di Vittorio Alessandro
Pur avendo salutato con favore la sentenza della Corte costituzionale sul “suicidio assistito” e la ispirazione laica impartita dai giudici al legislatore, non riesco a considerare asfittiche ed inutili le posizioni ostili della Chiesa. Il vescovo di Rieti, mons. Pompili, per esempio, ha sottolineato il rischio che la persona incurabile e sofferente si prenda carico anche della sofferenza di chi lo assiste, e voglia perciò fare di tutto per risparmiargliela.
In una società in corsa, i malati inguaribili – piuttosto che trovare possibili luoghi di condivisione e un’assistenza sociale e sanitaria appropriata – possono vedersi molto soli, e decidere, per questo, di morire.
Non penso alle straordinarie prove di amore di genitori, parenti e amici che hanno accompagnato alla giusta morte persone ormai troppo stanche. Non penso al coraggio di Marco Cappato, ma a un mondo diventato così incapace di vivere, da non considerare più neanche la profondità della morte.
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