Il Consiglio presidenziale libico ed il Parlamento turco hanno approvato ieri il Memorandum d’intesa tra i due Paesi per la collaborazione marittima che estende di fatto la giurisdizione della Marina militare di Erdogan al mare della Libia. Negli stessi giorni, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan invitava il presidente libico di Tripoli, Fayez Al-Serraj ad Istanbul per firmare i due documenti che compongono il Memorandum già redatti e pronti sul tavolo, il presidente francese Emmanuel Macron ritirava la promessa di fornire motovedette al Governo di Accordo Nazionale di Serraj. Nobile la motivazione sulle violazioni dei diritti umani in Libia ad opera dei guardacoste che avrebbero beneficiato dei nuovi mezzi navali francesi, ma la realtà è che tali violazioni avvenivano già, quando ben consapevole della realtà libica, l’Eliseo si era impegnato a fornire le barche. Sempre negli stessi giorni, Erdogan e Macron non se le sono mandate a dire, sfociando perfino in offese personali con il presidente francese che criticava pesantemente la Nato – di cui la Turchia è per presenza militare ed armamenti del Patto Atlantico la seconda potenza mondiale – e per risposta il presidente turco rivolgeva l’accusa francese di “morte cerebrale” dell’alleanza al mittente. Erdogan ha effettivamente dato a Macron del “morto cerebrale”.
Il conflitto Francia-Turchia in Libia
Accade tutto esattamente negli stessi giorni. Una fitta sequenza di eventi in cui la mossa di Recep Tayyip Erdogan destabilizza drasticamente gli equilibri in Libia, dove i due presidenti – quello turco e quello francese – sono schierati militarmente e su opposti fronti. Macron sostiene militarmente il fronte dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. La partecipazione bellica francese non è un segreto neanche per le Nazioni Unite, latitanti o poco determinate nell’ottenere un embargo sulle armi in Libia ed un ritorno alla vera guerra civile. Erdogan è invece presente a Tripoli con i suoi armamenti e patteggia per il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez Al-Serraj. Due Paesi armati fino ai denti che combattono una guerra nel territorio “neutrale” della Libia. Adesso però il presidente turco tira fuori un asso dalla manica ed ottiene che le proprie navi militari possano operare in acque territoriali libiche su mandato del presidente, riconosciuto dalla comunità internazionale, della Libia che nel caso di Serraj si chiama giusto Tripoli e dintorni. Un potenziale schieramento di sistemi antiaerei ed antimissili turco pronto a colpire cacciabombardieri francesi e non soltanto quelli.
L’Italia confida in Berlino e tace su Memorandum
L’Italia si trova in questo momento a fare la figura che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha appena fatto in conferenza stampa al cospetto del collega russo Sergej Lavrov. Evasa la domanda sull’estensione dei confini marittimi della Turchia nel Mediterraneo a nord della Libia con il Memorandum appena approvato dai due rispettivi parlamenti, il piccolo Di Maio si è limitato a distogliere l’attenzione rispondendo soltanto su quel che riguarda la Libia. Ma anche su questo aspetto è stata debole la risposta, fondamentalmente incentrata sul confidare ormai unicamente su Berlino e l’incontro che i tedeschi stanno tentando di organizzare per trovare un accordo tra le due fazioni.
Ma, a fronte di un’Italia modestamente accodata alla Germania anche sulla politica estera che riguarda la Libia, come palesato da Di Maio, dall’omologo russo è arrivata una pesante pungolata sui precedenti tentativi diplomatici – Roma e Parigi – a cui non sono stati invitati a prendere parte alcuni importanti attori che in Libia hanno interessi e stanno adesso operando militarmente, come ad esempio la Russia. Nel caso però bisogna notare, dettaglio di non poco conto, che il Cremlino è schierato dalla parte della Cirenaica del generale Haftar. Quindi, Mosca combatte contro Ankara, che in Medio Oriente è molto vicina – in qualità di potenza della Nato – alla Russia e sta combattendo una invasione della Siria, alleata quest’ultima della Russia che la protegge da quando gli Stati Uniti hanno tentato di rovesciarne il Governo. La Libia sta lentamente, ma inesorabilmente, scivolando sotto il controllo totale di Haftar, che tra le due fazioni è quella che vanta adesso gli alleati più potenti. Serraj intanto viaggia più di un tour operator in cerca di nuovi alleati e protettori. Alla Turchia ha concesso il proprio mare, mentre non è ancora chiaro cosa ha messo sul tavolo all’incontro con l’emiro del Qatar.
Squilibri per la Libia anche in Medio Oriente
Il ministro degli Interni libico Fathi Bashagha si è recato a Doha, in Qatar, mercoledì ed ha incontrato l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani. Questi, il padrone di casa, rappresentante di uno Stato più volte accusato di finanziare i terroristi in Medio Oriente e di fornire loro le armi con cui è stato anche sostenuto il conflitto in Siria, ha garantito il proprio totale appoggio alla Libia di Tripoli. Appoggio che non è stato gradito dalla comunità araba capeggiata in questo caso da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. Ritorna quindi lo stesso Egitto di Al-Sisi che ha subito aggredito il Memrandum Turchia-Libia definendolo illegale. Altro Paese che non intende accogliere l’accordo bilaterale tra Turchia e Libia è la Grecia, anch’essa in mezzo ai due Paesi adesso alleati militarmente in mare, che ha mantenuto la promessa fatta circa l’espulsione dell’ambasciatore della Libia ad Atene. L’ultimatum per l’Ambasciata libica era fissato per giovedì 5 dicembre, ed alla mezzanotte non era stato fornita al governo greco una copia del Memorandum firmato da Erdogan e Serraj ad Istanbul. Trascorsa la mezzanotte senza ricevere alcun documento, in data odierna, 6 dicembre 2019, la Grecia ha espulso l’ambasciatore libico.
Gli interessi italiani compromessi
Per il ministro degli esteri italiano si tratterebbe di un accordo di mera natura commerciale. Così ha liquidato la risposta oggi al cospetto di Lavrov. Poi ha aggiunto i soliti impegni sulla via diplomatica quale unica soluzione in Libia, escludendo quindi l’ipotesi militare. Un’esclusione paradossale, ancor più che l’Italia è presente in Libia con navi e truppe di terra e malgrado la presenza militare e gli accordi storici con milizie locali, l’ENI è stata oggetto di bombardamento prima, presso il giacimento – il più grande della Libia – di El Feel, e di una chiusura “pirata” delle valvole dopo. Il risultato è che dopo lo spostamento in “aree più sicure” del personale che lavorava ad El Feel, qualcuno ha chiuso i rubinetti interrompendo il flusso di greggio che dal giacimento va verso la raffineria di Mellitah, dove l’ENI opera in concessione partnership della NOC (National Oil Company libica). L’Italia è quindi schiacciata tra la Francia e la Russia, con riguardo ulteriore dovuto agli Stati Uniti, ad Israele ed all’Egitto. Tutti Paesi presenti in maniera attiva nel conflitto libico su cui adesso arriva il colpo di coda di Erdogan.
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