Ieri mattina, intorno alle otto, la nave Ocean Viking aveva salvato 94 persone a 42 miglia nord di Zawia. I naufraghi, in evidente grave pericolo, si trovavano in acque internazionali accalcati su un gommone privo di ogni umano requisito di sicurezza. Rischiavano la vita 77 uomini, 11 donne e 6 bambini. Quattro delle 11 donne in gravidanza, quattro dei bambini ancora in fasce. Al termine dell’operazione SAR, la Ocean Viking ha comunicato con la Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo della Libia per la richiesta di un “porto sicuro” di sbarco. Porto che ovviamente può essere indicato dalla Libia ad esito di una richiesta presso altri Paesi con cui la sala operativa libica ha il dovere di comunicare per la soluzione del soccorso. Rispetto ad altri analoghi episodi, in cui la Libia si ostinava ad indicare alle ONG Tripoli quale “porto sicuro”, circa tre quarti d’ora il soccorso della Ocean Viking, la nave è stata contattata via radio dalla sala operativa del Libyan Navy & Coast Guard (LNCG) che ha ordinato l’allontanamento verso nord.
Non è ancora chiaro se la Libia, con questo ordine, sta attuando i principi di condotta annunciati con il “Codice di condotta” libico per le ONG. La nave delle organizzazioni non governative SOS Mediterranee e Medici Senza Frontiere ha comunque lasciato l’area SAr della Tripolitania spostandosi a nord di Khoms. Sappiamo però che dopo l’ordine di allontanarsi impartito dalla Marina della Libia alla Ocean Viking, questa è stata nuovamente contattata per i dettagli sul soccorso effettuato. Anche in questo caso, la sala operativa della Marina libica ci ha pensato su una mezz’oretta prima di chiedersi e chiedere quante persone erano state salvate e dove. La bocciatura in Europarlamento della proposta avanzata dalla Commissione Libertà civili sull’intervento europeo in mare, e la proroga italiana del Memorandum Italia-Libia, hanno prodotto la tacita accettazione del Codice di condotta annunciato a settembre da Fayez al Serraj. Secondo la sequenza di regole per le ONG, che tanto somiglia a quello italiano dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, le navi umanitarie sarebbero potenziale oggetto di azioni di pirateria da parte dei libici senza che esse possano rifiutarsi.
Italia ed Europa hanno taciuto sulle regole d’ingaggio in caso di attuazione del Codice libico con azioni di pirateria a bordo delle navi ONG, che battono bandiera di Paesi dell’Unione europea. Il pericolo è infatti che in caso di incursione a bordo da parte di sedicenti guardacoste libici, magari con pretese di arresto e sequestro della nave, in acque internazionali che non estendono all’area SAR la “giurisdizione” delle milizie che Tripoli spaccia come guardia costiera, le navi delle Marine militari europee in zona possano omettere l’intervento in soccorso per osservanza di un “Codice” adottato dalla Libia e privo di ogni valore legale sul piano internazionale. La ocean Viking si trova attualmente a circa trenta miglia nord di Gasr Garabulli e Khoms, ancora sotto la portata delle guardie costiere di Tripoli ed a breve distanza dal confine tra la regione della Libia del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al Serraj e quella dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. A bordo ci sono persone estremamente vulnerabili ed attualmente non risulta l’assunzione del coordinamento da parte della sala operativa italiana né di quella maltese. La permanenza della nave in area SAR, e le ricognizioni dei velivoli della missione europea sulla stessa area del Mediterraneo centrale di competenza soccorso libico, lasciano presumere nuove barche cariche di migranti in mare grazie alle schiarite condizioni meteo marine.