di Mauro Seminara
Siamo proprio una strana nazione, dobbiamo ammetterlo. Tra le notizie dei giorni scorsi spiccano alcune che danno la misura di quanto siamo strani. Il nordest italiano non trova manodopera per i campi. Non sono stati espulsi “600mila clandestini”, come prometteva l’ei fu, ma non sono stati neanche “regolarizzati” migliaia di lavoratori necessari al tessuto imprenditoriale nazionale. Se da una parte mancano i braccianti agricoli, dall’altra non stiamo messi meglio, dato che abbiamo anche una grave carenza di medici e nella speranza di reperirne lanciamo appelli dove sappiamo di poter convincere qualcuno. Perché i nostri medici, preparati dagli ottimi Atenei italiani di medicina, sono all’estero e guadagnano abbastanza, in euro ed in rispetto, per non tornare in Italia anche se ci sono offerte di lavoro. Quindi importeremo medici che hanno un livello medio inferiore ma a basso costo per lo Stato. E siccome legislature dopo legislature abbiamo collezionato il fior fiore degli esperti in programmazione, continuiamo pure a tenere la facoltà di medicina a numero chiuso. Dopo che, legislatura dopo legislatura, nessuno si era preoccupato delle stabilizzazioni, dei dottorati, della ricerca, degli adeguamenti contrattuali, fino a lasciare le strutture sanitarie pubbliche senza medici ed i cittadini senza medico di base. Nessuno, in quei palazzi in cui si dovrebbe guidare il Paese, pare avere la benché minima idea di dove si va, a fare cosa. Forse, impegnati come sono nel vedere se nel pomeriggio, rispetto alla mattina, hanno preso più “Like” e quanto è cresciuto il consenso nei sondaggi rispetto all’avversario politico, di sapere cosa serve in Italia oggi è chieder troppo e cosa servirà tra dieci anni è fantascienza.
Sulla stessa linea di non programmazione, l’Italia sembra non avere la più pallida idea di quanti braccianti servano ogni anno nel settore agrario, quanti metalmeccanici, quanti generici e quanti specializzati. Così, come un apparato intestinale che non funziona, defechiamo tutto e non tratteniamo nulla che possa esserci utile. Se poi arriva un tedesco e ci prende per deficienti, noi non ci possiamo offendere perché avrà probabilmente ragione. Un modo per invertire il trend ci sarebbe pure. Le aree politiche di estrema destra, in cui albergano serenamente fascisti, razzisti, omofobi e xenofobi, a chiunque proponesse una simile soluzione lo etichetterebbero con dispregio di “buonismo”. Ma la soluzione consiste proprio nell’aprire le frontiere, concedendo i visti e gestendo con regolarità i canali umanitari da una parte ed il flusso di migrazione clandestina dall’altra con hotspot meno affollati in cui identificare con maggior velocità quanti sono pessimi soggetti approdato nell’habitat ideale. Ci sono inoltre i fondi europei per la cooperazione, quelli che dovevano servire per il programma di “aiutiamoli a casa loro”, ma vengono spesi per l’accoglienza indistinta di cui sopra invece che per far sì che le loro braccia forti possano vivere e lavorare in pace nella loro terra. Indistinta “accoglienza” di un sistema malato che trasforma buoni e cattivi in degli invisibili preziosi per la malavita organizzata. Frutti da raccogliere dall’albero per le mafie in cerca di soldatini sacrificabili a cui affidare spaccio, prostituzione, furti e taccheggio. E mentre spacciano anche quelli che arrivavano in Italia cercando ben diversa vita di quella nella malavita, il Paese si trova ad affrontare il dissesto idrogeologico dovuto anche o soprattutto all’abbandono dell’agricoltura e si chiede come impiegare o cosa farci con terre e case confiscate alla mafia. Ricordiamo il tedesco di cui sopra. Tedesco che viene dalla Germania, Paese in cui si fronteggiano i gruppi Das Auto e Bmw con tutti i rispettivi marchi di proprietà, incluso Ducati. Non dall’Italia, Paese in cui l’unico produttore industriale di automobili è andato negli Stati Uniti.