di Mauro Seminara
Il 23 ottobre, a Roma, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva ricevuto il collega degli Affari Interni di Tripoli Fathi Ali Basha Agha. “Al centro dei colloqui – aveva comunicato il Viminale – la situazione politica in Libia, la pressione migratoria e lo stato della collaborazione tra i due Paesi”. In Libia, nel frattempo, c’era la giornalista Francesca Mannocchi e venerdì – due giorni dopo l’incontro tra i due ministri – andava in onda su Propaganda Live l’intervista che la giornalista italiana aveva fatto al trafficante libico “comandante Bija”. Abd al-Rahaman al-Milad, detto Bija, si era presentato in uniforme ed accompagnato dal portavoce della Marina libica che ne certificava così la legittimità dei gradi sulle spalle. Una serie di coincidenze vede adesso Bija, il comandante della sedicente guardia costiera “libica” – una milizia territoriale di un Paese in guerra – che nel 2017 era stato ricevuto con tutti gli onori del caso nei palazzi delle istituzioni italiane, oggetto di un mandato di cattura emesso da quel ministro che mercoledì 23 ottobre si è recato al Viminale per un colloquio con la collega italiana.
A darne notizia in Italia, questa mattina, è il solito quotidiano Avvenire con un articolo firmato da Nello Scavo. Lo stesso giornalista che pochi giorni prima dell’incontro al Viminale tra Luciana Lamorgese e Fathi Ali Basha Agha era stato posto sotto protezione per via delle minacce ricevute da Bija. La colpa di Nello Scavo, secondo il criminale internazionale sanzionato dall’ONU nel 2018, era quella di aver svelato la sua visita in Italia ed ancora prima di averlo riconosciuto in delle immagini che lo ritraevano intento a recuperare il motore di una barca da cui erano stati soccorsi dei migranti. Per Bija, sottolinea Avvenire questa mattina citando fonti del Ministero dell’Interno di Tripoli, era già stato spiccato un mandato d’arresto nell’aprile del 2019. Molti mesi dopo l’inserimento di Bija, da parte delle Nazioni Unite, nella lista dei criminali internazionali. Il Governo di Accordo Nazionale (GNA) presieduto da Fayez al-Serraj aveva fatto sapere che Bija era stato allontanato dalla cosiddetta “guardia costiera” e dallo scorso anno era teoricamente un ricercato libico con ordine di cattura. Eppure, qualche giorno fa il criminale riconosciuto tale dalle Nazioni Unite sedeva in un ufficio con la divisa da guardacoste ed il portavoce della Marina libica al fianco.
I rapporti tra l’Italia e la Libia non si fermano alla costatazione del profilo di Bija ed alle trafficate pezze che adesso il Governo italiano prova a porre sul singolo caso Abd al-Rahaman al-Milad. Sabato scorso, 26 ottobre 2019, un motoscafo armato di mitragliatrice a prua e bandiera della Libia a poppa aveva fatto uso delle armi per intimidire la nave Ong Alan Kurdi ed i migranti che si apprestava a soccorrere con i soccorritori già in mare a bordo dei rhib. Nel 2018, un motoscafo del tutto simile a quello intervenuto sabato, veniva pubblicato, quale foto ufficiale della guardia costiera libica di Zawija, dal quotidiano digitale Address Libya. Questo pericoloso e concomitante giro di eventi, raccolti in poco più di dieci giorni se si conta la protezione a cui sono stati sottoposti i giornalisti Nancy Porsia e Nello Scavo, è vigilia di una data fondamentale per il Parlamento italiano nella pericolosa e torbida relazione con la Libia: entro il 2 novembre, nel caso la maggioranza degli onorevoli parlamentari italiani non dovesse esprimere contrarietà, l’Italia procederà con proroga degli accordi tra Italia e governo di Tripoli. Quindi con il supporto alla guardia costiera ed alla Marina libica, agli accordi sui respingimenti dei migranti ad opera dei vari “comandante Bija” armati e collusi con lo stesso traffico di migranti e con tutto quello che accade in Libia in completo dispregio dei diritti umani.
La foto della cosiddetta guardia costiera libica di Zawija pubblicata il 30 dicembre scorso da Address Libya: