di Clara Statello
La chiusura del CARA pone fine, nella peggiore delle maniere, ad una storia di integrazione malriuscita. Se prima, il mega centro sovraffollato forniva un tetto e cure a più di duemila e cinquecento persone, la sua chiusura lascerà in mezzo ad una strada centinaia di lavoratori, che perderanno il loro posto, e centinaia di migranti che verranno esclusi dal sistema di accoglienza.
Per molti ospiti non è stata prevista alcuna alternativa e si prospetta la cosiddetta “accoglienza informale”. Sempre più spesso i dormitori della Caritas o di istituti religiosi si sostituiscono allo Stato. A lanciare l’allarme è Samuele Cavallone, coordinatore di Medici per i Diritti Umani, l’organizzazione che dal 2014 opera con gli psicologi del centro di Mineo, per fornire supporto psicologico e psichiatrico agli ospiti in situazione di vulnerabilità.
La situazione è aggravata dal fatto che la popolazione del CARA non è un campione di popolazione qualunque. Molti sono vittime di tratta, che hanno attraversato il deserto, la Libia e il Mar Mediterraneo, spesso sottoposti a violenze e torture, di cui portano delle “ferite invisibili”: disturbi da stress post traumatico, disturbi depressivi, flash back, incubi, etc. Soggetti particolarmente vulnerabili, che per poter intraprendere un percorso di integrazione hanno prima bisogno di un recupero psicologico , ma che spesso vengono abbandonati a se stessi.
A rimanere esclusi dal sistema di accoglienza formale non saranno solo i possessori di permesso di soggiorno per motivi umanitari, tagliati fuori dal decreto sicurezza. Ci sono i cosiddetti invisibili: un popolo di esclusi che hanno vissuto gli ultimi mesi da clandestini dell’accoglienza.
Quando il 2 luglio il ministro dell’Interno Salvini, scriveva sui social il proclama con cui annunciava la visita a Mineo, per chiudere una volta per tutte le porte del centro, scriveva anche che 27 “abusivi” erano stati allontanati.
Gli abusivi, come li chiama Salvini, non sono altro che persone che vivevano all’interno del CARA senza risultare in alcun elenco. Spesso persone con vulnerabilità, sofferenti di gravi disturbi psichici, estromesse dal sistema di accoglienza. Per loro non è stato pianificato alcun “dopo”. Per questa ragione sono rimasti dentro la struttura, anche dopo la chiusura ufficiale.
A denunciarlo, e a smentire Salvini, è Medici per i Diritti Umani. Quella degli invisibili non è una storia di abusivismo ma, al contrario, di negazione di diritti, di accoglienza e cure. Si diventava invisibili per i motivi più disparati. Per essere stati trasferiti, per non aver timbrato il badge. Alcuni erano tornati al CARA perché si trovavano male nei nuovi centri, altri dopo aver perso l’alloggio, altri ancora perché avevano rifiutato il trasferimento. Ad esempio, Cavallone segnala anche il caso di ospiti con gravi disturbi psichici a cui è stato chiuso il badge perché al momento del trasferimento si trovavano fuori dal centro o perché, in condizioni di disorientamento spazio-temporale, non timbravano il badge, venendo automaticamente esclusi. Restavano dentro la struttura, ricevevano cure, ma ufficialmente non esistevano.
Sono circa 25 gli invisibili ritrovati da Medu, che erano rimasti dentro il centro dopo l’ultimo trasferimento del 2 luglio. Sono stati ritrovati il giorno stesso dopo un giro di ricognizione che i medici avevano effettuato assieme a una suora francescana, incaricata dalla curia di Caltagirone, e a un operatore del centro. Ed è stata proprio la chiesa ad accogliere queste persone.
Ma non è tutto. Tre persone con gravi disturbi psichici erano ancora presenti dentro il centro sino a venerdì sera. Uno psichiatra del DSM di Caltagirone li aveva visitati, ma non aveva ritenuto necessario effettuare un trattamento sanitario obbligatorio. Dei tre, solo uno il giorno dopo è stato ritrovato, sul ciglio della strada, ferito e in stato confusionale. Racconta di essere stato trascinato fuori dal CARA a forza dalle forze dell’ordine. E’ stato anche lui accolto dalla Caritas. Gli altri due non sono pervenuti.
Il fenomeno potrebbe essere più esteso. Molti invisibili lavoravano durante il giorno nelle campagne, la sera rientravano nel campo dai buchi delle reti di recinzione e quindi potrebbero non essere stati intercettati dalle ricognizioni di medici e operatori. Non è possibile né conoscere il loro numero esatto né sapere se ci sono persone in condizioni di vulnerabilità rimaste fuori dal sistema di accoglienza.
Dalla denuncia di Medu emerge un quadro desolante del sistema di accoglienza italiano e della volontà politica che sottende le decisioni assunte dal governo. Un sistema di accoglienza che esclude proprio i soggetti più vulnerabili, costringendoli ad un’esistenza non riconociuta. Un Governo che non si assume le sue responsabilità e demanda alla chiesa e al volontariato quella che dovrebbe essere la prerogativa dello stato: accogliere, assistere e riconoscere i diritti umani fondamentali.