di Vittorio Alessandro
I nostri enti pubblici, di fronte al diffuso malumore e al pregiudizio sfavorevole nei confronti degli amministratori, devono adottare la pratica del Bilancio Sociale. Si tratta di un procedimento ormai diffuso che consente ai cittadini di conoscere, con molta facilità (al di là del complicato bilancio contabile tradizionale – ma c’è chi non redige neanche quello), il preciso ammontare delle risorse, le priorità nello spenderle, il grado di soddisfazione dei risultati conseguiti.
Se, per esempio, un comune intraprende l’iniziativa di una pista ciclabile, il Bilancio Sociale serve a descrivere con esattezza i motivi della scelta, l’impegno di spesa, i tempi di realizzazione, il grado di soddisfazione dell’utenza, il numero di persone che ne beneficia, i costi di mantenimento.
In questo modo l’ente, con cadenza annuale e in massima trasparenza, rende conto del proprio operato e coinvolge le categorie di cittadini interessate: uno strumento di gestione e di consapevolezza misurabile con criteri standard da istituti di classificazione.
Non è il libro dei sogni, ma una precisa opzione istituzionale (da me adottata per il Parco Nazionale delle Cinque Terre) che non procede su slogan sull’onestà e sulla trasparenza, ma sui fatti: «Il bilancio sociale è l’esito di un processo con cui l’amministrazione rende conto delle scelte, delle attività, dei risultati e dell’impiego di risorse in un dato periodo, in modo da consentire ai cittadini e ai diversi interlocutori di conoscere e formulare un proprio giudizio su come l’amministrazione interpreta e realizza la sua missione istituzionale e il suo mandato» (fonte Ministero dell’Interno).