di Mauro seminara
L’esperienza triennale del Memorandum Italia-Libia, su cui ieri il ministro Luciana Lamorgese ha relazionato al question time della Camera, è positiva e va migliorata con tre principali punti di intervento. Questa la sintesi assoluta dell’intervento del ministro dell’Interno in Parlamento. Certo, il ministro ammette che bisogna rafforzare le iniziative a favore dei diritti umani in Libia, principalmente nei centri di detenzione, ma tutto sommato per Luciana Lamorgese pare andare tutto bene. L’articolo 3 del Memorandum firmato il 2 febbraio 2019 prevede il miglioramento di alcuni aspetti previsti a grandi linee dall’accordo ed il ministro ne propone alcuni ai parlamentari italiani. “Il primo riguarda i centri di detenzione dei migranti in Libia”, annuncia Lamorgese definendo appunto “centri di detenzione” quelli in cui i libici trattengono le persone perché non abbiano a disturbare le coste dell’Unione europea. L’obiettivo, per Luciana Lamorgese, è quello di migliorare le condizioni dei centri secondo standard italiani. Ma un miglioramento in vista della graduale chiusura dei centri esistenti “per giungere progressivamente a vedere centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite”.
Il secondo intervento proposto ieri all’aula della Camera da Luciana Lamorgese riguarda i canali umanitari. “In particolare – precisa Lamorgese – intendo proporre l’Italia quale attore protagonista del coinvolgimento di altri Stati membri per l’attuazione dei corridoi umanitari europei con la regia ed il finanziamento dell’Unione europea”. Corridoi umanitari che il ministro propone di avviare anche da altri Paesi in modo da ridurre la pressione di spinta migratoria in Libia. Poi, ovviamente, l’UNHCR dovrebbe convincere i migranti all’origine che non è il caso di migrare verso la Libia. Magari enunciando i lati positivi di ciò che rimane del loro territorio o gli orari in cui milizie terroriste attaccano i loro villaggi paragonati agli orari in cui nei lager libici seviziano i detenuti. Fortunatamente per Luciana Lamorgese il Memorandum non è e non può essere l’unico strumento italiano per la gestione dei flussi migratori ed auspica che il Paese, “moderna democrazia” si possa avvalere di strumenti ordinari. Forse alludeva a visti concessi ai migranti da parte degli Stati membri, oppure a come chiedere protezione nel proprio Paese mediante l’UNHCR invece di ricevere dall’UNCHR rassicurazioni sul fatto che la Libia è peggio del Paese di origine. Ma il ministro non lo ha specificato.
Il terzo punto enunciato dal ministro è il rafforzamento, con il sostegno dell’OIM (l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni delle Nazioni Unite), dei confini meridionali della Libia. Infine, sempre con i fondi dell’Unione europea ad hoc versati dagli Stati membri, secondo Luciana Lamorgese bisogna intervenire con la fornitura di materiale ed apparecchiature mediche ed ospedaliere, automezzi di soccorso e materiale per scuole. Aiuti alla Libia che secondo il neoministro Luciana Lamorgese dovremmo adoperarci perché arrivino, mentre fino ad oggi la priorità è stata data ad aiuti militari con motovedette e navi di supporto. Nel suo insieme, l’intervento di Luciana Lamorgese non ha detto nulla più di quanto ogni parlamentare poteva già sapere mediante la lettura dello stesso Memorandum Italia-Libia attuato dal governo Gentiloni.
Non una parola sul principio di respingimento dei migranti, essendo ancora come da contorni tracciati dallo stesso ministro, la Libia un Paese su cui c’è ancora molto da lavorare per la comprensione ed il rispetto dei diritti umani. Non una parola sui “porti sicuri” della Libia, né una informativa sulle ipotesi di diffusa corruzione tra i delegati dell’UNHCR e OIM cui viene affidata l’ispezione dei centri di detenzione. Non una parola sulle milizie con cui il Memorandum ci impegna a collaborare, e neanche su quella specifica del cosiddetto “comandante Bija” causa del quale due giornalisti italiani in più vivono oggi sotto protezione. Neanche un accenno al rispetto delle normative internazionali che l’attuazione del Memorandum viola costantemente. Infine, assente anche un accenno al costo per l’Italia del flusso migratorio paragonato a quello per il sostegno alla Libia fino ad ora finito soltanto a sostegno delle milizie di una sola parte della Libia.
Per il ministro Luciana Lamorgese bisogna mantenere e difendere il Memorandum Italia-Libia con tutto quello che comporta il mantenimento di un accordo bilaterale la cui validità è venuta meno con la guerra che dopo due anni dalla ratifica si è accesa nel Paese ed il fatto che proprio tale guerra impedisce lo sviluppo delle azioni di sostegno previste dallo stesso memorandum. Chi si aspettava repliche in aula sarà rimasto altrettanto deluso. Il primo iscritto a parlare dopo il ministro è stato Cabras del Movimento 5 Stelle, seguito poi da Molteni della Lega. Il leghista è intervenuto chiaramente per non disperdere la propaganda del suo “Salvini premier”, sottolineando che alcuni meriti sono da ascrivere alla Lega e non al Memorandum ratificato prima che essa andasse al governo per un anno e poco più. Il dato principale, che alla Lega può dar fastidio sentir pronunciare, è quello di continuità della riduzione sbarchi avviata con il Memorandum di Gentiloni e Minniti – il 95% dall’entrata in vigore dell’accordo Italia Libia nel 2017 al 2019 – che toglierebbe ogni merito di “fine pacchia” per i migranti all’ex ministro Matteo Salvini.
Per Luciana Lamorgese però, come per Minniti e Salvini, la priorità ce l’ha il dato assoluto sugli arrivi e sulle morti in mare, non la sorte cui il Memorandum Italia-Libia costringe i migranti e neanche l’esponenziale aumento percentuale delle vittime della traversata nel Mar Mediterraneo. Infine, neanche un cenno alla sedicente guardia costiera libica ed all’uso che fa delle armi oppure alla sovrapposizione tra guardacoste e trafficanti relazionata dalle Nazioni Unite. D’altro canto, è sempre la politica che per non perdere posti di lavoro autorizza una multinazionale ad avvelenare ed uccidere persone con uno stabilimento non a norma: si chiama “scudo penale”. Lo stesso principio secondo cui il “preminente interesse nazionale” avrebbe dovuto autorizzare l’ex ministro dell’Interno a violare la legge come più gli andava a genio.
Alla fine della giornata, neanche a dirlo, silenzio sul codice di condotta imposto da Tripoli e sulle ONG.