di Vittorio Alessandro
Cinquant’anni fa, il 12 dicembre 1969, a Milano una bomba fece 17 morti e 88 feriti. Le indagini vennero subito orientate verso gli anarchici, e due di loro, Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, furono arrestati insieme ad altri: il primo, sottoposto a un violento linciaggio mediatico, trascorse quasi tre anni in carcere; Pinelli fu scaraventato sulla strada da una finestra al quarto piano della questura dove era illegittimamente trattenuto.
Trentasei anni dopo, la Cassazione chiuse una vicenda giudiziaria vergognosa e assurdamente coperta dal segreto di Stato, sentenziando finalmente che i colpevoli della strage erano stati uomini della destra eversiva; nessuno, però, scontò condanne.
Giuseppe Pinelli, ex partigiano ferroviere, fu la diciottesima vittima di quel cupo coacervo di assassini e di funzionari traditori. Era una persona per bene, un militante della libertà, e il torto della sua vita spezzata generò altro sangue, altre indagini contorte, altra ingiustizia.
Dicono che gli italiani siano diffidenti dello Stato e delle sue istituzioni, io credo che molte radici di tanta sfiducia affondino tuttora proprio in quel lontano 12 dicembre.