di Mauro Seminara
Il ruolo di ostaggio della nave della Guardia Costiera bloccata ad Augusta si dovrebbe esaurire oggi con lo sbarco dei migranti costretti a bordo dal 25 luglio. Il ministro dell’Interno ha annunciato oggi, con la solita diretta Facebook, il grande risultato ottenuto con il nuovo sequestro finalizzato alla coercizione dei Paesi dell’Ue per la redistribuzione dei migranti presenti sulla nave dello Stato italiano. Il ministro Salvini ha autorizzato lo sbarco dei 116 naufraghi soccorsi dalla nave Gregoretti 6 giorni addietro intorno alle 16 e dopo circa un quarto d’ora la passerella della CP920 si è affollata di migranti esausti. A sbloccare lo stallo è stato l’impegno formalmente preso da Germania, Francia, Lussemburgo, Portogallo e dalla Conferenza Episcopale Italiana per l’accoglienza in quota delle persone “sequestrate” sulla nave della Guardia Costiera, insieme ai marinai, dal ministro italiano.
Lo sblocco della situazione nel porto militare di Augusta non risolve però il fascicolo aperto dalla Procura di Siracusa sul “caso Gregoretti”, per molti “caso Diciotti bis”. Il procuratore capo Fabio Scavone aveva disposto incarico per un’ispezione a bordo della nave che è stata esperita questa mattina. Tra medici, infettivologi e carabinieri del NAS, l’ispezione si è svolta ed il risultato igienico sanitario non ha deluso le pessime aspettative. A bordo c’era un migrante affetto da tubercolosi al quale era stato negato di poter effettuare le opportune visite e di conseguenza le dovute cure erano state negate in questi giorni di costrizione. Altre patologie erano emerse tra gli le persone soccorse dalla Guardia Costiera e che si aggiungevano alla diffusa scabbia, comune a tutti i migranti che hanno subito la permanenza nei lager libici.
La Procura di Siracusa ha comunque aperto un fascicolo e questo, se riscontrate violazioni di legge, non verrà certo chiuso con lo sbarco dei migranti avviato nel pomeriggio del 31 luglio, 6 giorni dopo il soccorso. L’avvocato Leonardo Marino, non difensore della Capitana Carola Rackete insieme al collega Alessandro Gamberini, ha posto il caso Gregoretti ed il caso Diciotti sullo stesso piano proponendo un quesito circa l’epilogo che ci si dovrebbe attendere dall’inchiesta condotta dalla Procura siracusana. “La stessa situazione si sta riproponendo con la ‘CP 920’, la nave ‘Gregoretti’ della Guardia Costiera italiana, che continua a essere ormeggiata – ha scritto ieri sera l’avvocato in un lungo post-analisi giuridica sul proprio profilo Facebook – alla banchina Nato del porto di Augusta, dalla notte di sabato, con a bordo 115 migranti soccorsi in mare. Ieri il ministro Salvini ha acconsentito allo sbarco dei 16 ragazzi che hanno dichiarato di avere un’età compresa tra i 15 e i 17 anni.”
L’avvocato si chiede se sia davvero possibile che si permetta ad un esecutivo politico una simile violazione di legge, dei principi costituzionali e dei trattati internazionali. “E se questa volta la Procura della Repubblica di Siracusa che sta indagando chiedesse al Tribunale competente per territorio (collegio per i reati ministeriali ex L. Cost. 1/89) di procedere ad accertamenti nei confronti del Ministro dell’Interno o di altri membri del Governo che impediscono lo sbarco arriveremmo alla medesima conclusione del caso Diciotti?”, conclude Leonardo Marino. Alla denuncia di violazione si uniscono quelle de facto del Garante Mauro Palma, che ha definito la situazione a bordo della nave della Guardia Costiera “fuori dalla dignità umana”. Affermazione non esagerata, visto che per 116 persone – le ultime rimaste dopo le varie evacuazioni per emergenze mediche – c’era un solo servizio igienico disponibile.
E mentre si risolve, almeno per quel che riguarda la fine della segregazione indebita dei migranti e dei marinai della Gregoretti, la vicenda di Augusta con l’esultanza del ministro Salvini per una elemosina concessa dagli Stati sopracitati solo per fini umanitari nei confronti dei migranti, si propone già la nuova vicenda con il soccorso effettuato questa mattina dalla nave Ong Alan Kurdi. Dopo il “caso Diciotti bis” della Gregoretti, arriva quindi il caso “Sea Watch bis” della Alan Kurdi che a 30 miglia nord di Sabratha ha salvato la vita a 40 persone fuggite in qualche modo dalla Libia e non costrette a ritornarvi. Per la nave Ong tedesca si è già pronunciato il ministro dell’Interno Matteo Salvini con la solita inattuabile – a norma di leggi internazionali – proposta di sbarco presso porti non sicuri. Secondo Salvini, che dopo un anno di governo pare proprio non aver ancora avuto il tempo per fare i compiti a casa, la Alan Kurdi dovrebbe dirigersi verso la Tunisia per sbarcare nel porto dello Stato nordafricano i profughi salvati a nord delle Libia.
La Tunisia, che dal largo della Libia è geograficamente il porto più vicino, non può essere considerata un “porto sicuro” più vicino perché il vicino Paese ancora a lutto per la morte del proprio presidente non ha mai adottato leggi per la gestione dell’asilo e non si è mai dotato di strutture per dare seguito alla pur sottoscritta Convenzione di Ginevra. La Alan Kurdi non può quindi condurre le persone salvate a nord di Sabratha presso un porto della Tunisia. L’Italia, che in questo difficile momento storico-politico non è più capace di relazioni internazionali diplomatiche, non ha trovato il tempo per partecipare alle esequie del presidente tunisino Essebsi se non con il solo ministro degli Esteri. Nessuno opportuno rispetto per un Paese strategico, sotto ogni punto di vista, per l’Italia e che proprio l’Italia dovrebbe esortare al progressivo miglioramento interno; anche sotto il profilo migratorio e dell’adesione concreta ai trattati internazionali. Ma è anche vero che proprio l’Italia, ormai da mesi, si sta fortemente impegnando per violare gli stessi trattati internazionali ai quali la Tunisia non si è ancora allineata.