di Vittorio Alessandro
Tutti i natanti hanno un’anima, i marinai lo sanno. Grandi e piccoli, anche quelli infimi: le cosiddette “carrette del mare”, perfino i maledetti barconi, tutti sono stati, più o meno a lungo, il guscio su cui qualcuno ha poggiato i piedi tra il cielo e l’acqua. In “Horcynus Orca” i traghetti di Messina, colpiti dai bombardamenti aerei, quasi parlano prima di affondare e le donne li ascoltano dopo aver camminato tante volte a piedi scalzi su quei ponti scivolosi.
Chiunque avverte le anime nei cimiteri di barche – non solo a Lampedusa, dove il cimitero è colorato d’Africa, ma ovunque i legni si siano fermati per sempre, anche in fondo al mare.
Ve lo giuro, li ho visti in immagini lunghe e silenziose, con i migranti rimasti abbracciati o in pose che sembrano scolpite: uno di essi, quello dei 365 morti dell’isola dei Conigli, l’abbiamo cercato per giorni sotto al sole.
Hanno un’anima le motovedette donate alla Libia, e sono certo che si ribella. Ce l’hanno la Diciotti e la Gregoretti che anelano al porto con i loro uomini e tutte quelle nate per salvare vite e ora costrette in porto.
Ecco, chi ha turbato queste anime la pagherà cara.