di Vittorio Alessandro
La bugia e l’assenza di pietas: questo il connotato che ha assunto il potere (ma anche la nostra vita), alla faccia di ogni appello all’onestà, alla trasparenza, ai bisogni degli italiani di cui, oggi, un ministro di polizia si è fatto padre (col rosario in mano) e il premier avvocato. Invocare la magistratura perché metta mano alla corruzione è un conto, altro è agitare manette nell’aula del parlamento, lanciare monetine al leader prima osannato, pubblicare i verbali delle intercettazioni, usare la gogna.
Riformare la pubblica amministrazione è dovuto, ma è invece un delitto ingessarla rendendola impotente nelle mani di amministratori e burocrati onesti forse, ma arcigni e spaventati, e quindi immobili.
Praticare il “politicamente scorretto” può essere utile a scuotere schemi culturali divenuti soffocanti e retorici, ma la scorrettezza, nelle mani di persone senza cultura e senza scrupoli, fa terra bruciata dei fondamentali codici di civiltà.
Infine, la bugia: nessuno ha mai creduto fino in fondo alla parola dei politici, ma ai loro principi sì, era necessario credere e doveroso, per essi, rispettarli. Oggi, la bugia è uno sfacciato appello di bandiera: sappiamo che non è vero, ma ci serve. Servì a Berlusconi dire che quella ragazzetta fosse la nipote di Mubarak; a Renzi affermare che l’economia andasse a gonfie vele; serve a Salvini dichiarare che ormai pochi lasciano la Libia e quasi nessuno muore in mare; e per molti è simpatico sentir dire che lo striscione per Regeni è stato rimosso perché impolverato.
Tutti riconoscono la bugia e, chi la subisce, matura rancore, chi invece la considera una geniale furbata sogghigna nel veder friggere gli avversari.
In tutto questo, non si trova un filo di pietas. Farà certamente sorridere la mia certezza che, non l’educazione civica dovesse (ri)entrare nelle scuole, ma l’educazione ai sentimenti, necessaria così alla democrazia che alla nostra vita quotidiana.
Commenta per primo