di Mauro Seminara
La questione dei flussi migratori è stata risolta con la derubricazione, sia dall’agenda politica che dalle pagine di molti giornali. Fatta la dovuta eccezione per chi la usa ancora a fini propagandistici. Ma in questi casi, il tema viene affrontato per il numero degli arrivi, aumentato ma non da “emergenza”, e non per la questione del numero vittime. Quest’ultimo è l’argomento che da la misura dell’indifferenza cui continua imperterrito a fare riferimento il Pontefice. Oggi il bilancio della sola Lampedusa sembra quello di un bollettino di guerra, se lo si sintetizza in questi termini: 92 migranti giunti sull’isola, due cadaveri recuperati e svariate barche in attesa di soccorso con centinaia di persone a bordo.
Alle quattro di questa notte, una barca ha raggiunto l’isola presso Punta Sottile, l’estremità a sudest di Lampedusa in cui un innumerevole quantità di navi, barche e pescherecci è colata a picco. Punta Sottile si estende, appunto come una sottile punta lunga un paio di decine di metri, sotto il pelo dell’acqua. Facile non vederla e spaccare lo scafo passandoci su. Ed una volta aperta la falle, i naufraghi devono fare i conti con le correnti che in quel punto sono implacabili. Fortunatamente i 57 migranti, tra i quali una donna e due minori, non hanno attraversato la lunga e sottile lingua della scogliera e sono approdati incolumi. Rintracciati a terra sono stati condotti al centro hotspot di Contrada Imbriacola dove poche ore più tardi li hanno raggiunti altri migranti giunti autonomamente a Lampedusa.
Tra i 57 migranti giunti a Punta Sottile sulla piccola barca azzurra c’erano varie nazionalità di origine: Nigeria, Sudan, Marocco, Algeria, Bangladesh, e perfino Palestina. Tra loro pare ci fosse anche un libico. Prima dell’arrivo di matrice libica, sull’isola erano arrivati 9 tunisini, sbarcati autonomamente in paese, nella centralissima Cala Palme. Poi, sempre in completa autonomia, nella stessa giornata di venerdì, una decina di migranti nordafricani come i precedenti, sono arrivati al Molo Favarolo. Lo stesso in cui ormeggiano le motovedette della Guardia di Finanza e sul quale vengono sbarcati i migranti intercettati al largo. Altre 16 persone, harragas tunisini anche questi, sono arrivati al “molo Madonnina”, giusto di fronte l’imboccatura del porto dell’isola. Quattro arrivi autonomi in meno di 24 ore, tre di provenienza tunisina ed uno, quello di questa notte, di provenienza libica.
Nel frattempo, a poche miglia dal porto di Lampedusa, i sub del Nucleo sommozzatori della Guardia Costiera coadiuvati da una motovedetta e dall’elicottero dello stesso Corpo, continuavano il difficile lavoro di recupero dei corpi del naufragio che si è verificato sotto gli occhi dei soccorritori la notte tra il 6 ed il 7 ottobre a sei miglia dal faro di segnale porto. Con i due corpi riportati in superficie oggi, i sommozzatori della Guardia Costiera hanno recuperato dieci salme. Anche per gli ultimi due resti di quello che furono persone, la procedura è stata analoga: ispezione cadaverica presso una stanza magazzino dell’area cimiteriale, saldatura della bara e trasferimento presso i locali parrocchiali. I giorni però passano – dodici da che i corpi sono finiti in fondo al mare – ed il recupero si fa sempre più difficile. Senza entrare in macabri particolari, le quasi due settimane in mare hanno deteriorato la consistenza fisica dei tessuti e questo rendi sempre più complesso per i sommozzatori il recupero di corpi interi.
Decollano anche da Lampedusa i velivoli delle missioni europee che imperterrite si limitano ad avvistare e segnalare la presenza di barche con migranti nel Mediterraneo centrale senza che queste informazioni vengano rese di pubblico dominio. La ricostruzione degli eventi, per quanti non si arrendono al silenzio istituzionale con cui si coprono soccorso e naufragi, diventa ogni giorno più complessa ed impossibile a volte è la certezza che una barca sia stata soccorsa invece che finita in fondo al mare. Il silenzio in questione rende difficile anche la determinazione di altri aspetti, come ad esempio eventuali complicità in gravi violazioni dei diritti umani. Caso che ad esempio pare essersi verificato nelle scorse ore con la cattura, spacciata per soccorso, di una imbarcazione in area SAR maltese, a breve distanza da Lampedusa, ad opera di un pattugliatore libico.
Ieri sera, alle 21:32, Alarm Phone annunciava che, per la barca che da ore chiedeva aiuto inoltrato alle competenti Centrali di coordinamento soccorso dalla centrale d’allarme civile, Malta aveva comunicato che la barca era stata “soccorsa” dalla sedicente guardia costiera libica cui aveva delegato l’operazione SAR coordinandola. In zona, vicino Lampedusa, la nave “Spica” della Marina Militare italiana. Un pattugliatore della classe Cassiopea con elicottero a bordo (in foto). “In violazione delle leggi internazionali”, scrive la stessa Alarm Phone che denuncia così l’omissione di soccorso maltese ed il conseguente recupero ad opera di una milizia libica che ha ricondotta i profughi nella zona di guerra da cui erano fuggiti. La motovedetta ha tra l’altro percorso una distanza notevole quanto inusuale per andare a recuperare una barca in area SAR di Malta ed a breve distanza da Lampedusa. Per tutto il tempo, le 50 persone a bordo, tra cui 10 donne e 5 bambini, hanno atteso un soccorso che poteva arrivare in breve tempo da Lampedusa non sapendo che loro erano oggetto di un braccio di ferro politico tra Italia e Malta. I due governi stavano infatti “litigando” sul caso dopo che nell’episodio precedente l’Italia aveva salvato 172 persone su procura maltese ed il Governo di Malta aveva poi rifiutato di accoglierli costringendo due motovedette della Guardia Costiera ed una della Guardia di Finanza a fare ritorno a Lampedusa. Nel frattempo i migranti potevano anche naufragare.
“Un’altra barca in pericolo con 45 persone a bordo! Ricevuta la posizione GPS, abbiamo informato le autorità alle 18:35 CEST. Richiediamo soccorso immediato da parte di Malta, al fine di non mettere ancora più a rischio queste vite, e di portarli in un porto sicuro: in Europa!”. Lo ha twittato Alarm Phone alle 19:01 di oggi. La barca, localizzata dalla sala operativa civile mediante Gps, si trova di nuovo appena in SAR maltese ed un nuovo intervento libico rappresenterebbe un ulteriore respingimenti per procura. Un ritardo nel soccorso con un naufragio nel corso dell’attesa, rappresenterebbe invece un nuovo omicidio colposo plurimo per omissione di soccorso. Eventualità che si ripropongono a causa di due responsabilità tutte italiane. La prima è quella della sponsorizzazione dei governi del Bel Paese perché alla Libia venisse riconosciuta la tanto ambita area SAR libica. Tra l’altro sconfinata ed in assenza di una struttura nazionale capace di farvi fronte. L’altra è la mai avviata ridiscussione in sede internazionale dell’altrettanto enorme area SAR di Malta. Le autorità di La Valletta hanno competenza di ricerca e soccorso fino a sotto Lampedusa, al confine con le acque territoriali tunisine. Ma la dotazione della cosiddetta guardia costiera maltese non è in grado di raggiungere con rapidità distanze così elevate dal proprio porto.
L’attuale risultato è la conseguente omissione di soccorso da parte di Italia e Malta e la cattura da parte delle milizie libiche che si sono spinte fino all’area SAR maltese per rinchiudere le persone in balia del Mediterraneo nuovamente nei lager da cui fuggivano, così da accontentare l’Unione europea. Una delle milizie dotate di ex motovedette della Guardia di Finanza regalate dall’Italia, che si fanno chiamare “guardia costiera”, o se si preferisce “Libyan Coast Guard”, è quella del cosiddetto “Comandante Bija”. Alias Abd al-Rahaman al-Milad. Cioè l’uomo che ha minacciato i giornalisti italiani Nancy Porsia e Nello Scavo e per cui adesso anche il cronista di Avvenire è sotto protezione. Lo stesso indicato dalle Nazioni Unite quale boss di una mafia locale, trafficante di migranti, signore della guerra e tanto altro. A questa “guardia costiera” viene delegato il soccorso dei migranti adesso anche in area SAR di Malta. Pericoloso criminale da cui proteggere il giornalista italiano, ma umano e caritatevole guardacoste cui affidare la vita delle persone che cercavano aiuto in Europa.
L’unica speranza per i migranti in fuga dalla Libia è che a soccorrerli prima di un naufragio sia una nave Ong, ma nel Mediterraneo centrale attualmente c’è solo la Ocean Viking delle Ong SOS Mediterranee e Medici Senza Frontiere che ieri ha soccorso 104 persone. Un soccorso impegnativo a nord di Tripoli che ha visto la Ong prendere a bordo 54 uomini, 40 minori – 9 dei quali non accompagnati – e 10 donne. Del totale delle persone soccorse, due sono neonati e due sono donne in stato di gravidanza. Anche in questo caso, in assoluto dispregio del diritto internazionale, il cosiddetto LYJRCC, la sedicente Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo della Libia, ha indicato alla nave Ong il porto di Tripoli quale Place of Safety. Per la sedicente guardia costiera di una parte della Libia, attualmente coadiuvata dalla Marina Militare italiana se non “commissariata” da essa, il porto della capitale assediata dalle forze dell’Esercito Nazionale Libico sarebbe un “porto sicuro” in cui sbarcare potenziali richiedenti asilo. Ed all’Unione europea, oltre che all’Italia, come anche all’agenzia delle Nazioni Unite (l’International Maritime Organization, nda) che ha affidato a Tripoli un’area SAR che include anche parte di mare sotto il controllo della fazione rivale di Khalifa Haftar, che la Libia considera il proprio porto “sicuro” sembra andare benissimo.
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