Sul caso dell’acciaieria di Taranto viene fuori tutto il peggio degli ultimi governi ed anche di quelli precedenti. All’attuale crisi si arriva infatti senza un piano industriale e con il mercato che schiaccia implacabile il costo di produzione nella più grande acciaieria europea. Per “tirare a campare”, proprio chi urlava “onestà!” ha accordato uno scudo penale a chi, già al tavolo con il governo precedente, si accollava di mandare avanti la fabbrica di acciaio e tumori. Una sorta di licenza di uccidere come per l’agente 007. Ma basata sulla responsabilità al predecessore Ilva – come da buona scuola politica, la colpa è sempre e solo di chi c’era prima – e sul tempo previsto dall’accordo per gli interventi in materia di sicurezza ed inquinamento allo stabilimento. L’acciaieria è in deficit produttivo costante rispetto al piano industriale e l’impresa non è un affare per la ArcelorMittal. Arriva anche la responsabilità penale per l’azienda e mentre a Taranto si continua a morire per le emissioni della bomba ambientale, uno dei suoi forni è sotto sequestro della magistratura per una morte sul lavoro.
In qualunque modo decide di agire il Governo, sbaglia. La reintroduzione dello scudo penale per rassicurare la multinazionale farebbe il pari con gli accordi con le milizie libiche che trattengono i migranti. La perdita di 5.000 posti di lavoro, come da piano esuberi presentato da ArcelorMittal, sarebbe per il Governo una crisi devastante cui difficilmente potrebbe farvi fronte sul piano economico. Neanche l’addio del colosso franco-indiano con sede in Lussemburgo è un’emergenza che questo Governo può affrontare, avendo firmato il contratto predisposto dal precedente esecutivo – il Governo Gentiloni – senza prevedere un piano B per Taranto in caso di fallimento. In realtà, è dai tempi della cosiddetta “prima Repubblica” che non si vede qualcosa anche vagamente somigliante ad un piano industriale per il Paese. Adesso però si acuisce la crisi a causa di chi nella sua rivelazione al mondo ha sempre e solo proposto ipotesi inattuabili spacciate per soluzioni studiate scientificamente e quindi infallibili. Dopo la Tap e la Tav, al Movimento rimaneva soltanto Taranto per mantenere un frammento di una stellina. Lo sguardo basso ed imbarazzato di Luigi Di Maio, allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, mentre i comitati gli sbattevano in faccia i dati sull’inquinamento peggiorati rispetto a quando l’acciaieria era Ilva, avevano già detto tutto sulle idee pentastellate con cui affrontare il problema.
Il M5S, come colpito da un disturbo cognitivo, ha tolto lo scudo penale alla ArcelorMittal, poi ha ritrattato assicurandolo con un emendamento apposito, infine si è perso in mezzo al coro di partiti i cui leader li bastonano per non aver garantito al lussemburghese colosso dell’acciaio il diritto di continuare a far produrre un impianto non a norma e devastante per il territorio. Perfino sul fronte opposto, quello che riguarda i produttori a basso costo di acciaio, mentre governo dopo governo tutti firmavano felici in nuovi trattati internazionali in materia di scambi commerciali, nessuno pensava a cosa fare delle industrie italiane. L’arrivo di produzioni estere troppo competitive avrebbero inevitabilmente destituito l’industria nazionale, ma un programma a lungo termine non è stato prodotto da nessuna formazione politica. Adesso, miope come non mai, la classe politica nazionale si trova ad affrontare l’ultima grande prova: gli effetti delle politiche dei dazi di Donald Trump. La chiusura del mercato americano ha fatto crollare i prezzi delle superproduzioni orientali, e questo eccesso di produzione rischia adesso di travolgere l’intera Unione europea. Effetti devastanti come quelli di Taranto sul piano occupazionale. Una città di meno di 200mila abitanti che perde 5mila posti di lavoro in un sol colpo è una città in grave emergenza. Di contro, nessuno sembra avere una proposta da mettere sul tavolo e con la quale prendere al balzo lo spegnimento dei forni ed affrontare l’emergenza Taranto nel suo insieme. Senza nuove licenze di uccidere.