di Mauro Seminara
Col senno di poi, la sortita di Matteo Renzi non sembrerebbe essere il pericoloso attacco alla nazione apparso all’annuncio. Annuncio poi risultato solo una ufficializzazione di un progetto maturato con abbondante anticipo, visto che esattamente l’indomani del fatidico harakiri dell’altro Matteo con il memorabile annuncio al mojito dell’8 agosto era stato registrato il dominio di “Italia Viva” in rete e che tra i ministri del Conte bis erano stati previdentemente imposti dei renziani pronti a passare alla nuova formazione. Inizialmente era parso il solito scarso tempismo del Matteo toscano nel rompere il partito che timidamente, quasi involontariamente, ritrovava una precaria unità. Di fatto lo era, nelle intenzioni dell’autore. Renzi, a fronte di un ruolo da coprotagonista nel PD, ha deciso che doveva tornare ad essere protagonista indiscusso della scena politica. D’altro canto, come poteva non passare all’incasso un politico del suo calibro. Uno capace di giocarsi tutto e perdere tutto, facendo perdere tutto al partito che lo aveva ciecamente seguito fino al referendum per una riforma della Costituzione che il Parlamento non si era sentito di approvare con debita maggioranza. Uno che aveva azzardato tanto da scommettere la propria vita politica, salvo poi rimangiarsi tutto senza pagare il debito della scommessa. Era ovvio che Matteo Renzi tentasse adesso di capitalizzare tutti i meriti che gli italiani ancora ricordano di dovergli riconoscere. A lui, ma anche a Maria Elena Boschi ed al gruppetto che lo seguirebbe anche all’inferno.
La sortita leopoldina di Matteo Renzi, approntata al momento opportuno, cioè alla sortita papeetina di Matteo Salvini, ha avuto effetti tutto sommato positivi malgrado tutto. In fondo, a ben vedere, l’uscita dell’ala renziana dal PD ha permesso il riavvicinamento dell’ala bersaniana. Questi, con il Liberi e Uguali sciolto dopo la disfatta europea, al tempo erano fuggiti dal Partito Democratico per la grave contrapposizione con Matteo Renzi. Adesso il PD può accogliere il ritorno di LeU ed il riavvicinamento delle formazioni più a sinistra. Il coronamento del sogno centrista per il Matteo di centrodestra apre ad uno spostamento del baricentro PD da centrodestra moderato a centrosinistra moderato. E non è poco. Inoltre, la spaccatura dalemiana di Matteo (Renzi) ha prodotto uno squilibrio sulla concentrazione mediatica di cui godeva Matteo (Salvini) anche dopo la spaccatura mastelliana del Governo. Tanto che, dopo oltre un anno di Viminale senza mai allontanarsi più di tanto da palchi per comizi elettorali alternati a spiagge con mojito da stacanovista, Matteo Salvini annuncia adesso di volersi recare addirittura a Lampedusa. A far cosa? Forse a raccontare che le accise che aveva promesso di tagliare sul carburante sono ancora lì, applicate ai due euro tondi che i lampedusani pagano un solo litro di gasolio, per colpa di Giuseppe Conte o dei “ministri del No” iscritti al M5S.
Per oltre un anno, l’attenzione, triste, dei media nazionali, era stata tutta concentrata sul dibattito interno alla maggioranza di Governo. Salvini e Di Maio, in continua campagna elettorale, se ne sono dette di ogni sorta, monopolizzando l’attenzione della stampa italiana, affascinata dai tweet più che dalle azioni di Governo, che aveva così dimenticato l’esistenza di una opposizione parlamentare (di fatto molto, ma molto timida). Adesso, a contendersi il gossip politico sono i due Matteo. Uno, quello che non è più al Governo perché probabilmente non ha mai imparato a contare, continua a ripetere che la Lega è il primo partito italiano. Probabilmente perché, oltre a non saper contare, con il probabile ottundimento da mojito, non conosce la differenza tra i sondaggi e le elezioni. L’altro Matteo, quello che sa contare e passa il tempo solo a fare la conta dei “suoi” parlamentari, non è in grado di comprendere la vita reale dell’italiano medio e crede che il suo Italia Viva possa avere speranze dopo questo esecutivo targato M5S-PD. Entrambi stanno quindi offrendo un’opportunità di politica vera e seria all’Italia. Peccato che a scarseggiare siano i politici veri e seri, altrimenti basterebbe un anno di buon governo per far dimenticare entrambi i Matteo. Ironia della sorte, dopo i tumulti nazionalsovranisti nati dalla campagna anti-europeista, ci ritroviamo adesso a dover confidare nell’Unione europea per salvare l’Italia.
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