di Mauro Seminara
Siamo abituati al linguaggio di Beppe Grillo, e non è il turpiloquio a dover fare effetto. Piuttosto è ciò che ha affermato ieri sul cambiamento del Movimento 5 Stelle che atterrisce. Il Movimento non è più quello di dieci anni addietro e gli elettori pentastellati se ne devono fare una ragione. Questa la sintesi dell’intervento di uno dei fondatori del M5S in difesa, ancora una volta, del vuoto ma blindato Di Maio quale capo politico di un Movimento che non è più lo stesso. Tutto viaggia alla velocità della luce, con scandali, inchieste, crisi, battibecchi politici, accuse reciproche e teatrini di ogni sorta, dalla farsa all’opera. Per gli elettori è quindi difficile tenere in fila idee e ricordi. Sembra trascorsa una vita intera, eppure le elezioni politiche si sono tenute soltanto un anno e mezzo fa.
A quel tempo c’era chi correva da solo per aprire il Parlamento come una scatoletta, ma aveva già dimenticato i buoni propositi di trasparenza, le dirette streaming e la partecipazione politica in quel fatidico “uno vale uno” messo adesso definitivamente da parte con un chiaro “non rompete i coglioni” ed annesso “fatevene una ragione”. Ma a quel tempo c’era anche il Partito Democratico che scaricava la sua potenza di fuoco mainstream solo ed unicamente sul Movimento 5 Stelle, lasciando che l’onnipresente Matteo Salvini – ospite di tutti i programmi radio e Tv oltre che fisso in prima pagina sui giornali – passasse dal 4% al 17% delle politiche. E c’era la Lega che provava ad andare al Governo con la coalizione di centrodestra per poi entrare in maggioranza – inciucio per le poltrone? – con un’alleanza fatta proprio con chi non intendeva allearsi con nessuno.
Sembrano decenni, ed invece è solo un anno e poco più. Ma vale comunque la pena ricordare chi erano e chi sono i “grandi statisti” di oggi. A cominciare dal Luigi Di Maio che emulando Matteo Salvini preferisce il tour elettorale al sud Italia, da ministro degli Esteri e non più dello Sviluppo economico, invece di partecipare al G20 in Giappone. Quello stesso Luigi Di Maio che, insieme al suo impetuoso alter ego Alessandro Di Battista, avrebbe fatto un pandemonio se un ex ministro del PD avesse tenuto un immobile per comodità ma non più spettante; come nel caso della pentastellata Elisabetta Trenta. Quel Di Maio li non si sarebbe mai alleato con chi deve 49 milioni di euro allo Stato, agli italiani. E sugli F-35 avrebbe dato vita ad una protesta in aula da aperture di tutti i giornali del pianeta, invece di abbozzare tacitamente sui miliardi che stiamo investendo in un progetto che vale e funziona come il Mose di Venezia.
La casta era l’ossessione dei “grillini”. Poi, la casta pentastellata ha iniziato a spartire torte ed appartamenti e gli elettori non devono rompere i coglioni ai manovratori. Tra i manovratori odierni ci sono anche i dem del Partito Democratico. Gli stessi che hanno avviato la guerra alle navi Ong e gli accordi con clan, tribù, trafficanti e criminali vari in Libia. Gli stessi che mentre erano all’opposizione e Matteo Salvini bevacchiava al Papeete campando di rendita con il lavoro fatto del dem Marco Minniti, stavano a bordo delle navi insieme ai naufraghi e criticavano il leghista fingendo di non ricordare che i primi a tentare la chiusura dei porti erano stati proprio loro. Un anno fa, apriti cielo se nel giro di pochi giorni si fossero susseguiti naufragi nel Mediterraneo centrale come sta accadendo adesso. E tuoni e fulmini se delle navi Ong fossero rimaste in mare, dopo giorni dal soccorso ai naufraghi, con mare molto mosso ed onde alte più di quattro metri.
E che dire se un partito politico di stampo sempre più distintamente fascista fosse andato al Governo? Grillini nelle piazze come sardine. Ma quelli che oggi se ne devono fare una ragione di questo cambiamento forse non ricordano il silenzio pentastellato sulla professoressa di Palermo sospesa perché non ha preventivamente censurato una interpretazione dei suoi studenti da esporre in classe (e non certo in concorso al Miur). Caso che nulla ha a che vedere con quello odierno del professore simpatizzante della Lega, di Casa Pound e della “retorica fascista” in generale, che ha minacciato i suoi studenti nel caso avessero partecipato ad un flash mob delle sardine. In questo anno e mezzo di estremi cambiamenti, che tanto sembra un decennio e mezzo per quanto il punto di partenza appare ormai lontano, tra una impreparazione politica cui mettere pezze sui social ed una sequenza drammatica di calamità naturali – ed industriali – che affligge il Paese, il fascismo viene sdoganato con buona pace di tutti.
Un sindaco, che si era inginocchiato meschino al cospetto del suo ducetto prima di divenire primo cittadino, si da del cretino per la vicenda della cittadinanza onoraria a Liliana Segre; ma solo dopo il rifiuto del cittadino onorario di rimpiazzo. Intanto la fascistata da negazionista l’ha fatta. Un professore minaccia ripercussioni scolastiche per le scelte extrascolastiche dei suoi alunni; poi invia lettere a tutti i giornali per scusarsi. Intanto il podestà di classe aveva già messo la camicia nera. Un fanatico leghista supera i suoi pari con una “palla in fronte” alla donna che ha querelato il suo carismatico leader dei gattini, e nessuno si preoccupa della società che il grande avvelenatore di pozzi, insieme alla sua fedele scudiera ex missina, sta costituendo. Tarallucci, vino, promesse di nuovi contratti di governo dopo che il Governo è già stato avviato, e gli elettori se ne devono fare una ragione senza rompere i coglioni. Uno vale uno, certo. Ma uno della casta vale quanto uno del popolo?
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