di Mauro Seminara
Chi va per mare nel Mediterraneo sa bene che la flotta dei pescherecci di Mazara del Vallo è la più resistente alle burrasche. Quindi sa anche che se i loro pescherecci interrompono le battute di pesca per riparare a Lampedusa vuol dire che il mare è letteralmente impraticabile. E davanti Cala Creta c’erano già lunedì una quindicina di pescherecci oceanici di Mazara del Vallo. La Guardia Costiera non ha potuto proseguire nelle ricerche e le raffiche di vento, previste in circa 80 chilometri orari, hanno impedito anche all’elicottero del Corpo di soccorso di procedere con voli di ricognizione. Gli stessi voli che hanno permesso la localizzazione di quattro dei cinque corpi delle vittime. Il quinto è stato rintracciato dai militari della Guardia di Finanza di Lampedusa che, tra vento e rovesci temporaleschi, hanno comunque perlustrato da terra qualche chilometro di costa, metro per metro. Cinque donne sono tutto ciò che il Mar Mediterraneo ha deciso di lasciare a testimonianza della tragedia occorsa sabato pomeriggio a pochissime centinaia di metri da Lampedusa. All’appello mancano ancora circa quindici persone. Ufficialmente disperse, sicuramente morte.
Le proibitive condizioni meteo marine impediscono le ricerche degli altri dispersi. Rimangono così in mare altri corpi, senza nome, di persone che tentavano di migrare con l’unico canale a loro concesso. Propaganda ed ignoranza a parte, alle persone che si trovavano sulla barca naufragata sabato 23 novembre a Lampedusa non è stato concesso un visto per l’Europa ed in molti casi non avevano neanche un consolato presso cui farne richiesta. Questo, prima di tutti gli altri, è il motivo per cui partono con carrette del mare stracariche e muoiono in naufragi che si potevano evitare. Le immagini che la Guardia Costiera ha diffuso ieri – bentornato ufficio relazioni esterne delle Capitanerie di Porto! – mostrano i volti delle persone finite in mare, la loro paura e quella dei guardacoste, saturi di adrenalina e chiamati a rischiare anche la vita per salvarne altre. Momenti di panico, bambini strappati alla morte, urla ed onde alte più di due metri che ad intermittenza coprono la visuale del Rescue Swimmer, il soccorritore marittimo che dal mare sfida la morte sfilandole di mano la preda. In fondo al mare però ci sono altri uomini, donne e bambini.
Tra i superstiti c’è un ipovedente, dei novelli orfani, dei bambini miracolosamente salvati dall’esperienza e dal coraggio dei guardacoste ed in particolare del loro soccorritore marittimo saltato in mare con la sua muta da sub arancione. Tra le vittime ci sono uomini e donne che nutrivano ancora speranza per il futuro e che credevano di aver raggiunto l’Europa sani e salvi malgrado le condizioni meteo in netto peggioramento. A bordo di una barchetta di una decina di metri, la cui larghezza potrete comprendere dal bordo di poppa che vedrete nel video a seguire, c’erano 170 persone salpate da Zuwara. Sempre lo stesso porto libico in cui i trafficanti fanno quello che vogliono, come i pistoleri nei film western. Le operazioni militari italiane, gli accordi bilaterali, i “Memorandum” e tutte le azioni politiche in partnership con il Governo di Tripoli sembrano produrre solo contenimento delle partenze ma mai “lotta al traffico” come da motivazioni delle missioni. Intanto, una barchetta di dieci metri che in pieno inverno era miracolosamente giunta fino ad 800 metri da Lampedusa, si è capovolta sotto gli occhi dei soccorritori come era già accaduto il 6 ottobre.
Quello che sappiamo, fino ad oggi, è che sono stati recuperati i corpi di 5 donne, due dei quali poco più tardi dell’articolo pubblicato domenica sul recupero di tre vittime ad opera di Guardia Costiera e Guardia di Finanza. I dispersi sono quindi ancora 16, su un totale di 21 (uno in più di quanto annunciato il giorno del naufragio con un nostro articolo). Anche questa volta c’è stata leggerezza sui numeri che rimbalzavano come puntate da Enalotto. I corpi recuperati, inizialmente soltanto tre, erano già sette per la stampa che lanciava numeri e numeretti senza però offrire la dovuta visibilità all’ennesimo naufragio occorso nel Mediterraneo. Adesso, in fondo al mare di Lampedusa, ad aggiungersi ai tre corpi non recuperati del naufragio del 6 ottobre, ci sono altre cinque donne ed 11 uomini. Le donne disperse erano infatti inizialmente dieci, provenienti da Eritrea, Libia, Nigeria e Marocco. Gli uomini dispersi sono undici e provenivano da Eritrea, Algeria e Marocco. Tra i dispersi ci sono anche genitori di figli che devono accettare la loro dipartita, superstiti senza padre e madre in un luogo sconosciuto di una nazione sconosciuta ed anche poco accogliente. Figli orfani e traumatizzati di un futuro incerto.
Tutti in mare, tra le onde alte e gelide, 170 persone. In salvo 149, nello specifico: 9 donne, 19 minori non accompagnati, 7 accompagnati. Ma fino a pochi minuti prima erano 170 migranti davanti la porta d’Europa che Lampedusa rappresenta. Le loro nazionalità: 56 Eritrea, 33 Pakistan, 29 Algeria, 9 Bangladesh, 7 Marocco, 6 Somalia, 3 Egitto, 2 Libia, 2 Tunisia, 1 Nigeria, 1 Etiopia. Cinque invece le bare a Lampedusa. Nel caso del naufragio del 6 ottobre sono state inviate sull’isola da quel Governo che continua ad aggredire le ONG, impegnate a vite in mare, ed a sostenere che meno partenze equivale a meno morti. Le aveva consegnate un C-130 dell’Aeronautica Militare, le bare, perché a Lampedusa non ce ne erano abbastanza. Il tema, più che ridondante, per la classe dirigente rimane quello del “blocco delle partenze”, come se fosse possibile chiudere completamente le porte delle migrazioni. Confinare chi ha bisogno, o anche solo voglia, di lasciare il proprio Paese è l’unica idea di chi governa. Poi però si va incontro a costi esorbitanti per cercare morti e dispersi invece di affrontare costi minori e piani di sviluppo che includono migranti giunti in Italia con voli di linea. Aerei della Guardia di Finanza, aerei ed elicotteri della Guardia Costiera, motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, nave ed elicottero della Marina Militare, soccorritori e personale marittimo in generale che rischia la vita alzando all’infinito il costo delle operazioni di soccorso ad una barca naufragata sembrano essere un impegno di spesa – economica e di vite umane – sostenibile per chi propaganda con la chiusura dei confini le proprie capacità politiche.
Nel video che segue sono contenute immagini girate dal “Rescue Swimmer” della Guardia Costiera, foto scattate dal Cisom al momento dello sbarco dei superstiti (incluso il bimbo che si vede strappato dal mare durante il soccorso), il cadavere di una donna recuperato tra i rifiuti di una caletta di Lampedusa fotografato e pubblicato dal blog laroccia.net, immagini dei resti del naufragio e del recupero di un’altra delle vittime realizzate da Mediterraneo Cronaca e da Mauro Buccarello. Pubblicare questo video è forse uno dei pochi modi con cui far comprendere l’errore madornale che la nostra società sta commettendo e perpetrando ormai da anni. La visione del video dovrebbe essere sconsigliata ad un pubblico facilmente impressionabile, ma un po’ di sana “impressione” forse non guasterà. Anzi, rende queste persone vere. Non dei miserabili numeri per nazionalsovranisti.