Che la Ong internazionale SOS Mediterranee stesse lavorando al suo ritorno in mare con una nuova nave era notizia che circolava da mesi e nelle ultime settimane si era anche capito che qualcosa stava per concretizzarsi. L’annuncio del ritorno di SOS Mediterranee, di nuovo in partnership con Medici Senza Frontiere, è stato dato quando la nave Ocean Viking aveva appena lasciato il porto norvegese di Swinoujscie il 19 luglio. La Ong era rimasta senza nave dopo che la Aquarius, nave che ha salvato la vita a migliaia di persone, era stata oggetto di pressioni – denunciate dalla Ong – perché nessuno Stato le offrisse iscrizione al registro navale. Persa la bandiera di Gibilterra, originale registro navale della Aquarius al momento del noleggio da parte della Ong, per la nave era iniziato l’incubo dei reietti.
Nel febbraio del 2016 la Aquarius aveva iniziato la propria missione nel Mar Mediterraneo centrale dopo una breve sosta a Lampedusa. Nel porto italiano pelagico era stata visitata dalla Guardia Costiera di stanza sull’isola che, in quella occasione, aveva anche messo in mare una delle sue inaffondabili motovedette classe 300 per delle prove di abbordaggio della nave finalizzate a possibili trasbordi. Tutto in regola. La nave si era infatti prestata innumerevoli volte al supporto di altri soccorritori sotto il coordinamento del MRCC di Roma. Trasbordi sulla Aquarius erano stati disposti dalla Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo di Roma ed effettuati da motovedette e navi della Guardia Costiera italiana ma anche della Marina Militare tricolore. La Aquarius era una nave lunga 77 metri, capace di ospitare temporaneamente – come era accaduto proprio per trasbordi disposti dall’autorità marittima – oltre 500 persone e con a disposizione una piccola clinica e l’equipe di medici ed infermieri di Medici Senza Frontiere dopo quella iniziale di Médecins du Monde.
Sophie Beau, fondatrice di SOS Mediterranee in Francia: “Tre anni fa, quando abbiamo iniziato le nostre operazioni con l’Aquarius, non avremmo mai pensato di salvare quasi 30,000 vite in mare”.
Cosa accadde a nave Aquarius
La nave di SOS Mediterranee e Medici Senza Frontiere non è mai stata oggetto di attenzioni di alcuna Procura della Repubblica italiana. Neanche lontanamente è stati mai sfiorata da indagini che potessero concludersi con un “avviso di conclusione” o una richiesta di sequestro della nave. La Aquarius era al di sopra di ogni possibile sospetto. La fine della missione di ricerca e soccorso della nave Aquarius ebbe inizio il 9 giugno del 2018. La grande nave arancione della salvezza era riuscita a resistere alle bordate del Governo di “centrosinistra” con l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, i suoi “codici di condotta” ed il suo principio di criminalizzazione delle Organizzazioni non governative che operavano nel Mediterraneo. Non riuscì però a spuntarla con il Governo che si era insediato appena otto giorni prima. Quel giorno, il 9 giugno dello scorso anno, la Aquarius aveva effettuato il suo ennesimo soccorso. Tra persone soccorse direttamente ed altre trasbordate sotto il coordinamento della sala operativa di Roma, la nave aveva a bordo 630 persone quando il 10 giugno le è stato comunicato di dover trasbordare su navi militari invece che fare rotta verso il porto sicuro più vicino. La Aquarius infatti non ebbe indicazione di un Place of Safety nelle immediate vicinanze ma dovette affrontare un lunghissimo ultimo viaggio.
Nelle parole di Alessandro Porro, uno dei soccorritori più esperti del SAR team di SOS Mediterranee, il ricordo di quanto avvenne in quei giorni dello scorso anno: “Il giorno successivo era il 10 di giugno, io ero sul ponte a portare assistenza alle persone. Erano 630, quindi la nave era veramente affollata. E a un certo punto il nostro coordinatore ci chiama per fare una riunione, ci porta in mensa – che è il posto della nave in cui noi operatori possiamo avere un po’ di riservatezza – e ci dice che sta succedendo qualcosa, che i giornali hanno incominciato a twittare, a scrivere, a raccontare che i porti sarebbero stati chiusi e che non saremmo arrivati in Italia. Ed è stato veramente un momento disorientante perché’ sembrava uno scherzo… un gioco… perché sappiamo che le regole internazionali ci sono. Le regole internazionali dicono che no, bisogna andare nel porto sicuro più vicino… nel posto sicuro più vicino.”
Ore più tardi arrivarono finalmente le consegne dalla sala operativa MRCC della Guardia Costiera italiana: stand by. L’attesa, a motori fermi e senza indicazione di porto sicuro, era finalizzata alla concomitante concertazione del Governo italiano che aveva improntato navi della Guardia Costiera e della Marina Militare per un assurdo viaggio verso la Spagna. Ricorda ancora Porro: “Durante il viaggio fra le acque internazionali vicine all’Italia e la Spagna sono passati tanti giorni – tanti giorni di cattivo tempo, anche. Abbiamo dovuto cambiare la rotta, fare un giro strano rispetto a quello che poteva essere la normalità. E all’inizio eravamo molto affollati, eravamo 630, poi la Guardia Costiera e la Marina Militare Italiana hanno trasferito sulle loro imbarcazioni parte delle persone che avevamo a bordo. Situazione a cui non eravamo preparati… a un certo punto abbiamo finito anche il cibo!” E già al tempo venne fuori uno dei primi parallelismi tra il soccorso in mare e l’attività di una ambulanza, così come è stato ripreso anche nel caso della Sea Watch 3 a Lampedusa: “Non era concepibile che questo soccorso, che come ogni soccorso dovrebbe essere un’operazione veloce, andasse avanti per così tanto tempo. Un soccorso finisce solo quando l’ultima persona è sbarcata. Dal mio punto di vista, che arrivo dal mondo delle ambulanze, è stato come se un’ambulanza partita a Firenze avesse dovuto portare il suo paziente a Mosca, perché tutti gli ospedali in mezzo ti dicevano no non puoi no non puoi no non puoi.”
Al termine di quella missione iniziarono i problemi per la nave Aquarius di SOS Mediterranee e Medici Senza Frontiere. Nessuna inchiesta giudiziaria ma pressioni del governo italiano, come denunciato dalla Ong, perché Gibilterra, Panama e qualunque altro Stato con un registro navale le rifiutasse l’iscrizione. Erano gli ultimi giorni della Aquarius. Giorni in cui, distolte dal Mediterraneo la nave Ong, nave Orione della Marina Militare e nave Dattilo della Guardia Costiera, assente un vero dispositivo di soccorso nel Mediterraneo centrale, sulla rotta Libia-Italia morirono circa 200 persone. Era l’inizio del “meglio morti che sbarcati in Italia” che si celava dietro l’inizio della politica dei “porti chiusi”. Una strage di Stato consumata sotto il consenso social media di una parte della popolazione italiana che, fino a poco tempo prima, plaudeva il prestigio e le capacità della Guardia Costiera italiana e si commoveva per le immagini delle vittime che arrivavano da ogni sponda del Mediterraneo. La strage dei migranti e delle Ong ebbe così inizio.
Per riuscire a riarmare una nave, dovendo abbandonare definitivamente l’idea di far ripartire la Aquarius, SOS Mediterranee ha dovuto lavorare in silenzio e lontano da Stati “amici” dell’Italia. La campagna per il ritorno era stata annunciata e grazie ad essa sono stati raccolti fondi, in tutta Europa, sufficienti al riavvio missione. Ma del momento, della nave, dello Stato di bandiera non si è saputo nulla fino al momento in cui la Ocean Viking non ha iniziato a navigare dalla Norvegia in direzione del Mediterraneo centrale. Lo scopo di tale riserbo era ovviamente quello di evitare che pressioni politiche internazionali impedissero alla nuova nave della Ong di prendere il mare. Un segreto lavoro finalizzato quindi ad escludere possibili segreti bastoni fra le ruote da parte di chi non vuole che ci siano testimoni scomodi nel Mediterraneo centrale. Perché è chiaro ormai a tutti che, se non fosse stato per le Ong, con le loro navi ed i loro piccoli velivoli, delle migliaia di persone morte nel Mar Mediterraneo non avremmo saputo più nulla. Silenzio stampa della Guardia Costiera nazionale. Silenzio stampa della Marina Militare. Silenzio stampa della missione europea Sophia. Morti invisibili.
“I governi europei vogliono far credere che la morte di centinaia di persone in mare e la sofferenza di migliaia di rifugiati e migranti intrappolati in Libia siano un prezzo accettabile per le politiche di controllo della migrazione. La cruda realtà è che mentre sbandierano la fine della cosiddetta crisi migratoria in Europa, fanno consapevolmente finta di non vedere la crisi umanitaria che queste politiche perpetuano in mare e in Libia. Queste morti e sofferenze sono evitabili e finché continueranno, non possiamo restare a guardare.”. Lo ha dichiarato Sam Turner, capo missione di MSF per le attività di ricerca e soccorso e la Libia, all’annuncio della partenza della nuova nave armata dalle due Ong.
La Ocean Viking
La nave che sta attraversando i mari del nord per raggiungere nei prossimi giorni l’area più letale del Mediterraneo è lunga 69 metri e larga oltre 15 metri. Costruita nel 1986 in Norvegia, la nave è di proprietà di un armatore norvegese e batte bandiera norvegese. La Ocean Viking è nata per il soccorso in mare, con la capacità di lunghi periodi di stand-by in mare aperto fino all’attivazione di una operazione SAR. Dispone di tutto il necessario per svolgere operazioni di ricerca e soccorso e vanta a bordo ben quattro motoscafi veloci (RHIB) e una clinica con aree per le consultazioni, il triage e il ricovero. La nave Ocean Viking, in condizioni ordinarie, da collaudo, può ospitare a bordo fino a 200 persone. A bordo vi opera il team medico di Medici Senza Frontiere composto da nove persone: quattro staff medicali (un medico, due infermieri, un’ostetrica), un logista, un mediatore culturale, un responsabile per gli affari umanitari, un responsabile della comunicazione e un capoprogetto che coordina la squadra. Il team di soccorritori di SOS Mediterranee è invece composto da dodici persone cui fa capo il coordinatore SAR. Altre nove persone fanno parte dell’equipaggio della nave e lavorano per l’armatore.
La missione nel Mar Mediterraneo
La sintesi della missione che la Ocean Viking si appresta ad affrontare è la stessa del 2016, anno in cui si moltiplicarono le navi Ong a causa dell’aumento dei naufragi di migranti causati dall’abbandono della missione italiana Mare Nostrum. La esprime bene e con poche parole Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere in Italia: “Torniamo in mare per salvare vite. E non possiamo restare in silenzio mentre persone vulnerabili subiscono sofferenze evitabili. Se i leader europei condannano l’uccisione di migranti e rifugiati vulnerabili in Libia, devono anche garantire la ripresa di operazioni di ricerca e soccorso ufficiali, sbarchi in luoghi sicuri e l’immediata evacuazione e chiusura di tutti i centri di detenzione arbitraria. L’ipocrisia del crescente supporto fornito alle intercettazioni in mare e al ritorno forzato delle persone negli stessi luoghi dove vengono perpetrate le violenze, lascia intendere che quelle condanne sono solo parole vuote di finta compassione”.