Le Nazioni Unite lanciano l’allarme dell’escalation nel conflitto libico, ma i tentativi di mediazione ed il tavolo sulla crisi aperto all’Assemblea generale non fermano i raid americani che entrano a gamba tesa ed anche ufficialmente in Libia con le proprie bombe. Martedì gli aerei americani hanno sganciato la dove lo scontro tra le forze che combattono dalla parte del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Serraj e quelle dell’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar era in stallo e nessuno dei due riusciva ad avanzare. La motivazione ufficiale del raid statunitense è sempre la stessa, quella per cui i cow boy hanno appuntato una stella sul petto incaricandosi di uccidere tutti i terroristi del pianeta. E l’esito del raid aereo annunciato dalla Difesa di Washington pare essere la morte di 11 terroristi islamici. Gli undici combattenti dell’Isis sarebbero quindi morti a Murzuq sotto le bombe della pace. Bombe che si uniscono alla lunga fila di forze militari estranee alla “guerra civile” che dal 4 aprile si consuma in Libia. Agli ordigni a stelle e strisce si uniscono infatti quelli francesi, quelli turchi, quelli egiziani, quelli residui del GNA e del rivale LNA e non sappiamo cosa altro vola poi sul cielo libico. Tra droni spia israeliani e droni killer turchi, la guerra è sempre più violenta.
L’incursione anti-terrorismo è stata effettuata dalle forze della missione Africom. Il generale Stephen Townsend, comandante del comando USA in Africa, ha così annunciato l’operazione: “Il comando USA in Africa ha condotto questo attacco aereo per eliminare leader e combattenti terroristi e interrompere l’attività terroristica”. Le intenzioni sono chiare e tali emergono anche dalle affermazioni del generale Townsend: “Non permetteremo loro di utilizzare l’attuale conflitto in Libia come protezione. Insieme ai nostri partner libici, continueremo a negare ai terroristi un rifugio sicuro in Libia “. Gli Stati Uniti quindi non intendono considerare quella di martedì come una missione isolata. Il Pentagono in Libia intende invece rimanerci e fare da ago della bilancia in un conflitto già abbastanza ingarbugliato. Tanto da ricordare la guerra in Siria, quella durata anni proprio grazie all’intervento anti-terroristi americano. Gli stessi terroristi che l’America aveva finanziato per avanzare su Damasco e destabilizzare la Siria.
Il raid americano veniva effettuato lo stesso giorno in cui al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite veniva resa la relazione dell’inviato speciale UNSMIL Ghassane Salamé. Intanto, in Libia, Ali al-Saidi, membro della Camera dei rappresentanti libica di Tobruk, puntava il dito proprio sulle Nazioni Unite affermando che proprio la comunità internazionale è la causa della crisi in Libia. Secondo Saidi, le Nazioni Unite starebbero lavorando per prolungare la crisi sostenendo gruppi terroristici che combattono l’Esercito Nazionale Libico. Dal canto opposto, a Tripoli, la parte cui fa capo il presidente Fayez al-Serraj, sostiene che il protrarsi della guerra aperta da Khalifa Haftar è causato dall’ostinazione con cui viene mantenuto l’embargo sulle armi che impedisce al governo di Tripoli di difendersi. Entrambe le fazioni però fanno riferimento alle proprie forze, omettendo le partecipazioni straniere con i rispettivi sistemi d’arma pesanti. Ieri si è tenuta un’altra riunione a New York sulla crisi libica. A margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite si è tenuto il vertice presieduto dal ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e dal suo omologo francese Jean-Yves Le Drian. Le parti principalmente coinvolte perché da sempre in competizione conflittuale in Libia hanno quindi avviato un dialogo per trovare un accordo. Italia e Francia dovranno però tenere conto del terzo incomodo con la stella da sceriffo e gli stivali da cow boy.