Tra i naufraghi che la Guardia Costiera ha evacuato, per ragioni di sicurezza in applicazione netta del diritto internazionale, dalla nave Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans c’erano ancora cinque donne. Tutte costrette, insieme ai 26 uomini che hanno condiviso gli orrori della terra nordafricana ed il vedere scomparire tra i flutti sei compagni di viaggio in gommone, a lavarsi con acqua di bottiglie portate a bordo dalla Guardia Costiera quando dai rubinetti della Mare Jonio non ne sgorgava più. Cinque giorni in mare davanti Lampedusa, ma fuori dalle acque territoriali, come appestati. Poi, questa notte, il comandante della nave Ong, Giovanni Buscema, ha per l’ennesima volta fatto richiesta alla Capitaneria di Porto di Lampedusa di poter evitare alle persone a bordo di andare incontro alla burrasca prevista e di mettere in sicurezza tutti, soprattutto quei 31 naufraghi rimasti ancora a bordo a soffrire il mal di mare, la pioggia ed i ricordi di orrori e morte. Le condizioni meteo previste sono preoccupanti e non si augurerebbe a nessuno di trovarsi in mare quando la tempesta si scatenerà. La richiesta del comandante Buscema è stata accolta e per ragioni di sicurezza ed igienico-sanitarie la Guardia Costiera ha trasbordato tutti dalla Mare Jonio ad una motovedetta e da questa a terra. Senza neanche sottoporre la nave Ong a beghe giuridiche o amministrative, essendo rimasta in acque internazionali fino all’ultimo.
Mentre la nave Ong veniva sottoposta alla solita inutile farsa dei “porti chiusi” di un ministro che, comunque vadano le cose, a breve dovrà lasciare il proprio ufficio, a Lampedusa arrivavano, nel giro di poche ore, tre barche cariche di migranti. Una breve ma massiccia sequenza di eventi capace di mortificare il pugno duro con cui il ministro aveva promesso di rimpatriare 600mila persone clandestinamente in Italia e di bloccare definitivamente anche i nuovi arrivi. Una sequenza di arrivi che svela anche l’impossibilità di presidi e dispiegamenti di forze italiane, ma soprattutto l’inutilità del dispositivo aereo di Frontex che, puntualmente, avvista barche che finiscono per approdare in Italia senza che vengano fermate ma soprattutto senza che vengano soccorse. Circostanza che si è verificata ieri e questa mattina a Lampedusa dopo incessanti voli di ricognizione effettuati dallo stormo – ben nutrito – della missione europea. La stessa che, se le barche si trovano a tiro di motovedette libiche, avverte i carnefici perché li vadano a recuperare e li buttino in un lager da cui sentir piovere bombe.
Questa mattina, alle otto e trenta, una barca con 65 migranti proveniente dalla Tunisia si è arenata sulla spiaggetta di Cala Spugna, non lontano dalla Porta d’Europa. Fermati a terra dalle forze dell’ordine di Lampedusa, sono stati condotti tutti al centro hotspot di Contrada Imbriacola per le procedure di identificazione. Nel frattempo, un analogo numero, 70, già da tempo ospiti dell’hotspot, venivano scortati all’imbarco della nave traghetto per il trasferimento in altra struttura ed il conseguente alleggerimento del sovraffollato centro per migranti di Lampedusa. La struttura è infatti ormai solo ciò che rimane degli ultimi incendi e dei danni procurati negli anni dalla scarsa o assente manutenzione. In tutto, l’hotspot di Contrada Imbriacola di Lampedusa conta 96 posti letto.
Ad affollare ulteriormente l’hotspot ci stava intanto pensando un’altra barca carica di persone migranti. Le ha fermate ad un paio di miglia dall’isola la Guardia di Finanza che, insieme alla Guardia Costiera, le ha messe in sicurezza ed ha trainato la barca in porto. Tutti, in questo caso, profughi di quella Libia lasciata tre giorni prima su quel pezzo di legno precario. Persone mal ridotte, con immediate esigenze di ricovero ospedaliero in alcuni casi, e l’esigenza improcrastinabile di toccare terra dopo aver attraversato il Mar Mediterraneo centrale mentre il meteo li minacciava con mare agitato, tuoni, fulmini e pioggia tale da far abbassare ulteriormente la linea di galleggiamento del misero barchino. Sulla barca c’erano 63 persone stremate. Tra loro soltanto nove uomini. Sul barchino disperato c’erano infatti 43 donne e 11 tra minori e bambini.
La beffa per il grande dispositivo italo-europeo è stato il candido arrivo in porto, in assoluta autonomia, di un altro barchino, esattamente mentre Guardia di Finanza e Guardia Costiera si occupavano dei 63 poveri disgraziati. Ad approdare dritto di fronte l’imboccatura del porto, sotto la sede della Capitaneria di Porto ed a due bracciate dal molo militare delle motovedette e degli sbarchi dei migranti, sono stati 15 migranti tunisini. Tutto in egregio stato psico-fisico. Per qualche ora, a Lampedusa, è stato un gran andirivieni di pulmini del centro di accoglienza ed auto delle forze dell’ordine che li scortavano. Dentro l’hotspot un gran da fare per le perquisizioni, il fotosegnalamento e tutte le procedure di rito, ma con una frenesia da altri tempi. Ritmi da hotspot di Lampedusa dei tempi in cui le barche partivano, venivano soccorse e condotte sull’isola da sempre primo approdo utile e qui identificate e trasferite. L’unico neo sono però i trasferimenti. Soltanto oggi sono approdati a Lampedusa 174 tra profughi e migranti, e nella struttura di Contrada Imbriacola ce ne erano già oltre cento.
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