di Fulvio Vassallo Paleologo
Anche attorno alla proroga tacita del Memorandun d’intesa con la “Libia”, in realtà con il governo di Tripoli che ne controlla soltanto una parte, si sta giocando l’ennesima partita truccata per conquistare consenso elettorale o per difendere una posizione di governo che appare giorno dopo giorno sempre più debole. Le ragioni di questa debolezza sono evidenti. Da una parte il Partito democratico insiste sulla difesa del Memorandum siglato con i libici il 2 febbraio del 2017, dunque con le firme di Gentiloni e Minniti. Una scelta che è stata alla base della campagna contro le ONG, a partire dal Codice di condotta Minniti e dall’impulso dato alla magistratura nelle indagini contro le stesse ONG, attraverso attività sotto copertura svolte da agenti legati al servizio centrale operativo del ministero dell’interno (SCO), imbarcati a bordo della nave di Save The Children (Vos Hestia) che in quel periodo svolgeva il compito di coordinatore sulla scena delle operazioni di ricerca e salvataggio.
Da un’altra parte il ministro degli esteri Di Maio non perde occasione per confermare una linea di continuità con i decreti sicurezza approvati con Salvini, e fa ricorso ad argomenti chiaramente falsi per giustificare la sua posizione, diretta ad un intervento di umanizzazione dei campi di detenzione in Libia, attraverso una riunione congiunta del Comitato di coordinamento italo-libico previsto dal Memorandum d’intesa del 2007. Peccato che in realtà questo Comitato sia preposto solo a dare attuazione operativa a quanto deciso con il Memorandum e non certo a modificarne la portata, anche soltanto con riferimento al problema scottante delle condizioni indegne di trattenimento riservato alle persone intercettate in mare dalla sedicente guardia costiera libica e rivendute ai trafficanti subito dopo la loro riconduzione a terra.
I libici intanto rilanciano minacce contro le Organizzazioni non governative che, oltre a soccorrere vite in mare, sono scomodi testimoni dei traffici che si svolgono sotto l’occhio benevolo dei governanti di Tripoli che sono arrivati al punto di reintegrare un noto trafficante internazionale (Bija) nei ranghi della sedicente guardia costiera di Zawia. Quella stessa guardia costiera che collabora con le motovedette di base a Tripoli, assistite e coordinate dalla missione militare Nauras dell’operazione italiana Mare Sicuro, presente a Tripoli. Una “cooperazione operativa” favorita dalle attività di intelligence e di tracciamento demandato ai residui assetti aerei delle missioni europee Triton di Frontex (oggi Guardia di frontiera e costiera europea) e di Sophia- Eunavfor Med. Nessuno ascolta i preoccupati appelli dell’UNHCR che sconsiglia qualunque “ritorno” dei naufraghi in territorio libico. Ma nella prospettiva del sovranismo mondiale ormai le grandi Organizzazioni internazionali contano sempre meno, come i diritti umani che dovrebbero tutelare. Così come sembra non trovare eco nella stampa italiana la secca bocciatura europea della proposta italiana che intendeva costruire gradi piattaforme di sbarco in Libia.
Salvini intanto rilancia i consueti allarmi per una emergenza che non esiste, e continua a mantenere ferma la sua posizione di aperto sostegno verso le attività di intercettazione in mare operate dai guardiacoste libici verso i quali ha espresso in diverse occasioni il suo apprezzamento. Ed altri guardiacoste sarebbero in arrivo dall’Italia, dove si dimentica che tutte queste unità sono armate, successivamente al loro arrivo in Libia, in violazione di quell’embargo di armi nei confronti di un paese in preda alla guerra civile che tutti cercano di nascondere. In realtà la vera forza ( e probabilmente anche la via di fuga) di Serraj è costituita proprio dalla Marina e dalla Guardia costiera “libica”, che gli permettono di avvalersi dei porti delle città, assediate dalle truppe del generale Haftar, per ricevere rifornimenti dall’Italia, dalla Turchia e dagli altri stati che lo sostengono. A Tripoli gli aerei del generale Haftar hanno bombardato persino la sede del ministro dell’interno del governo Serraj. Adesso il governo di Tripoli apre anche le porte dei “suoi” centri di detenzione e rende ancora più facile la rivendita dei migranti ai trafficanti.
La validità del Memorandum
In questo quadro la partita della proroga tacita del Memorandum d’intesa firmato da Gentiloni e Minniti il 2 febbraio del 2017, un accordo che non è mai passato dalle aule parlamentari, in violazione dell’art. 80 della Costituzione, benché comportasse ingenti impegni di spesa ed avesse una natura evidentemente “politica”, appare una partita truccata, perché si dimentica che lo stesso Memorandum fa riferimento al Trattato di amicizia italo-libico sottoscritto da Gheddafi e Berlusconi nel 2008, e quindi richiamato dalle intese stipulate nel 2012 dal ministro dell’interno Cancellieri, ai tempi del governo Monti. Tutti questi atti internazionali sono da considerare privi di efficacia perché in Libia si è verificato un mutamento di governo avvenuto per vie extralegali, la guerra civile del 2011 ed adesso se ne sta verificando un altro, con l’occupazione di vaste parti del territorio libico da parte del generale Haftar che non si riconosce più da tempo nel governo provvisorio di riconciliazione nazionale (GNA) presieduto da Serraj a Tripoli.
Il Memorandum d’intesa sottoscritto da Gentiloni il 2 febbraio del 2017 che va adesso in proroga automatica, mirava appunto “al fine di attuare gli accordi sottoscritti tra le Parti in merito, tra cui il Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione firmato a Bengasi il 30/08/2008, ed in particolare l’articolo 19 dello stesso Trattato, la Dichiarazione di Tripoli del 21 gennaio 2012 e altri accordi e memorandum sottoscritti in materia”.
Quando anche si ritenesse che tra la Libia di Gheddafi e l’attuale governo di Tripoli vi sia una qualche “continuità politica”, il Trattato di amicizia del 2008, i protocolli operativi che lo avevano preceduto ( con il governo Prodi) nel dicembre del 2007, ed il Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017, che ne riprende in sostanza la portata, sono decaduti, in quanto privi di efficacia, ai sensi dell’art. 61 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, in forza della clausola “rebus sic stantibus”, in quanto le previsioni di portata operativa, come l’attribuzione di competenze di ricerca e salvataggio alla cosiddetta Guardia costiera “libica”, sono inattuabili, per sopravvenuta impossibilità di esecuzione, come purtroppo è confermato dal numero crescente di imbarcazioni che vengono abbandonate in alto mare per giorni senza che nessuno intervenga.
Se dunque si è verificata la decadenza automatica del Trattato tra Italia e Libia del 2018, e se le previsioni dettate dai protocolli operativi del 2007 e dal Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017 sono ormai inattuabili se si considera l’intera estensione delle coste libiche, non vi è spazio per alcuna effettività della proroga automatica del Memorandum, e rimangono prive di base legali gli ingenti trasferimenti di danaro che continuano a verificarsi da parte delle autorità italiane ed europee in favore di non meglio identificate autorità libiche, siano sindaci, esponenti della Guardia costiera o del Dipartimento contro l’immigrazione illegale (DCIM), o lo stesso governo Serraj. Per quanto detto, in ordine alla frammentazione del territorio libico, alla guerra civile in corso, ed alla contiguità della sedicente Guardia costiera “libica” con le milizie di diverse città, variamente colluse o direttamente infiltrate dai trafficanti, come a Zawia, rimane del tutto priva di efficacia, sotto il profilo del diritto internazionale, la autoproclamazione di una zona SAR libica, adottata dal governo di Tripoli, dopo alterne vicende, il 28 giugno del 2018, e subito accolta con favore dalle autorità italiane. La zona SAR libica infatti è una diretta conseguenza della operatività degli accordi intercorsi in precedenza tra Italia e Libia e la sua creazione, per quanto risalente ad una decisione unilaterale delle autorità di Tripoli, ha nella sostanza una fonte prevalentemente pattizia, legata come è ad un forte sostegno italiano, dopo le riserve dell’IMO che nel dicembre del 2017 avevano portato alla sospensione di una prima dichiarazione dei libici che sostenevano di avere istituito una zona SAR di loro competenza.
Come ha ricordato il Giudice delle indagini preliminari di Trapani, nella sentenza sul caso della legittima difesa riconosciuta ai naufraghi raccolti dal rimorchiatore Vos Thalassa nel luglio lo scorso anno, “il memorandum Italia-Libia, essendo stato stipulato nel 2017, quando il principio di non-refoulement aveva già acquisito rango di jus cogens, è: – privo di validità, atteso che ai sensi dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ‘è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale‘; – incompatibile con l’art. 10 co. 1 Cost., secondo cui ‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali rientra ormai anche il principio di non-refoulement’.”
Anche se il Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli sarà prorogato automaticamente il 2 novembre senza una contraria volontà del governo italiano, lo stesso Memorandum ed il Trattato di amicizia Italia-Libia da cui discende, con i protocolli operativi del dicembre del 2007 sono da considerare inefficaci, e le attività che si svolgono in mare in collaborazione con la Guardia costiera libica rimangono prive di basi legali. Come rimane privo di basi legali l’invio di altre motovedette a Tripoli. Appare sempre più probabile che l’obiettivo prevalente di queste motovedette donate dal governo italiano sia quello di bloccare le operazioni di ricerca e soccorso delle ONG, stando almeno alle chiare minacce contenute nel Codice di condotta che le autorità di Tripoli vorrebbero imporre alle ONG, in quella che non ritengono soltanto come una zona di responsabilità per i soccorsi, ma come una vera e propria area di esercizio della sovranità, sulla falsariga di quanto anticipato da Minniti nel 2017 con un Codice di condotta che appare speculare a quello adesso proposto dai libici. E pensare che il ministro Lamorgese vorrebbe ancora lavorare apportando modifiche sulla base di quel documento, del tutto privo di rilevanza giuridica e in contrasto con il diritto internazionale, per il ruolo attribuito alla sedicente guardia costiera “libica”, che impedisce il rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso imposti agli stati.
La vera partita sui rapporti con la Libia adesso si giocherà in Parlamento, all’inizio del prossimo anno, con il rinnovo delle missioni militari italiane all’estero, da cui passa una parte importante dei finanziamenti concessi alle diverse “entità” libiche. Non si tratta solo di considerare la fuga dei migranti, non parliamo di flussi migratori, ma le questioni ancora troppo nascoste del contrabbando di petrolio e delle continue violazioni dell’embargo di armi. In fondo nel Memorandum d’intesa del 2017 si trattava anche di questi temi, che oggi sembrano non interessare più.
Potrebbe essere una occasione per prendere atto che le obbligazioni cogenti di soccorso in mare ed il diritto cogente dei rifugiati ( principio di non respingimento: art. 33 della Convenzione di Ginevra) escludono la possibilità di sottoscrivere Memorandum d’intesa che prevedano la collaborazione con la sedicente guardia costiera di una “Libia” che non esiste più come stato unitario, o che diano comunque esecuzione ad intese con un non-stato che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e che nega persino alle agenzie delle Nazioni Unite l’ingresso nei centri di detenzione in cui vengono concentrati i migranti rastrellati sul territorio e ritenuti illegali, insieme a quelli sempre più numerosi intercettati in mare e riportati a terra dalla sedicente ” guardia costiera libica”.
La inefficacia degli accordi con la Libia e la mancanza di basi legali delle intese operative che le autorità italiane hanno concordato con le autorità libiche dovranno assumere rilievo anche per il giudice nazionale, come è già avvenuto nel caso della sentenza del Giudice delle indagini preliminari di Trapani sul caso dei naufraghi raccolti lo scorso anno dal rimorchiatore Vos Thalassa. Ed allo stesso modo i giudici nazionali, nei processi di loro competenza, come nel caso del processo Iuventa a Trapani, dovranno valutare l’inserimento organico, risalente al 2017 ed ancora oggi confermato, di noti trafficanti, come Bija, in quella guardia costiera di Zawia, o in altri casi, di altre città, che fanno riferimento al governo Serraj.
Se la comunità internazionale non riesce ad agire per sanzionare le atrocità commesse ai danni dei migranti bloccati in Libia o intercettati in acque internazionali, i giudici interni potranno accertare tutte le responsabilità quando si tratta di persone che a vario titolo ricadono sotto giurisdizione italiana. Come si verifica anche quando autorità italiane pongono in essere prassi operative in territorio straniero in violazione di norme interne o di norme internazionali cogenti. Un esercizio possibile, anzi doveroso della giurisdizione, penale, amministrativa e contabile, a fronte di possibili violazioni di norme cogenti di fonte internazionale, in virtù degli articoli 10 e 117 della Costituzione.
Se è vero che il numero delle vittime in mare è diminuito per il forte calo degli sbarchi, cominciato proprio nell’estate del 2017, in termini percentuali la traversata del Mediterraneo centrale è diventata ancora più pericolosa. Se prima del 2017 si registrava una vittima ogni 29 persone che partivano dalla Libia, quest’anno siamo arrivati a contare una vittima (morto o disperso) ogni 9 persone che vengono fatte partire dalla Libia, mentre i trafficanti sono sempre ai loro posti, trattano con governi ed emissari dei servizi, e rimangono prive di qualsiasi sanzione le torture e gli abusi inflitti ai migranti intrappolati nell’inferno libico. Solo in pochi casi, come a Milano e di Messina, nei processi è emersa la vera realtà dei lager libici. Quello che Salvini ha avuto persino il coraggio di definire come “retorica delle torture”.
Non crediamo che i propositi di modifica del Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli possano migliorare la condizione delle persone internate nei centri di detenzione in Libia o intercettate in acque internazionali e riportati a terra. Anche se il governo italiano sta facendo scadere il termine del 2 novembre in modo da garantire continuità al Trattato di amicizia Italia-Libia, agli Accordi ed ai Memorandum d’intesa con le autorità di Tripoli, la partita non è chiusa affatto e si dovrà giocare sul piano della corretta informazione e della trasparenza dell’azione politica. Aspettiamo che la politica, quella vera, batta un colpo. Giuristi e giornalisti non si faranno certo intimidire dalle minacce di trafficanti in divisa come Bija e dal clima di odio che si è scatenato in Italia contro tutti coloro che si sono opposti alla collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica”, utilizzata, oltre che per condannare ai lager- se non a morte per naufragio- i naufraghi soccorsi in mare, per colpire in Italia gli avversari politici e speculare sulla criminalizzazione della solidarietà. In uno stato costituzionale il diritto internazionale ed il diritto penale non dipendono dai like sui social media o dalle maggioranze elettorali.
Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana
Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate “le Parti”:
Sono determinati a lavorare per affrontare tutte le sfide che si ripercuotono
negativamente sulla pace, la sicurezza e la stabilità nei due paesi, e nella regione del Mediterraneo in generale.
Nella consapevolezza della sensibilità dell’attuale fase di transizione in Libia, e della necessità di continuare a sostenere gli sforzi miranti alla riconciliazione nazionale, in vista di una stabilizzazione che permetta l’edificazione di uno Stato civile e democratico.
Nel riconoscere che il comune patrimonio storico e culturale e il forte legame di amicizia tra i due popoli costituiscono la base per affrontare i problemi derivanti dai continui ed elevati flussi di migranti clandestini.
Riaffermando i principi di sovranità, indipendenza, integrità territoriale e unità nazionale della Libia, nonché di non ingerenza negli affari interni.
Al fine di attuare gli accordi sottoscritti tra le Parti in merito, tra cui il Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione firmato a Bengasi il 30/08/2008, ed in particolare l’articolo 19 dello stesso Trattato, la Dichiarazione di Tripoli del 21 gennaio 2012 e altri accordi e memorandum sottoscritti in materia.
Le Parti hanno preso atto dell’impegno che l’Italia ha posto per rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie, che ha portato all’istituzione del “Fondo per l’Africa”.
Tenendo conto delle iniziative che sono state messe in atto dalla parte italiana in attuazione degli accordi e dei memorandum di intesa bilaterali precedenti, nonché il sostegno assicurato alla rivoluzione del 17 febbraio.
Al fine di raggiungere soluzioni relative ad alcune questioni che influiscono negativamente sulle Parti, tra cui il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il suo impatto, la lotta contro il terrorismo, la tratta degli esseri umani e il contrabbando di carburante.
Riaffermando la ferma determinazione di cooperare per individuare soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare, attraverso la predisposizione dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine, lavorando al tempo stesso affinché i paesi di origine accettino i propri cittadini ovvero sottoscrivendo con questi paesi accordi
in merito.
Riconoscendo che le misure e le iniziative intraprese per risolvere la situazione dei migranti illegali ai sensi di questo Memorandum, non devono intaccare in alcun modo il tessuto sociale libico o minacciare l’equilibrio demografico del Paese o la situazione economica e le condizioni di sicurezza dei cittadini libici.
Sottolineando l’importanza del controllo e della sicurezza dei confini libici, terrestri e marittimi, per garantire la riduzione dei flussi migratori illegali, la lotta contro il traffico di esseri umani e il contrabbando di carburante, e sottolineando altresì l’importanza di usufruire dell’esperienza delle istituzioni coinvolte nella lotta contro l’immigrazione clandestina e il controllo dei confini.
Tenuto conto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale consuetudinario e dagli accordi che vincolano le Parti, tra cui l’adesione dell’Italia all’Unione Europea, nell’ambito degli ordinamenti vigenti nei due Paesi, le due parti confermano il desiderio di cooperare per attuare le disposizioni e gli obiettivi di questo Memorandum, e concordano quanto segue:
Articolo 1:
Le Parti si impegnano a:
A) avviare iniziative di cooperazione in conformità con i programmi e le attività adottati dal Consiglio Presidenziale e dal Governo di Accordo Nazionale dello Stato della Libia, con riferimento al sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari al fine di arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da essi derivanti, in sintonia con quanto previsto dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione sottoscritto tra i due paesi, e dagli accordi e memorandum d’intesa sottoscritti dalle Parti.
B) la parte italiana fornisce sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l’insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica.
C) la parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno.
Articolo 2:
Le Parti si impegnano altresì a intraprendere azioni nei seguenti settori:
1) completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia, secondo quanto previsto dall’articolo 19 del Trattato summenzionato.
2) adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza summenzionati già attivi nel rispetto delle norme pertinenti, usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione Europea. La parte italiana contribuisce, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi.
3) la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza
summenzionati per far fronte alle condizioni dei migranti illegali, sostenendo i centri di ricerca libici che operano in questo settore, in modo che possano contribuire all’individuazione dei metodi più adeguati per affrontare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani.
4) Le Parti collaborano per proporre, entro tre mesi dalla firma di questo
memorandum, una visione di cooperazione euro-africana più completa e ampia, per eliminare le cause dell’immigrazione clandestina, al fine di sostenere i paesi d’origine dell’immigrazione nell’attuazione di progetti strategici di sviluppo, innalzare il livello dei settori di servizi migliorando così il tenore di vita e le condizioni sanitarie, e contribuire alla riduzione della povertà e della disoccupazione.
5) sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine, compreso il rientro volontario.
6) avvio di programmi di sviluppo, attraverso iniziative di job creation adeguate, nelle regioni libiche colpite dai fenomeni dell’immigrazione illegale, traffico di esseri umani e contrabbando, in funzione di “sostituzione del reddito”.
Articolo 3:
Al fine di conseguire gli obiettivi di cui al presente Memorandum, le parti si
impegnano a istituire un comitato misto composto da un numero di membri uguale tra le parti, per individuare le priorità d’azione, identificare strumenti di finanziamento, attuazione e monitoraggio degli impegni assunti.
Articolo 4:
La parte italiana provvede al finanziamento delle iniziative menzionate in questo Memorandum o di quelle proposte dal comitato misto indicato nell’articolo precedente senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato italiano rispetto agli stanziamenti già previsti, nonché avvalendosi di fondi disponibili dall’Unione Europea, nel rispetto delle leggi in vigore nei due paesi.
Articolo 5:
Le Parti si impegnano ad interpretare e applicare il presente Memorandum nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte.
Articolo 6:
Le controversie tra le Parti relative all’interpretazione o all’applicazione del presente Memorandum saranno trattate amichevolmente per via diplomatica.
Articolo 7:
Il presente Memorandum d’intesa può essere modificato a richiesta di una delle Parti, con uno scambio di note, durante il periodo della sua validità.
Articolo 8:
Il presente Memorandum entra in vigore al momento della firma. Ha
validità triennale e sarà tacitamente rinnovato alla scadenza per un
periodo equivalente, salvo notifica per iscritto di una delle due Parti contraenti, almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità.
Elaborato e sottoscritto a Roma il 2 febbraio 2017 in due copie originali, ciascuna in lingua araba e italiana, tutti i testi facenti egualmente fede.
per il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia
Fayez Mustafa Serraj
Presidente del Consiglio Presidenziale
per il Governo della Repubblica Italiana
Paolo Gentiloni
Presidente del Consiglio dei Ministri