di Mauro Seminara
Il primo giorno di agosto, in acque internazionali a nord della Libia, la nave spagnola Open Arms ha soccorso una prima barca carica di persone fuggite dall’inferno in cui i migranti muoiono sotto le bombe della guerra che in Europa ci si ostina a definire “civile”. Poche ore più tardi, quando la nave della Ong aveva già disatteso la diffida del Governo di Spagna che le aveva promesso una illegittima sanzione da 900mila euro in caso di “non omissione di soccorso”, un’altra barca è stata incrociata e salvata nel buio pesto del Mediterraneo centrale. La Open Arms si è quindi trovata con 124 persone a bordo per le quali ha reiterato la richiesta di assegnazione di “porto sicuro più vicino” già inoltrata dopo il primo soccorso a tutte le autorità di Coordinamento Soccorso Marittimo competenti. Esclusi i porti non sicuri di Libia e Tunisia, la nave Ong si è diretta a nord, in prossimità di Lampedusa: il Place of Safety più vicino. A largo dell’isola pelagica italiana c’era già la Alan Kurdi, nave Ong tedesca, con a bordo 40 persone salvate dal mare. Alla Alan Kurdi è stato indicato dal MRCC di Roma il Place of Safety di Malta. Per quanto assurdo farlo dopo che la nave aveva già raggiunto il PoS più vicino, la Ong ha navigato verso Malta contando anche sull’assenza di gravi emergenze a bordo.
Malta ha poi dimostrato che le lunghe attese, che hanno visto in Italia anche navi della Guardia Costiera ostaggio per due settimane di bracci di ferro Italia-Ue sulla ricollocazione dei naufraghi, erano probabile frutto di incapacità oppure ricercata condizione critica finalizzata alla propaganda. Il Governo di La Valletta ha infatti autorizzato lo sbarco dalla Alan Kurdi dopo tre giorni ed a garanzia di resdistribuzione già ottenuta. Tre giorni sono comunque troppi, ma sempre meno della media italiana di due settimane. La Alan Kurdi si trova già adesso e da un paio di giorni in area SAR libica pronta ad intervenire nel caso altri natanti gremiti di migranti si dovessero trovare in difficoltà. La Open Arms invece si trova ancora tra Lampedusa e Malta in attesa che un qualunque Stato dell’Unione europea, di cui la nave batte bandiera, gli indichi un Porto sicuro in cui concludere l’operazione SAR del giorno 1 agosto e quella della notte tra l’1 ed il 2 agosto.
La Open Arms vaga nel Mediterraneo senza un porto, da sei giorni. A bordo però non ci sono più 124 persone ma 121. Tre erano state evacuate a Lampedusa per ragioni di urgenza medico sanitaria. Due donne in gravidanza, una delle quali prossima al parto già dal momento del soccorso, che accusava un probabile inizio di travaglio, e l’altra di otto mesi e mezzo. La terza donna evacuata è stata la sorella della donna di otto mesi e mezzo di gravidanza. L’assurdo nella disumanità si trova sempre, anche nei particolari: le due donne sono state trasferite da Lampedusa in elisoccorso, ma alla terza donna non è stato consentito di accompagnare in ospedale la sorella ed è stata lasciata al Centro di prima accoglienza di Lampedusa. A bordo della Open Arms, dopo l’implicito riconoscimento di stato di necessità a bordo della nave da parte delle autorità italiane con il duplice “Medevac”, la nave Ong è stata abbandonata a largo come un vascello fantasma che si è perso nel triangolo delle Bermuda. Nessun intervento dal già di suo deprecabile governo spagnolo, nessuna apertura da Malta che ha appena accolto i 40 della Alan Kurdi in un ridicolo gioco di scambio migranti con l’Italia, nessuna apertura dall’Italia che ieri sera ha anche convertito in legge il decreto sicurezza bis della Lega. Uomini, donne e bambini, traumatizzati e feriti, profughi e richiedenti asilo, rimangono così abbandonati nel Mediterraneo.
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