di Mauro Seminara
Dopo la bocciatura della proposta Commissione Libertà Civili dell’Unione europea su presenza in mare ed apertura porti, e pochi giorni prima del rinnovo degli accordi tra Italia e Libia sul contributo “made in Italy” alla sedicente guardia costiera delle milizie libiche, al Viminale si è tenuto un incontro tra le rappresentanze dello Stato ed i rappresentanti delle Ong. Alle 10 di questa mattina, presso il Ministero dell’Interno, si sono seduti allo stesso tavolo i vertici del Viminale con a capo il ministro Luciana Lamorgese, una rappresentanza del Ministero degli Esteri e del Comando generale delle Capitanerie di Porto per discutere con i rappresentanti di Medici Senza Frontiere, Mediterranea Saving Humans, Proactiva Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e SOS Mediterranee. Al termine della riunione, che si è ovviamente tenuta a porte chiuse, con qualche ora di ritardo per le comunicazioni di rito, entrambe la parti hanno lanciato lo stesso messaggio su “apertura e dialogo”. Del tardo pomeriggio è infatti il comunicato stampa congiunto delle Ong che hanno partecipato alla riunione e quasi a sera sono partite le prime laconiche agenzie contenenti il virgolettato frutto del laconico comunicato stampa del Viminale.
Il contenuto, per entrambe le parti, è quasi inesistente e nessun dettaglio emerge su aspetti tecnici che possono emergere dall’incontro. “Le organizzazioni hanno apprezzato la riapertura di un dialogo con la società civile e auspicano che sia il punto di partenza perché tutti gli attori coinvolti tornino a collaborare in modo efficace per la salvaguardia della vita umana in mare“, recita l’incipit del comunicato stampa delle Ong. Tra le cinque righe del comunicato stampa del Ministero dell’Interno c’è invece scritto che “La riunione ha rappresentato un primo passo per l’avvio di una interlocuzione diretta tra le parti“. Per chi volesse capire di cosa hanno parlato il Ministero dell’Interno, quello degli Esteri e la rappresentanza del Comando generale delle Capitanerie di Porto con i rappresentanti delle Ong ci sarà da attendere. Così come attendono i 104 naufraghi soccorsi dalla nave Ong Ocean Viking il 18 ottobre e dal 20 ufficialmente in attesa di assegnazione “porto sicuro” da parte dell’Italia o di Malta. Il fatto che anche oggi, dopo l’apertura verso il “dialogo” tra le parti, la Ocean Viking sia ancora lì, in mare aperto, potrebbe però fornire la misura del confronto tra il Viminale e le Organizzazioni non governative. Alla Ocean Viking è stato negato un porto anche in vista della grave perturbazione che si è abbattuta sulla Sicilia orientale e che era previsto si estendesse allo Stretto di Sicilia e fino alle Pelagie. Una perturbazione da “Allerta Rossa” diramato dalla Protezione Civile.
“Le organizzazioni hanno infine auspicato che venga superato il clima di criminalizzazione dei soccorsi in mare e che il dialogo torni al vero cuore del problema: la necessità di salvare vite nel Mediterraneo e di definire politiche sulla migrazione più ordinate, sostenibili e umane”. Questo hanno sottoscritto le Ong con il comunicato stampa congiunto. Ma tra i firmatari ci sono Mediterranea Saving Humans, Sea Eye e Sea Watch. Tutti con navi ferme e comandanti sotto inchiesta. In mare rimangono infatti soltanto Open Arms e la nave di Medici Senza Frontiere con SOS Mediterranee, appunto la Ocean Viking bloccata dal 18 ottobre con 104 naufraghi a bordo. Di contro, al di là dei commoventi auspici, rimangono in vigore i decreti di Matteo Salvini, cosiddetti “Sicurezza 1” e “Sicurezza 2”, che questo Governo pare non intenda abrogare. Decreti, poi convertiti entrambi in legge dello Stato, che contravvengono a quanto disposto dalle Convenzioni internazionali, da quella di Amburgo a quella di Ginevra. Fin qui, il dialogo aperto oggi al Viminale ricorda tanto quello dei tavoli convocati dal ministro Marco Minniti per l’imposizione del cosiddetto “Codice di condotta” per le Ong. Delude infine l’inconsistenza della comunicazione di entrambe le parti, Ong e Ministeri, che nulla rivelano sul rapporto tra le autorità italiane – al tavolo odierno sedeva anche la rappresentanza del Comando generale Capitanerie di Porto che gestisce anche la Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo – e quelle libiche su respingimenti per procura affidata ai “comandanti Bija” di turno.
Le Ong hanno dichiarato in modo congiunto di aver chiesto alle parti che sedevano dall’altro lato del tavolo al Viminale di “rimettere al centro l’obbligo del soccorso” rispettando i trattati internazionali, di porre fine ai respingimenti per procura con “le intercettazionida partedella guardia costiera libica” e di “definire con il coinvolgimento europeo un sistema preordinato di sbarco in un vicino porto sicuro“. Né il comunicato stampa delle Ong né quello di cinque righe del Viminale rivelano però qualcosa su come queste richieste siano state accolte dalle parti all’indomani della bocciatura in sede europea della risoluzione LIBE grazie all’astensione del Movimento 5 Stelle ed alla vigilia – scade il 2 novembre – della missione di affiancamento ai libici che il Parlamento italiano dovrà decidere se prorogare. Nessun dialogo quindi risulta emergere dall’incontro odierno, solo la cauta diplomazia delle Ong ed il silenzio del Ministero dell’Interno sui propositi. Le uniche certezze rimangono la protezione cui sono stati sottoposti i giornalisti Nancy Porsia e Nello Scavo per le minacce subite da uno di quei “guardacoste” cui l’Italia pretende si affidino potenziali richiedenti asilo ed il permanere nel Mediterraneo centrale della Ocean Viking con 104 persone a bordo tra cui anche 41 minori non accompagnati ai quali nessuno Stato europeo del Mediterraneo offre un porto sicuro. C’è pertanto da chiedersi di cosa abbiano parlato nel corso di questo “dialogo”.
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