di Mauro Seminara
Negli stessi giorni in cui la nave Ong Ocean Viking soccorreva 104 persone a nord della costa libica, il 18 ottobre, il rimorchiatore italiano Asso 29 ne soccorreva – quasi due giorni dopo – altri 68 e, come il diritto internazionale prevede, si è diretto a nord escludendo l’ipotesi di respingimento verso il porto non sicuro di Tripoli. La nave con bandiera italiana che svolge funzioni logistiche a servizio delle piattaforme petrolifere, che si trovano in area SAR affidata alla Libia, ha raggiunto Lampedusa e nei pressi dell’isola italiana si è fermata in attesa delle decisioni che ormai vengono prese dai ministeri competenti se non direttamente dal Viminale. Tutto liscio, anche per il coordinamento assunto da Roma per il rimorchiatore che serve all’ENI e non come le Ong ai naufraghi. Nel frattempo veniva indicato dalla Centrale di coordinamento soccorso libico il porto di Tripoli, quale “porto sicuro” per lo sbarco dei migranti, alla nave Ong di SOS Mediterranee e Medici Senza Frontiere. Porto estremamente insicuro sotto ogni profilo e che la nave Ocean Viking ha naturalmente rifiutato.
La Asso 29 si è posizionata sul versante nord di Lampedusa per sentire meno il moto ondoso di un Mediterraneo che intanto iniziava ad agitarsi un po’, ed a mezzo miglio dall’isola il rimorchiatore c’è rimasto per un giorno ed una notte (in foto). Al centro hotspot dell’isola c’erano intanto un paio di centinaia di migranti. Circa il doppio della capienza naturale della struttura nelle attuali condizioni, ma non in condizioni da poter essere definito “al collasso”. Soprattutto se la regolarità dei trasferimenti dal centro di prima accoglienza continua con frequenza quotidiana. La Asso 29 però non entra in porto, non trasborda sulle motovedette classe 300 della Guardia Costiera e non viene indirizzata in altri porti, rimanendo in stallo per tutta la notte e la mezza giornata successiva. Consegna, quella di altro porto, che se fosse stata fornita già prima di raggiungere Lampedusa avrebbe fatto risparmiare anche tempo al rimorchiatore. Mentre la nave sostava vicino l’isola pelagica, toglieva invece gli ormeggi la nave Diciotti della Guardia Costiera, a Catania.
La nave CP 941 Ubaldo Diciotti ha quindi navigato per un giorno intero fino a raggiungere Lampedusa dal porto del capoluogo etneo, ed una volta affiancata la Asso 29, con l’ausilio di una motovedetta classe 300 di stanza a Lampedusa, ha trasbordato i migranti ancora sul rimorchiatore. Conclusa l’operazione al largo dell’isola, la Diciotti ha messo i motori avanti tutta per dirigersi su Pozzallo, porto siciliano nel quale questa mattina ha sbarcato i migranti trasbordati ad eccezione di una evacuazione medica fatta da una motovedetta, verso Lampedusa prima e la Sicilia in elisoccorso dopo. La Diciotti a Pozzallo non è entrata in porto e lo sbarco dei migranti è stato effettuato mediante trasbordo con un’altra motovedetta della Guardia Costiera. Tre giorni di mare per una nave della Guardia Costiera che, come la gemella Dattilo, vive ormai il suo tempo in un porto siciliano senza che il Mediterraneo centrale ne veda la prua. Unica missione da settimane, questo strano piano logistico costato qualche decina di migliaia di euro da aggiungere all’assicurazione per la Asso 29 con conseguenti rimborsi. Se la Ocean Viking ha un costo di navigazione di oltre diecimila euro al giorno, la grande Diciotti con tutto il suo equipaggio ne avrà uno analogo o superiore. A questi bisognerà aggiungere quello delle motovedette impiegate per i trasbordi, ed il costo dell’operazione sale ancora.
La Diciotti ha incrociato la Ocean Viking per due volte in 24 ore. La prima mentre si recava a Lampedusa e la seconda mentre navigava alla volta di Pozzallo. Il punto di incrocio con la nave Ong è stato ad est di Linosa, tra l’arcipelago italiano e Malta, dove nel frattempo la nave Ong si era posizionata in attesa che le si assegnasse un porto sicuro. Nessuna decisione è stata però presa per la nave che dal 18 ottobre ha a bordo 104 persone salvate al largo della Libia. Rispettato quindi il diritto e dovere di non respingimento per la nave italiana Asso 29, alla quale è stato offerto perfino un trasbordo pelagico invece di indicarle direttamente il porto siciliano di Pozzallo. Per la Ocean Viking invece sembra ancora oggi valido il porto di Tripoli che le era stato indicato dalle autorità libiche, pur rappresentando un eventuale respingimento in porto non sicuro di una nazione in guerra, e nessuna indicazione alternativa le viene offerta dalle Centrali di coordinamento di Italia e Malta.
Domenica la Ocean Viking ha inviato un’e-mail alle centrali di coordinamento soccorso (MRCC) di Italia e Malta e in copia, per conoscenza, alla Libia. Da domenica però la nave attende che una delle tre Centrali di coordinamento le indichi il porto verso cui dirigersi per lo sbarco di naufraghi ormai a bordo da quattro giorni. Tutta l’operazione si svolge nel silenzio delle istituzioni italiane che, da una parte assumono decisioni che non sembrano voler ridurre l’onere economico di soccorso ed accoglienza – vedi il caso Asso 29 – anche se il soccorso lo ha effettuato una nave mercantile, e dall’altra sembrano quasi latitare anche sul dovere sancito per legge di mettere a disposizione della stampa un ufficio relazioni esterne. Questo, il cosiddetto ufficio stampa obbligatorio per ogni pubblica amministrazione civile e militare, è un telefono al quale nessuno risponde. Squilla fino a quando la mancata risposta non devia la chiamata al centralino del Ministero dei Trasporti ed una voce registrata chiede se si vuol parlare con le varie opzioni che variano dal gabinetto del ministro all’ufficio che si occupa dei trasporti aerei.
Per circa 24 ore è stato quindi quasi impossibile sapere cosa attendeva la Asso 29 davanti Lampedusa e quale fosse la situazione a bordo. Una condotta che non sembra dispiacere all’attuale Governo, come non dispiaceva al precedente ed a quello ancora prima. Così, a voler pensar male, si scoraggiano i giornalisti curiosi di sapere se il Corpo preposto al soccorso in mare sta prendendo provvedimenti per il salvataggio di un’imbarcazione in pericolo a breve distanza da un porto nel quale si trovano tre unità SAR d’altura velocissime come le “300” di Codecasadue in forze alla Guardia Costiera italiana. Nel caso specifico in esempio, a disporre di tre unità navali del genere nel Mediterraneo centrale c’è Lampedusa. La stessa isola davanti la quale la notte tra il 6 ed il 7 ottobre è naufragata una barca che la Guardia Costiera si accingeva a soccorrere quando ormai giunta a sei miglia dai fari di ingresso porto. La domanda che si rivolgerebbe quindi all’irreperibile ufficio relazioni esterne del Comando generale delle Capitanerie di Porto e Guardia Costiera è se la barca era stata avvistata e segnalata prima che arrivasse in acque territoriali. O se preferite: Il naufragio si poteva evitare, magari andando incontro alla barca se dalle ricognizioni aeree della missione europea ne fosse stata segnalata la posizione e la condizione a bordo?
Quesiti che attualmente non trovano risposta e che si spera vengano risolti dalla Procura della Repubblica di Agrigento che indaga sul naufragio. Altri quesiti riguardano invece la discrezione con cui viene applicato il diritto internazionale per i soccorsi in area SAR affidata alla Libia. Sappiamo che dalle navi delle Ong viene rigidamente preteso il rispetto delle indicazioni della Centrale di coordinamento libica, quella che non risponde al telefono e che non parla inglese, anche quando indica come Place of Safety, porto sicuro più vicino, il porto di Tripoli che tale non può essere definito. Ma sappiamo anche che tale violazione dei trattati internazionali non è mai stata compiuta da navi che servono all’ENI oppure appartengono a corpi dello Stato italiano. Per meglio inquadrare la differenza di condotta italiana nell’assunzione di coordinamento soccorso in cui non si è posto neanche per un momento il dubbio sul respingimento in porto libico, basta ricordare i due interventi dalla nave Cigala Fulgosi della Marina Militare e quello della Cassiopea, appartenente allo stesso Corpo della Difesa italiana. Ma anche alla Asso 25, gemella della Asso 29 con bandiera italiana anch’essa, non è stato imposto il coordinamento libico o un porto insicuro della Libia. Tutti precedenti che inevitabilmente dovrebbero costituire l’inappellabile difesa delle navi Ong fino ad oggi fermate per violazione dei “decreti sicurezza”.