di Mauro Seminara
In Commissione Affari Esteri, presso la Camera dei deputati, si è tenuta oggi l’audizione di Jean Paul Cavalieri, capo della missione in Libia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). L’audizione di Cavalieri ha avuto luogo nell’ambito “dell’indagine conoscitiva sulla politica estera dell’Italia per la pace e la stabilità nel Mediterraneo”. I lavori previsti per le 14 in aula hanno reso stretti i tempi per la Commissione, convocata per le 13 e presieduta da Piero Fassino, vicepresidente (PD) al posto della presidente Marta Grande (M5S). Aula di Commissione quasi deserta e tra i pochi presenti pochi interventi interlocutori con il capo missione dell’Unhcr in Libia. Tra questi, presenti e critici, Laura Boldrini (già portavoce dell’Unhcr e responsabile per l’Italia), Gennaro Migliore e Andrea Romano che hanno posto domande su temi glissati da Cavalieri o comunque poco dettagliati. Assente ai lavori di commissione tutta la componente di centrodestra con gli onorevoli della Lega, Forza Italia, Movimento 5 Stelle ed anche l’ex ministro dell’Interno e parlamentare del Partito Democratico onorevole Marco Minniti.
Jean Paul Cavalieri ha esposto in modo sommario il contesto libico, senza entrare nel merito o fornire cifre dettagliate sul numero di sfollati, vittime di abusi, previsioni a breve termine ed altre utili informazioni in un momento in cui la Libia risulta essere al centro di una delle più gravi crisi del Mediterraneo. Perfino sulla rinomata sedicente “guardia costiera”, la posizione di Cavalieri è parsa di sufficienza, a tratti con termini poco consoni alla missione che una Guardia Costiera è tenuta a svolgere ed ai modi con cui lo deve fare. Nella sua prima esposizione sembrava addirittura più interessato a ringraziare l’Italia per il contributo economico e strategico offerto all’Unhcr, ed alla richiesta di ulteriori risorse per interventi verso i migranti liberi nei sobborghi di Tripoli, che al Memorandum Italia-Libia ed al funzionamento dei minimi presupposti perché questo possa incontrare l’approvazione dei trattati internazionali. Sul caso sono state preziose le domande di Laura Boldrini, Gennaro Migliore e Andrea Romano. Quest’ultimo ha infatti esplicitamente chiesto come, a giudizio di Cavalieri, si comporta la cosiddetta guardia costiera.
Tra i quesiti esplicitamente posti al capo missione dell’Unhcr in Libia c’è stato quello sul tanto dibattuto “place of safety” (POS), cioè, se a suo avviso la Libia può essere considerata un “porto sicuro”. La risposta di Jean Paul Cavalieri, che non era rientrata nella sua prima esposizione, è stata chiara: “La Libia non è un porto sicuro e non è un porto in cui le navi europee dovrebbero sbarcare profughi o migranti”. La Libia descritta da Cavalieri è infatti un luogo in cui l’Unhcr teme il terrorismo anche più della guerra tra l’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Haftar ed il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez Al Serraj. In Libia, sempre secondo Cavalieri, le milizie sono state assunte dal Ministero degli Interni libico per combattere contro Haftar ed all’Unhcr è stato detto di non “interferire” con esse. Malgrado avesse inizialmente sorvolato sul caso, alla domanda di Andrea Romano sopracitata, il capo missione ha risposto con una premessa sui “tanti problemi” che rappresenta la guardia costiera libica composta anche da milizie; confermando la frequente sovrapposizione tra i guardacoste ed i trafficanti di esseri umani.
“Nella Guardia Costiera libica ci sono persone che sono in liste di sanzioni dell’ONU“, ha risposto Cavalieri confermando la presenza di soggetti come il “comandante Bija” di cui si sono occupati giornalisti italiani adesso sotto protezione proprio per le minacce ricevute dal libico sedicente guardacoste. Ma questo non è l’unico male che arriva dal “corpo” dello Stato libico – in realtà frammentate milizie di un frammentato Paese – e che l’Italia della propaganda politica omette spesso e volentieri malgrado le innumerevoli denunce. “Ci sono stati rapporti che dicono che sia stato fatto uso di violenza irragionevole quando sono stati fermati i barconi”, ha dichiarato Cavalieri in risposta alla domanda di Romano e proseguendo con un però tragico appunto: “D’altra parte noi lavoriamo con la Guardia Costiera (libica), siamo al punto di sbarco quando arrivano”.
Evasa la risposta sui tempi di evacuazione dei centri di detenzione in caso di attacchi militari, complice il tempo ristretto per la commissione, Cavalieri ha comunque dovuto fornire qualche punto di vista su altre criticità sottolineate dai membri di commissione presenti. Una di queste riguardava gli ostacoli all’apertura di centri per migranti dell’Unhcr invece di quelli governativi in cui vengono commessi crimini contro le persone oppure quelli “privati” gestiti da altri trafficanti e nei quali l’Alto Commissariato non ha accesso. Glissata invece la risposta a Laura Boldrini su un eventuale “contingency plan” dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Libia. Approssimativo, evasivo, Jean Paul Cavalieri ha dato l’idea di aver concesso l’audizione per compiacere l’Italia e non per produrre una analisi critica della condizione in Libia. Lo ha fatto anche non rispondendo alla domanda conoscitiva su un eventuale piano di contingenza in caso di escalation militare insostenibile per i civili in Libia e, nello specifico per i migranti rifugiati di cui l’agenzia delle Nazioni Unite si occupa. Ineludibili però alcune utili informazioni circa l’assenza di personale Unhcr presso l’ufficio di Bengasi, evacuato – questo si – dopo l’attentato del 18 agosto scorso, costato la vita a tre funzionari delle Nazioni Unite con non ben definite mansioni.
Quella che quindi è venuta meno nel corso dell’audizione di oggi è la sostanza. Cavalieri ha parlato di 650.000 migranti presenti in Libia (un Paese di circa sei milioni di abitanti) che li vivono e, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale per i Migranti (OIM), circa tre quarti hanno anche un lavoro. Dato che spiega la migrazione verso la Libia da parte di molti migranti subsahariani, sia profughi che cosiddetti “migranti economici”. Nel “centro di transito” dell’Unhcr, struttura “hub” in cui vengono smistati i migranti da reinsediare in Paesi terzi, ci sono circa 1.000 persone a fronte di una capienza di 600 posti. I trasferimenti verso altri Paesi, non di origine, contando l’Italia, il Ruanda e la Nigeria, sono irrisori rispetto alla reale esigenza. Nessun Paese europeo, fatta eccezione per le poche centinaia di persone estremamente vulnerabili accolte dall’Italia con i cosiddetti “voli umanitari”, intende aprire canali umanitari per mettere al sicuro queste migliaia di persone. Centinaia delle quali vittime di abusi e violenze nei centri di detenzione. Nei centri-lager libici, secondo Cavalieri, ci sono circa 2.000 persone, e centinai di esse vittime di abusi e violenze. Una cifra inferiore a quella che l’Italia vede poi arrivare con una singola ondata migratoria attraverso il Mediterraneo centrale. Nel corso del 2019, come affermato dal capo missione, sono state evacuate soltanto 2.500 persone. Ma, come ha detto oggi lo stesso Cavalieri, “non si possono salvare tutte”.
Quasi il 5% delle persone vulnerabili è stato evacuato dall’Unhcr in Libia nel 2019. Un limite improponibile per una agenzia delle Nazioni Unite che opera in situazioni di crisi per l’umanità, ma che di fatto segue il trend mondiale con un’esigenza quantificata dall’Alto Commissariato in 1.250.000 rifugiati a fronte di soli 55.000 posti nel mondo in cui accoglierli. Cifre irrisorie per un mondo popolato da circa sette miliardi di persone, eppure, tornando in Libia, in alcuni centri di detenzione non è possibile – come affermato da Cavalieri – neanche garantire il cibo e per questo il governo di Tripoli ha deciso di aprirli. Ma i migranti che vi erano detenuti, ormai schiacciato tra i combattimenti di una guerra che non era “civile” neanche alle origini, non sanno dove andare e sono attualmente esposte ad ulteriori gravi rischi per la vita. Anche molti libici stanno adesso abbandonando il Paese, i più benestanti si spostano in Tunisia e altri si dividono tra Misurata ed il Mediterraneo centrale. Ne è stata prima tangibile prova l’operazione di salvataggio della nave Ong Alan Kurdi di Natale, quando a bordo del barchino soccorso c’erano appunto 32 libici e neanche un migrante subsahariano.
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