di Vittorio Alessandro
L’altra sera, su questa sponda dall’altra parte della guerra, ho ripetutamente sentito il passaggio di aerei militari, e qui fa meno impressione dell’arrivo dei barconi. Sono alti, invisibili. La guerra, a differenza delle cianfrusaglie dei migranti, appare ordinata, è candida per chi la osserva da lontano, e la Libia – a poche centinaia di miglia da qui – è la palestra su cui stanno cimentando i propri muscoli Russia, Turchia, Emirati Arabi, Egitto, Francia, Germania.
La posizione ecumenica dell’Italia farebbe pensare, più che a una meditata azione diplomatica, al brancichìo di chi non sa che pesci prendere, pure avendo il branco a pochi metri.
E se, come diceva Karl von Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, figuriamoci cosa succede quando la politica è quasi spenta.
Si prepara, dunque, la partenza anche di un nostro contingente: se ne coglie il segnale quando i governanti, all’improvviso, cominciano a definire i militari di ogni età “i nostri ragazzi”.
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