Si trova già ad oltre 70 miglia nord di Misurata il peschereccio italiano che era stato fermato e sequestrato martedì da una motovedetta della Libia mentre si trovava in acque internazionali. Si era quindi ripresentato il caso di estensione della giurisdizione che anche negli anni passati i libici avevano attuato sequestrando o sparando su pescherecci e navi italiane. Celebre l’episodio del peschereccio mazarese Ariete, attaccato a colpi di artiglieria pesante capace di forare il ferro spesso dello scafo, ed anche quello della motovedetta classe 200 della Guardia Costiera italiana che stuccò rapidamente i fori di artiglieria libica appena in porto a Lampedusa. In ognuno dei pregressi casi, la Libia aveva preteso di estendere il proprio controllo, di pesca ma anche di vita e di morte, fino a 72 miglia dalla costa. Stessa distanza dalla costa dell’area SAR che già al tempo del rais Muammar Gheddafi veniva rivendicata, pretesa e che infine è stata riconosciuta dall’IMO grazie alle pressioni del Governo italiano all’attuale deflagrata Libia di Serraj, Haftar e varie tribù antagoniste.
Il Tramontana si trovava in acque internazionali nei pressi del Golfo della Sirte quando è sopraggiunta la motovedetta libica armata che ha intimato l’alt ed ha sottoposto l’imbarcazione italiana ad illegittimo sequestro. Una motovedetta, quella libica, armata come tutte le motovedette che dovrebbero svolgere servizio di “Guardia Costiera”, come quelle donate dall’Italia e che già in passato – nei citati casi – erano state impiegate per aprire il fuoco contro barche e pescherecci battenti bandiera dello Stato che aveva fatto dono dei nuovi potenti mezzi già appartenuti onorevolmente alla Guardia di Finanza. A bordo del Tramontana c’erano sette persone di equipaggio di cui cinque italiani e due tunisini. Il peschereccio era stato costretto nel porto di Misurata e poco più tardi, alla notizia del sequestro arbitrario, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi aveva dato disposizioni all’ambasciatore d’Italia in Libia di urgente intervento diplomatico per la scarcerazione dei sette pescatori e la liberazione della barca. Richiesta accordata dai libici già ieri pomeriggio, circa 24 ore dopo l’avvenuto sequestro. Molta paura per i pescatori che risultano comunque incolumi. La prima preoccupazione del Ministero degli Esteri italiano era stata infatti il tipo di trattamento che i libici, che non hanno mai sottoscritto neanche la Convenzione di Ginevra, avrebbero potuto riservare all’equipaggio italo-tunisino.
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