di Fulvio Vassallo Paleologo
Dopo giorni di abbandono e di divieti di ingresso nel mare territoriale, i naufraghi della Mare Jonio di Mediterranea hanno potuto toccare terra, mentre il comandante della Eleonore di Lifeline, con oltre 100 persone a bordo di una nave troppo piccola per resistere a lungo in alto mare con tante persone ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza e fare ingresso nel porto di Pozzallo (Ragusa).
Immediato il provvedimento di sequestro e l’apertura di un procedimento penale a carico del comandante per una ipotetica “agevolazione” dell’ingresso di “clandestini”. Mentre reati ben più evidenti continuano ad essere commessi da chi ha vietato o comunque impedito l’ingresso nel mare territoriale alle navi umanitarie che comunque hanno potuto raggiungere un porto “sicuro”, ed anche ad un’altra nave delle ONG, la Alan Kurdi di Sea-Eye, ancora tenuta al largo delle coste italiane con il suo “carico” di soli 13 naufraghi, tra cui otto minori. Minori che per norme internazionali e in base alla legge italiana (legge Zampa n. 47/2017) non sarebbero respingibili in frontiera.
Si continua ad equiparare il soccorso umanitario in acque internazionali ad un comportamento illecito perché le navi delle ONG non obbediscono ai diktat imposti fin qui dal Viminale, attraverso la centrale di coordinamento della guardia costiera (MRCC) di Roma, che ordina la riconsegna dei naufraghi, soccorsi in acque internazionali, ai guardacoste delle milizie libiche, mentre in Libia infuria la guerra civile, e le testimonianze delle torture inflitte ai migranti si moltiplicano.
Una assimilazione insostenibile perché le Convenzioni internazionali impongono ai comandanti delle navi, di qualsiasi nave, i soccorsi immediati delle persone che si trovano in situazione di distress, e lo sono tutti, quando le imbarcazioni sono sovraccariche e senza alcuna possibilità di raggiungere un porto sicuro. Non qualunque porto sicuro ma il porto sicuro più vicino su indicazione e coordinamento delle autorità marittime dello stato che per primo ha notizia del caso SAR (Search and rescue) quando altri stati non vogliono o non possono garantire un Place of Safety.
Si deve ricordare quanto richiama Irini Papanicolopulu, docente di diritto internazionale presso l’Università di Milano Bicocca, secondo cui “l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionale di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art. 98, par. 1 CNUDM) sia i comandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.). Tale obbligo richiede al comandante di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare.”
La narrazione superficiale della galleggiabilità dei gommoni da soccorrere o dei naufraghi che festeggiano il salvataggio e l’arrivo in un porto italiano, diffusa dai mestatori d’odio, non può dunque nascondere il carattere vincolato delle attività di soccorso. da chiunque operato, e le gravi violazioni commesse dalle autorità statali, quando senza una valida motivazione vietano alle navi soccorritrici l’ingresso nelle acque territoriali o nei porti italiani.
Si tratta di violazioni tanto gravi e ripetute, da costituire ormai un sistema organizzato di condotte omissive, che potrebbero mantenere intatta la loro rilevanza penale indipendentemente dall’esito dello sbarco, se ordinato dalla magistratura a seguito di un sequestro probatorio, se imposto dall’autorità sanitaria per ragioni di emergenza medica (MEDEVAC), o se frutto di un sequestro operato dal prefetto in base all’art. 2 del nuovo decreto legge sicurezza bis. L’arrivo dei naufraghi a terra non elide la rilevanza penale dei fatti verificatisi in precedenza, se questa viene accertata, e questo vale nei confronti di tutti, non solo dunque in via di ipotesi nei confronti dei soccorritori ma anche di tutte le autorità dello stato che hanno adottato provvedimenti in merito all’ingresso in porto o nel mare territoriale.
Quanto avvenuto in queste settimane, con i divieti di ingresso nelle acque territoriali imposti alle ONG, mentre centinaia di migranti sono sbarcati autonomamente in Italia o a seguito di soccorsi operati da unità appartenenti a corpi dello stato, rende evidente come, oltre alla illegittimità costituzionale che potrebbe valere per una pronuncia di abrogazione da parte della Corte Costituzionale, emerga un uso distorto della discrezionalità amministrativa fin troppo ampia, consentita al ministro dell’interno dal vigente decreto sicurezza bis.
Fino a quando non si arriverà all’abrogazione degli articoli 1 e 2 del decreto legge sicurezza bis, adesso convertito in legge, per quanto concerne i divieti fin qui frapposti dal ministro dell’interno, si dovranno verificare i presupposti che lo stesso provvedimento richiede perché il ministro dell’interno, con il concerto dei ministri della difesa e delle infrastrutture, possa adottare un provvedimento che vieta l’ingresso nelle acque territoriali ad una nave che ha soccorso naufraghi, solo perché si tratta di navi appartenenti ad Organizzazioni non governative. Le ONG sono target da anni di una precisa campagna diffamatoria che in particolare dopo il caso Aquarius dello scorso anno, ha portato consensi determinanti ai suoi proponenti, la Lega ed il suo leader. Nessun abuso passerà sotto silenzio, nessuna diffamazione resterà impunita. Le denunce si stanno moltiplicando. Attendiamo ancora di conoscere gli sviluppi del processo derivato dal sequestro della nave Juventa della ONG tedesca Iugend Rettet il 3 agosto del 2017 a Lampedusa. Un processo avviato sulla base di prove e di una ricostruzione fotografica che sono state smentite dagli stessi testimoni di accusa.
Se non si vuole che i provvedimenti di divieto di ingresso nel mare territoriale si traducano ancora in altre future occasioni in trattamenti inumani o degradanti, o possano mettere in pericolo persone abbandonate in mezzo al mare a bordo di navi che dovrebbero concludere al più presto le operazioni di soccorso, occorre sanzionare i divieti di ingresso adottati in contrasto con le Convenzioni internazionali, come quando si bloccano ai limiti delle acque territoriali persone in fuga da un paese ( la Libia) nel quale non possono e non devono fare ritorno, come conferma da tempo l’UNHCR.
In un recentissimo documento “L’UNHCR chiede nuovi sforzi per limitare la perdita di vite in mare, tra cui il ritorno delle navi di ricerca e soccorso degli Stati Membri dell’UE. Le restrizioni legali e logistiche alle operazioni di ricerca e soccorso delle ONG, sia in mare che per via aerea, devono essere eliminate. Gli Stati costieri dovrebbero facilitare, non ostacolare, gli sforzi volontari per evitare le morti in mare”.
Occorre soprattutto impedire una qualificazione delle attività di soccorso come agevolazione dell’immigrazione irregolare, che comunque prosegue, anche senza la presenza delle ONG, e per numeri ben più rilevanti. Nessun allarme invasione giustifica l’esercizio di poteri straordinari da parte del ministro dell’interno, che dovrebbe astenersi dall’utilizzare la indicazione dovuta di un porto di sbarco sicuro, che costituisce atto dovuto, per imporre quote di redistribuzione agli altri paesi europei. Una politica perdente da tutti i punti di vista, che il ministro, fino a questa sera, Salvini ha cercato di imporre all’Unione Europea, finendo alla fine per isolare l’Italia. Come è provato dai numerosi trasferimenti di naufraghi rapidamente effettuati da Malta verso altri paesi europei, perché il governo de La Valletta, se ha impedito l’ingresso delle navi delle ONG, ha almeno consentito il trasbordo e lo sbarco a terra delle persone, mentre l’Italia, con la sua politica migratoria basata sul ricatto leghista, non ha ottenuto i trasferimenti nella misura richiesta e sta registrando ritardi su quelli già promessi in precedenza da altri paesi UE.
Sono queste le ragioni che inducono a ritenere che la “discontinuità” nelle politiche migratorie debba comportare l’abrogazione dell’art. 1, oltre che dell’art. 2 del decreto sicurezza bis, ben oltre dunque i rilievi apposti dalla Presidenza della Repubblica al momento della firma del provvedimento.
In ogni caso, poi, l’Unione Europea non può continuare ad assistere senza intervenire alle stragi che si consumano nel Mediterraneo centrale. Il prossimo Vertice di Malta del 19 settembre, riservato ai ministri dell’interno dei paesi UE, non promette nulla di buono, se si guardano le più recenti conclusioni dei Consigli europei che lo hanno preceduto e i risultati delle ultime scadenze elettorali in Europa. il Consiglio rimane arroccato nelle sue posizioni di chiusura che negli anni passati hanno bloccato qualunque miglioramento al Regolamento Dublino 3.
Ma sull’abrogazione del decreto sicurezza bis la partita si gioca intanto in Italia. Qualora in Parlamento non si formasse una maggioranza politica sulla abrogazione dei primi due articoli in questione, vuoi per la mancata nascita del governo, come per successive trappole che i partiti di centrodestra dovessero disseminare nell’attività parlamentare, tutti sappiano che le iniziative di denuncia e di tutela legale degli operatori umanitari si intensificheranno ancora e raggiungeranno tutte le sedi giurisdizionali, in Italia ed all’estero. Se non sarà la politica a rispettare lo stato di diritto e gli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali e dai regolamenti europei, saranno allora diverse le giurisdizioni che garantiranno il rispetto dei diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita che non può essere intaccato da omissioni di soccorso variamente camuffate, e la dignità umana che non può essere svilita da trattamenti inumani o degradanti, che potrebbero acquistare rilevanza penale anche nell’ordinamento interno ( reato di tortura). La legge penale e le Convenzioni internazionali valgono per tutti, nessuno escluso.