di Mauro Seminara
Il caso del criminale internazionale libico Abd al-Rahaman al-Milad, in arte “Comandante Bija”, evidenzia tutta l’assurdità della politica italiana. E non soltanto di quella italiana. La notizia rimbalzata ieri su quasi tutti i giornali è che il giornalista Nello Scavo, che per la testata Avvenire aveva condotta una interessante inchiesta sul viaggio in Italia di Bija, è che per lui è stata disposta la protezione dopo le minacce ricevute. Minacce formulate appunto da Bija, l’uomo che le autorità italiane hanno invitato al CARA di Mineo ed al Comando Generale delle Capitanerie di Porto come un funzionario libico di pari merito rispetto ai padroni di casa italiani. Il paradosso però c’è ed è tale da far perfino puzza di bruciato. L’inchiesta di Nello Scavo aveva evidenziato come Abd al-Rahaman al-Milad nel 2017 era stato accolto in Italia dalle autorità italiane, ma questo non aveva sortito alcun ripensamento sulle politiche di contenimento dei migranti che anche questo governo italiano sta mantenendo in accordo con i Bija libici. Accordi che si rinnovano di anno in anno anche dopo che le Nazioni Unite hanno messo nero su bianco che il signor Abd al-Rahaman al-Milad è un criminale, torturatore di esseri umani, trafficante di migranti e tutto il prestigioso curriculum che Bija vanta in patria.
D’un tratto, dopo le minacce che Bija ha formulato, che il libico sia un pericoloso criminale lo certifica perfino il Viminale. Il sottosegretario al Ministero dell’Interno Vito Crimi, pentastellato, aveva definito “intollerabili le minacce, neanche tanto velate, di Bija sia contro Nancy Porsia che contro Nello Scavo per l’inchiesta che sta conducendo per Avvenire”. Crimi aggiunge anche il cameo dell’assurdità al suo commento sulle minacce ai due giornalisti: “Invece di rispondere nel merito accusa il governo italiano di affermare il falso e oltremodo attacca chi cerca di fare luce sulla sua visita in Italia anche se indicato come trafficante di esseri umani”. Il riferimento di Crimi, sottosegretario al Ministero dell’Interno, è a quell’accusa mossa da Bija secondo cui a voler incastrare il boss libico, dietro Nello Scavo, sarebbe proprio il Governo italiano o i servizi di intelligence. Lo spunto è quello delle fonti di Nello Scavo che hanno parlato di possibili documenti falsi con cui Bija sarebbe arrivato in Italia nel 2017 come funzionario delegato del presidente Serraj. Bija, dal canto suo, raggiunto da Nello Scavo aveva invece detto che in Italia c’era venuto candidamente con i suoi veri documenti. Il dubbio, aggiungiamo noi, è che a Bija non servissero affatto i documenti – veri o falsi che fossero – visto il considerevole numero di voli che i servizi segreti italiani operano tra Roma e Tripoli, tra Roma e Bengasi ed in generale tra l’Italia e la Libia.
Tra le minacce c’era anche quella esplicita a Nancy Porsia, prima giornalista italiana ad aver scoperto chi è il “Comandante Bija” e di quali orrori è colpevole. Alla giornalista ha fatto sapere di conoscere la sua vita privata, i suoi affetti e dettagli che chiaramente possono intimidire chi sa che l’autore delle minacce fa accordi con il Governo del Paese in cui si vive e si lavora. Ecco allora che spunta la protezione, fulmine a ciel sereno, per il giornalista Nello Scavo. L’autore delle inchieste di Avvenire è adesso nell’occhio del ciclone ed il quesito, ineludibile in questa circostanza, mancando due settimane esatte al voto in Parlamento per il rinnovo degli accordi con la Libia che coinvolgono anche Bija, dovrebbe essere sul chi protegge chi. Nello Scavo ha sicuramente avuto ottime fonti interne, magari proprio ai servizi segreti come lo stesso Bija ha ipotizzato. Fonti che adesso contribuiscono a gettare scompiglio sull’affare Italia-Libia e che non una Procura sarà interessata ad approfondire. La scorta a Nello Scavo è quindi l’una o l’altra cosa, senza compromessi o terze ipotesi: la protezione dello Stato italiano ad un giornalista da un riconosciuto e pericolosissimo criminale internazionale libico capace di farlo uccidere in terra italiana, oppure la scorta di un giornalista che si potrà adesso muovere meno e per il quale saranno legittime attività investigative che potrebbero anche “intercettare” le sue fonti. Quindi, ammettendo che Bija è un trafficante a cui l’Italia ha anche regalato una di quelle motovedette che furono onorevolmente impiegate dalla Guardia di Finanza, con la protezione a Nello Scavo, in qualche modo la stessa Italia che con Bija aveva fatto accordi potrebbe adesso “proteggersi” dal giornalista.
Da Mediterraneo Cronaca tutta la stima per l’inchiesta di Nello Scavo e tutta la solidarietà per le minacce che ha ricevuto e per la vita non più libera a cui adesso viene condannato per aver reso di pubblico dominio un affare sporco condotto dai rappresentanti dello Stato italiano.
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