando sempre di più anche in Italia il concetto di ‘combination therapy’, cioè l’utilizzo di una terapia combinata di farmaci “in grado contemporaneamente di potenziare gli effetti benefici sui disturbi del basso tratto urinario – fa sapere infine Soligo – e minimizzare gli effetti collaterali in ambito sessuale”. Secondo uno studio condotto dalla Siud nel 2017 su oltre 2.400 italiani, in occasione della campagna di prevenzione ‘Controllati’, l’Ipertrofia prostatica benigna (l’ingrossamento non tumorale della prostata, che provoca problemi di diversa natura, tra cui appunto difficoltà di minzione e disfunzioni sessuali) colpisce il 30% degli uomini fra i 50 e i 60 anni, e fino al 60% degli over 70. Non solo: il 10% dei quarantenni ha già i primi sintomi della Ipb.
Carlotta Di Santo – Agenzia DIRE
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