di Adel Chehida
Quello che è successo martedì 18 giugno nel Parlamento tunisino non è per niente un segnale positivo per il travagliato percorso democratico che Tunisia vive. Un’assemblea dei rappresentanti del popolo, che durante tutta la legislatura è stata caratterizzata da una parte da un’alleanza, all’inizio tra il partito Nida (adesso spaccato) fondato dal presidente attuale Beji Caied Essebsi ed il partito islamico Nahdha, e dall’altra da un turismo politico dei deputati tra i diversi partiti, non è riuscita a costituire una corte costituzionale garante.
I 170 parlamentari, noti per il loro assenteismo, si sono trovati presenti e compatti martedì scorso per votare con maggioranza un emendamento della legge elettorale, con l’obiettivo di sbarrare la strada a dei concorrenti che i sondaggi davano per favoriti con percentuali a due cifre. Nabil Karoui, proprietario del canale televisivo Nessma (azionista pure Mediaset, dicono), ben seguito e anche presidente dell’associazione Khalil, il nome del giovane figlio prematuramente scomparso, e Olfa Tarres Rambourg, presidente della associazione Ice Tunsi (Vive tunisino, ndr).
L’alleanza attuale del neo partito fondato dall’attuale presidente del governo, Youssef Chahed, e Nahdha, si è trovata d’accordo in tempi record nel decidere di sbarrare la strada davanti a certe ambizioni politiche. “Non si cambiano le regole tre mese prima del voto”, grida l’opposizione. Una opposizione che fa fatica a convincere i cittadini e concentrata sull’egocentrismo dei suoi leader. Marouen Achouri, giornalista, scrive sulla pagina Businessnews: “124 opportunisti fanno rivivere la dittatura”. Ineludibile amarezza, perché se la Tunisia fallisce in questa tappa democratica cruciale sarà poi troppo difficile dopo recuperare. Troppo tempo perso e tante speranze deluse in una fase geopolitica delicata.
Con la Libia in guerra civile e l’Algeria senza presidente della Repubblica (un periodo pre elettorale fortunatamente con grande partecipazione civica), la Tunisia deve riuscire a compiere il suo difficile percorso, altrimenti l’Europa, in generale e l’Italia in prima fila, saranno il pericoloso fronte d’instabilità politica e socio economica nel Mediterraneo con la solita scusa della gestione della situazione umanitaria e dell’immigrazione clandestina.