di Mauro Seminara
Il peggior nemico dei popoli è la commistione di corruzione ed incompetenza, in special modo se questa si annida tra i palazzi del potere. Politica e magistratura sono quindi le cellule cancerogene della società. Da esse si propaga poi il male attraverso tutto il corpo di una nazione. La politica sdogana la corruzione e la magistratura disillude chi ancora spera nella Giustizia. Oggi è il 19 ottobre 2019, ma quanto accade in Italia fa sembrare la giornata odierna un tuffo nel passato riportando tutto al 2006. A prima della crisi finanziaria che ha costretto il popolo italiano all’apnea del risanamento conti pubblici dell’era magra. Oggi, in Piazza San Giovanni a Roma, si sono radunati quelli della destra come nel 2006. E malgrado lo stesso Silvio Berlusconi abbia evocato quell’evento di tredici anni addietro, la differenza tra oggi e tredici anni fa è l’evidente spostamento a destra di quella stessa piazza. Il leader di Forza Italia ha parlato di centrodestra, ma in piazza San Giovanni ci sono la Lega, Fratelli d’Italia, Casa Pound, Forza Nuova. E questa non è “centrodestra”. Il centrodestra non fa il saluto romano, non candida la progenie del Duce che ammicca nei manifesti a fasci superstiti, non cita frasi del dittatore di Forlì nei suoi discorsi o tweet. L’insieme rende quindi la piazza ridicola, con Berlusconi che difende il diritto e la libertà di evadere le tasse da una parte e Salvini che ha tolto il diritto di protestare senza finire in carcere dall’altra. Ma nel suo incredibile paradosso politico, la piazza di San Giovanni dimostra che la lunga notte della carestia è lontana ed i partiti sono adesso di nuovo pronti a parlare soltanto per se stessi e per le loro mire di palazzo. Il popolo italiano non è più in agenda.
Ieri ha avuto inizio la Leopolda di Matteo Renzi. La prima del suo nuovo partito. Anche per Renzi un nome che non contiene nessuna vera ideologia: Italia Viva. Uno come tanti, tra Forza Italia, Fratelli d’Italia e Italie varie ed eventuali che nulla propongono della logica politica del partito. Roba da “orgoglio italiano” senza alcun motivo di orgoglio. Matteo Renzi ha rotto il Partito Democratico a caccia di voti da leader. Matteo Renzi ha rotto il Governo perché credeva di poter aver “pieni poteri” in virtù di estemporaneo sondaggio. E nel frattempo Luigi Di Maio scava sotto la poltrona di Giuseppe Conte per renderla sempre meno solida, perché anche il Movimento 5 Stelle vuole la sua parte e non accetta che il presidente del Consiglio nato come controfigura di due vicepremier assuma il controllo del Governo. C’è anche Nicola Zingaretti, oggi itinerante ed in cerca di visibilità, che con il suo attuale PD nuovamente allargato prova a recuperare senza però ricordare cosa significa centrosinistra.
Tutti, come prima del Governo tecnico di Mario Monti, cercano consenso e potere per il proprio partito, in dispregio di stabilità, continuità di consolidamento economico-finanziario e dimenticando che l’unica cosa per cui tutti dovrebbero battersi è il lavoro degli italiani. C’è chi ripete come un disco rotto che guida il “primo partito italiano, alternando ogni tre la parola “clandestino” o “migrante”. C’è chi lamenta che gli italiani devono avere la libertà di evade dai cinquantamila euro in su senza per questo rischiare il carcere, dimenticando che la maggioranza assoluta degli italiani non guadagna 50mila euro l’anno neanche lordi. C’è chi pretende di recuperare consenso definendosi l’opposto della Lega, senza però ricordare che la guerra alle Ong l’ha avviata il PD e che oggi al Governo lo stesso PD è complice con il M5S delle stragi in mare che continuano nel silenzio istituzionale. Poi c’è chi doveva far applicare la Costituzione e fare del proprio mandato l’esempio globale della trasparenza, ma appena eletto ha dimenticato il limite dei due mandati, il ritiro dell’Italia dal programma F-35, le riunioni interne in diretta streaming e tutte le belle parole dette quando ancora vergini di mandato governativo si potevano spendere. E c’è infine anche chi evoca il fascismo come se questo fosse un valore e non un motivo di vergogna per il nostro Paese. Tra questi anche chi ancora fino a ieri andava in Tribunale per rispondere del proprio coinvolgimento nei fatti che riguardano la strage della stazione di Bologna. Anche quella, ancora oggi, priva di verità.
A Barcellona si consuma intanto un’altra strage. Quella dei catalani che non tollerano le pene inflitte ai leader politici che avevano condotto la campagna consultiva per la richiesta indipendenza della Catalogna. Ed al pronunciamento delle sentenze, media dieci anni di reclusione per “sedizione” per quelli che erano invece i portavoce del popolo che chiedeva ciò che loro stavano facendo, sulla Ramblas si sono radunate migliaia di persone che hanno intonato un enorme “Bella ciao”. L’hanno cantata in italiano, i catalani. L’inno dei partigiani sembra quindi voler diventare mondiale. L’inno di chi non chiede più ma pretende la liberazione dall’oppressore. E chi la canta non è l’elettore tipo della Lega o del PD, ma chi la rivoluzione è pronto a farla. Appunto come i catalani, che da giorni lottano contro le forze dell’ordine spagnole, contando i feriti ma anche i poliziotti mandati in ospedale. Accade mentre in piazza San Giovanni sventolano le bandiere di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia per pretese elezioni dopo che il ribaltone fallito di mister Papeete ha portato i tre partiti uniti all’opposizione.
Bandiere di partiti in Italia, mescolate ad estremisti di destra da saluto romano tra la folla. Bandiere della catalogna a Barcellona, dove la polizia se la vede brutta tra i catalani furibondi per le condanne ai loro rappresentanti politici. E bandiere anche a Londra, dove gli inglesi sfilano in massa con il vessillo dell’Unione europea chiedendo un nuovo referendum adesso che hanno capito l’errore commesso. Ma non ci sono soltanto i tre Paesi decisamente europei in piazza con le bandiere. C’è anche la Turchia ad avere problemi di bandiere. Perché non tutti i turchi sono dalla parte di Erdogan e quindi favorevoli al massacro nella regione nord della Siria. Tra l’altro, non tutti i turchi sono ignari della possibilità che l’aggressione ai curdi del Rojava possa sfociare in una controffensiva siriana e russa alla Turchia. Poco più distante, in Libano, centinaia di migliaia sono i libanesi che protestano in strada contro la corruzione del loro Paese e la povertà a cui questa li costringe. Come in Grecia, dove è stato pagato il prezzo più caro alla manovra economica repressiva per il risanamento dei conti pubblici degli Stati membri UE. La stessa Grecia a cui però l’Unione europea ha dato l’onere di accogliere e gestire il flusso migratorio condiviso con la Turchia, Paese non in annessione ufficiale UE ma cui sono stati assicurati sei miliardi di euro perché il problema migratorio non diventi un problema dell’Europa bene. Quell’Europa fatta da Stati che hanno meno problemi e che con gli altri membri dell’Unione vogliono condividere solo i benefici dell’Eurozona, non certo migranti e rifugiati.
Ma si potrebbe anche volare al di là dell’Oceano per trovare situazioni analoghe. Come in Cile, messa a ferro e fuoco dagli studenti per l’aumento del costo dei trasporti pubblici che loro non si possono permettere. Perché anche il Cile fa parte di quei Paesi in cui puoi stare molto bene, con un tenore di vita decisamente agiato, oppure morire di fame. Ma senza mezze misure. Non dimentichiamo l’Ecuador, ridotto ad un inferno ormai da giorni per lo sfogo del popolo contro una classe politica in cui Presidenza e Parlamento fanno i capricci per meri egoistici interessi a discapito del popolo esasperato. Come esasperato è il popolo del Venezuela, maggior produttore mondiale di petrolio e nelle scuole si allevano galline per non morire di fame. Ed il cerchio, se vogliamo, senza tirarla troppo per le lunghe, si può anche chiudere qui, tornando dal Venezuela direttamente in Siria con il parallelismo tra il presidente venezuelano Nicolas Maduro ed il presidente siriano Bashar al-Assad. Entrambi, malgrado gli sforzi fatti con infiltrazioni finalizzate al loro rovesciamento, hanno resistito perché sostenuti dal loro rispettivo popolo. Gli Stati Uniti non sono riusciti a mettere alla presidenza del Venezuela un uomo che non conducesse lo Stato ed il suo petrolio lontano dall’egemonia del dollaro USA ed i tagliagole dell’Isis non sono riusciti a scagliare il popolo siriano contro il suo presidente alawita malgrado le bombe americane con cui è stata terrorizzata la Siria dopo l’intervento del Califfato islamico.
Oggi assistiamo al ritorno agli interessi di potere, che operano in totale dispregio del diritto alla vita ed alla dignità dell’uomo, esattamente come negli anni scorsi. Solo che oggi “Bella ciao” la intonano anche in Spagna, e domani potrebbero farlo anche in Libano, in Siria, in Venezuela, in Cile e, chissà, anche in Piazza San Giovanni a Roma. Sempre che gli italiani sappiano ancora le parole dell’inno partigiano ed il loro significato.
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